Autunno

Autunno
E' un tramonto italiano ma a me ricorda Ddorf.

21 marzo 2013

Meglio mal accompagnati che soli...

La premessa.Tra le cose che ci mancano di più, anche se meno ce ne rendiamo conto è la vita di comunità. L'uomo è animale sociale, si sa. Ma grazie al telelavoro, ai trasferimenti, all'impiego femminile, alle famiglie monogenitoriali, ai pochi figli, alla delocalizzazione in interni, uffici, scuole, supermercati, e salamadonnacosa, viviamo da tempo come cani sciolti. Un tripudio di individualismo ci porta facilmente a staccarci da mariti-mogli-madri-padri-fratelli-sorelle-colleghi-compagni e malvolentieri invece a giuntarci per condividere sorti comuni.
Ecco penso a volte che siamo un poco come perle di una collana. Uniti otteniamo impatto, senso e valore; disgiunti siamo "vaghi", si chiamano proprio così in archeologia i pezzi sparsi, vaghi di collana.
Parte delle aspettative frustrate le riversiamo, o almeno cerchiamo di riversarle, nel partner che mai potrà compensare la deprivazione derivante dalla carenza di una comunità di riferimento.
Uhm devo averlo pure letto... magari in un saggio di Umberto Galimberti?
Da dove m'è giunta 'sta idea? Da tre storie, tre.
¿Qué he hecho yo para merecer esto!!
E' un film di Pedro Almodovar, del 1984. Vivido e sensoriale come i suoi film migliori. In una Madrid respingente, squallida senza riscatto, una donna con due figli e la suocera a carico ammazza accidentalmente il marito in uno screzio. Un povero diavolo frustrato che riesce a fare il gradasso giusto solo con lei.
La trama non rende merito alla storia e ai personaggi ricchi di sfumature, mai scontati...
La suocera, che rimpiange sempre il paesello natale, convince finalmente il nipote a seguirla. Alla fermata della corriera incontra un'amica compaesana e insieme ripercorrono tutte le nascite e le morti dei comuni conoscenti...La partecipazione e la la compassione della vecchia sono molto maggiori di quelle dimostrate per la morte, appena avvenuta, del suo stesso figliolo.
Perchè? Gli voleva pure bene... Ma il figlio è morto da espatriato, lontano, sciolto da quel senso portante di una Comunità.
A me la scena ha fatto pensare a mio suocero, oriundo di un paesino delle Madonie...Tutto o quasi gli scivola addosso, ma quando si parla del paese, anzi del Paese, e magari si accenna alla Festa del Santo o alla faida tra famiglie (scatenata per il possesso di due stanzette misere in uno stabile di nessunissimo valore commerciale, ma tant'è...), allora e solo allora riprende vita, parla concitato, si anima...
L'altra storia nasce da un film francese, Lady Jane, di Robert Guédiguian, visto domenica scorsa, in coda al Bergamo Film Meeting. Un torrido noir. I tre complici di una banda di rapinatori, due uomini e una donna, si ritrovano 20 anni dopo; qualcuno ha rapito il figlio di lei che chiede agli amici un aiuto per il riscatto. Dopo il reincontro, uno dei due porta la ex complice a fare un giro nel vecchio quartiere italiano dal quale entrambi provengono.
E lui si illumina ad ascoltare -ancora- le canzoni d'amore gracchianti al bar, a salutare con i gesti quasi cifrati gli avventori, parlare con il vecchio mafiosetto che chiede delle le loro vite, come se nel frattempo aggiornasse un registro mentale con tutti i movimenti della comunità...
E qui mi è venuta in mente l'Anita, l'amica storica di mia mamma, più vecchia di qualche anno. L'anno scorso, al funerale è venuta con 4 accompagnatori, pure un badante muscoloso e ben vestito. Ha preteso che la salma della mamma andasse al paese, anzi alla frazione loro, che ci pensava lei a tenerla per bene. Che piglio, l'Anita.
Mi raccontava mamma che i partigiani l'avevano puntata, i gossip la davano in civettuolo contatto con un soldato tedesco. Che fosse vero o meno le toccò affrontare il ludibrio pubblico, la testa rasata, gli sputi in faccia...

L'ultimo elemento sollecitatore della tematica tanto austera e retrò del titolo è un articolo di Citati un cappellino di velluto nero, molto intenso, su Jane Austen. Ho visto recentemente Orgoglio e Pregiudizio e come sempre la Austen "mi tira dentro" per dirla in termini mondani. Ecco cosa dice l'articolo a proposito di un mondo, quello della piccola nobiltà inglese ottocentesco, che io immagino algido e impostato sul rispetto della privacy, ma che non lo doveva essere poi molto vista il numero dei componenti della comunità, la loro contiguità e la permeabilità degli spazi comuni: 

"...Quando scriveva, Jane Austen non era mai sola. Qui parla un mondo compatto, foltissimo, solidale, come ormai non ne conosciamo più.
C’è una intera famiglia: il padre e la madre, e gli otto fratelli, e le mogli e le zie e le prozie e i figli e le figlie di questi fratelli, e i parenti vicini e lontani, che abitano in castelli o in piccole case di campagna, o sono nelle Indie occidentali o orientali o percorrono l’ Inghilterra in carrozza, e gli amici e i cugini di questi parenti, che alla fine si sposano tutti fra loro, così che abbiamo bisogno di una carta geografica per addentrarci nell’ inarrestabile groviglio delle parentele. Sullo sfondo, c’è un paese, che vive, dorme, chiacchiera, mangia, va in chiesa, si sposa, muore, cucina, va a spasso, – e noi ne sentiamo tutte le voci, come quelle di un’arnia colorata e ronzante..."
 
...Un'arnia colorata e ronzante. A volte vorrei essere un'ape mellifera.

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