Autunno

Autunno
E' un tramonto italiano ma a me ricorda Ddorf.

30 settembre 2011

Il primo Einladung italiano

"Vuoi venire alla mia festa? Lunedì 3 ottobre ore 16.30. All'oratorio."
Poi un flash: "Compio 6 anni!!", un numero di cellulare e la firma.

Tutto qui. E mi sembra ci sia tutto quello che serve. Poi dicono che gli italiani non sono concisi...

Ps: da qualche parte devo avere ancora il primo Einladung di Arianna tedesco...Magari si fa il side by side per capire il mio sollievo.

29 settembre 2011

Made in Germany.


Anche oggi è successo. L’ennesimo acquisto inconsapevole "made in Germany". Questo si chiama Zenker Backformen,è una teglia universale ausziehbar, cioè con una parte estraibile. Chissà se è a tenuta d’olio o filtrerà attraverso la giunta al pavimento. Intanto l’ho presa. 16€. Era successo così anche appena sbarcati a Ddorf. A reverse. Compravamo cose pensando fossero made in Germany per poi scoprire che le facevano a casa nostra. Alcune le ho ancora.
Il portaspazzolino in legno della Sevy, di gusto tanto nordico, si è rivelato un marchio della Trudy… e la mucchetta rossa gonfiabile a pois? La Germania ne è costellata. Si chiama Rudy, Ruby un nome del genere. Beh, dopo lodi sperticate all’inventiva germanica applicata al mondo dell’infanzia scopro, casualmente, il “made in Friuli”. In Osoppo, segnatamente. Da allora per noi è “il mulo di Osoppo”. Che vuole dire anche "giovane" di Osoppo, e ci sta pure il riferimento al mulo quadrupede che a Osoppo mi sa che più di qualche alpino ci ha lasciato…le penne!
E i reggiseni Pasionaria o Occhi verdi?
Lasciando perdere il divano del mobilificio “Stella” di Padova, comprato a Who’s perfect, come pure un paio di ‘azzabuboli di Alessi…

Altre cose, invece, come il lampadario Campari, sono state acquistate multiculti consapevolmente. Fatta in Germania, da un'idea di Andrea Citterio, nella fucina del geniale svizzero, Ingo Maurer.  
(Na 'boiata galattica, secondo il Neanderthaliano...)



22 settembre 2011

La vita è troppo breve, per non essere italiani.

Italy. Love it or leave it. La segnalazione di questo documentario, fresco di premiazione al festival di Milano viene da una italiana a Roma che voleva trasferirsi a Berlino. Ecco il trailer:
http://www.youtube.com/watch?v=NnyFhSi5tPc&feature=player_embedded

Io l'ho pure visto in versione integrale, ieri, su RAI3, ad un'ora impossibile, infatti sto ancora sbadigliando. La sintesi del corto è: andare o restare? E restare perché? Una coppia gay, carini entrambi, si sta spaccando su questo dilemma, avendo la possibilità di trasferirsi.a Berlino- ovvio, mica a Oberhausen -e rendendosi conto che la situazione è critica.

Un viaggio in 500 per la penisola, incontrando fatti e persone, li illuminerà nella decisione. Che non sto qui a spifferarla, un pò di suspance impepa la vita di tutte noi, stracotte di quotidianità.

Lunga premessa per introdurre alcuni momenti illuminanti. Il più "italiano" dei due ha due radicate reticenze, apparentemente, come dire....evanescenti rispetto a quello che fa una vita degna di essere vissuta.  L'estate e il buon caffè...le stesse cose che mi mancavano dannatamente a dusseldorf come scrissi qualche settimana fa...
Fondamenta dell'italianità, insieme al calcio,agli spaghetti, il ben vestire...il vivere intensamente il fugace momento dell'esistenza nella sua interezza, quando tutti i fattori si mettono sula stessa linea: tu, gli altri, quello che fai,dove sei, e il tempo atmosferico tutto intorno.
Non è chiaro? Eppure è così che ho interpretato la frase del titolo, citata nel film, a mò di arcano...
 

20 settembre 2011

Zimmer frei.

Sabato gironzolo con Ari in Val Brembana, vogliamo raggiungere un agriturismo, tanto per vedere qualche animale aiense, a lei piace moltissimo...e non se ne sta in casa a guardare cartoni animati inadeguati con la cugina grande. Ci perdiamo. Stop al primo bar, mostro il depliant del posto, l'oste mi suggerisce un'altra strada. Cominciamo a salire, tornanti morbidi si dipanano in un bel paesaggio montano, pascoli e macchie di bosco, punte di campanili. Secondo bar, nei pressi di un santuario, pure ben posizionato, giusto su una terrazza panoramica. Qui mi consigliano di cambiare meta. Per un altro agriturismo. Che l'agriturismo di cui al depliant non è bello come l'altro, lì vicino. Tanto dicono, tanto si sperticano che mi convincono. E sia. Ancora tre chilometri in salita, "si, ma non incontra nessuno", vero!, e compare un cartello di legno "Zimmer frei". Poco dopo un ingresso tipo ranch, con l'insegna "Terre alte".

Tutto tace, alle Terre alte. Lascio Ari nei pressi della stalla dei cavalli e mi aggiro per la proprietà. Spunta una testa bionda da una casa in perfetto stile tirolese. "Siamo chiusi"...poi quasi scusandosi: "Sono in ferie...". La conforto con qualche facezia e ottengo il permesso di gironzolare e visitare gli animali. "Va bene, attenzione a Pablo, che sta entrando in calore..." Ah! Pablo chi?" "Il cervo!" - e chi se no-" ...meglio non appoggiarsi alla rete". Pablo ha un'espressione torva e gli occhi iniettati di sangue che alla rete non ti appoggi nemmeno per sbaglio e mi chiedo, ma i cervi liberi e belli del Wildpark a Dusseldorf che gli facevano a settembre? Bromuro nei fiocchi d'avena?

Mentre Ari si sazia di oche, girini e asini io torno alla base e mi siedo a un tavolo, c'è una bella vista da qui. L'odore di fumo mi fa volgere lo sguardo, è la bionda, piccola, magra e tonica, un viso scavato, mani forti...Potrebbe starci, in un quadro di Hopper. Deve aver la mia età, forse anche un paio d'anni di meno...
"...parto stasera, per la Grecia..." prosegue un discorso già avviato "...sono tre anni e mezzo che non vado in ferie." "Beh, è un bel mese per la Grecia. E mi sembra bello grande qui, ci vuole un pò di riposo." silenzio. "...Quanti siete a mandare avanti la baracca?" "Due." "Due famiglie mi sembrano pochine." "Due,due...io e mia figlia. Ha 21 anni." "Ah!"
Guardo la casa, con il ristorante e il b&b annesso, il recinto dei daini, dei cervi, la stalla coi cavalli, gli asini, le capre, il pollaio, il laghetto, persino un tepee indiano sul colle...
Continua: "Lei porta fuori le bestie, abbiamo 7 mucche scozzesi" -pure!- "...io penso alla ristorazione. O il contrario, così chi si alza alle 4 del mattino non deve fare tardi la sera..." "Si lavora dal lunedì alla domenica sera...non è mai finita."
"Eh beh..."
Non so perché, ma quando incontro persone così mi sento sempre, come dire, "poco?"

16 settembre 2011

La foto è quella del mare del Nord.


Mare del Nord che non c'entra molto con il paesello collinare dove sono andata a infilarmi, ma avevo deciso di usare solo immagini di Dusseldorf e dintorni, per il Blog. E questa, risalente a 3 anni fa, non l'ho mai usata. La luce del Nord è davvero speciale. Detta così...sembra la prosa di Liala.
Però è...potente. Parola.

Il primo giorno di scuola. Parte seconda.

Dopo lo scambio di sguardi e le valutazioni antropologiche conseguenti, siamo tutti entrati a scuola. Entrati...esplosi! Urli, schiamazzi, non so chi urlasse di più, bimbi o genitori.
Per un attimo ho visualizzato la stessa situazione in una scuola elementare tedesca: stanti all'ingresso, nel massimo silenzio possibile, tutti egualmente consapevoli, bimbi, genitori e professori, di poter arrecare disturbo alle altre classi.
(Noi invece) Deposti i poderosi zaini in classe, ci siamo diretti alla palestra (diretti...capitombolati!)
Grande girotondo dei bimbi, 33 per 2 sezioni. I genitori a ventaglio, intorno ai bimbi. Una maestra biondocrinuta tenta il plug in di un obsoleto registratore a cassette. Che, naturalmente, non funziona.
E quindi si fa come i bantù, gole spiegate e incavi delle mani a coppa, cantiamo e mimiamo tutti insieme "la canzoncina della felicità".
I genitori attaccano prima dei bimbi. E, ancora, per un attimo ho visualizzato la stessa situazione in una scuola elementare tedesca: nell'imbarazzo tangibile, le voci flebili degli insegnanti e, ancor più flebili e insicure, dopo qualche secondo di lotta interiore, dei genitori; qualche bimbo che ci casca e sussurra anche lui; la maggior parte, però, muta come pesci (e questa è una cosa che mi faceva imbizzarrire, nessuno che cantava a fronte di un florilegio di canzoncine per tutti i gusti e ricorrenze...)

La tensione si scioglie, potere del canto- e della cronica incapacità tecnologica del corpo docente italiano che ha impedito la riproduzione meccanica della canzoncina.

Quando chiedono i nomi ai bimbi, Ari dichiara il suo con voce forte e chiara. Bene, mi dico,è tranquilla e padrona della situazione, va tutto bene. Non poteva andare meglio, continuo a dirmi risalendo la scala di accesso alla palestra, per essere il primo giorno, e senza conoscere nessuno! Volgo lo sguardo e vedo Ari che accetta la manina di una bimba. Perfetto, penso, adesso è davvero...perfetto. Deglutisco e la saliva non va giù. Mi trema il mento, e gli occhi si annebbiano.Un secondo e goccioloni grossi come la pioggia di marzo cominciano a cadere, inarrestabili. Plic,plic. Sulla fibbia della borsa. E più cerco di trattenerli più s'ingrossano. Mi avvicino al Neanderthaliano che non ha ancora esaurito le sue cartucce,e scatta e videoopera che è un piacere, appoggio il viso rorido alla sua spalla in cerca di conforto: "...azz fai?! ...Ma... mi bagni tutta la maglia!"
"Sì scusa, ma è che la nostra Cuci è così... così grande...così grande!"

E ci incamminiamo verso casa che sembriamo reduci dal funerale delle vittime di Bologna, io con uno strofinaccio asciugapiatti a quadri bianchi e rossi a tamponar narici e palpebre - non so che ci faceva in borsa ma era l'unico succedaneo di un fazzoletto che ho trovato- appesa al Neanderthal rigido e imbarazzato dall'increscioso comportamento.
Il "monsone" durerà, con rovesci improvvisi, fino a tarda sera.

15 settembre 2011

Istigazione alla rivolta.

Ci sono piccoli dettagli, che ti riportano concretamente alla condizione in cui versa uno Stato. Sono questi dettagli che alimentano la rabbia, la rabbia sorda, profonda. Nella lista della Scuola di Ari, accanto alla panoplia "classica", materiale da disegno e per scrivere, libri..., compaiono anche: kleenex pacco da 10, risma di fogli A4 per le fotocopie, sapone liquido un flacone, Scottex. Eh già. I soldi del fondo scuola non ci sono più.
Eccola, l'evidenza.

14 settembre 2011

Il primo giorno di scuola. Parte prima.

Il primo giorno di scuola di Ari è andato così. Ci siamo vestiti tutti in silenzio che sembrava una cerimonia sacra. Neanderthal si è munito di tutti gli apparati di riproduzione immagine che possediamo e alla fine pesava 100 kili. Poi siamo scesi da casa a piedi per dare il buon esempio alla bimba, ci siamo impaludati in un passaggio wild, lì dove non passano le scale - gli è che come bonus per il permesso di sbancare la collina e costruir villette le imprese dotano di belle scalette lastricate il territorio...ma solo negli spazi prospicienti dette villette. Prima e dopo è terra di nessuno. Terra però e come tale sporchevole assai. Tutti sudati e inzaccherati siamo giunti davanti all'ingresso della scuola. 24 minuti prima dell'ora prevista (le 9). Il papà ha iniziato la sua sporca guerra, imbracciato l'artiglieria da foto e ha sparato almeno un centinaio di scatti alla mono espressiva Ari fissa immobile di fronte alla mono espressiva entrata di cemento grigio dell'edificio scolastico. Poi (ma poi, poi...) sono arrivati gli altri. Io guardo le mamme, Ari i bimbi, Neanderthal sua figlia. Che adesso ha lo sguardo acceso e le pupille dilatate dalla curiosità.
Così a freddo ho identificato 3 gruppi di mamme: le senguene, le hi pop, le piegate.
Le ultime due sono rintracciabili anche a Dusseldorf.
Le senguene no. Il termine è direttamente tratto dal dialetto di Orzinuovi, Rovato, nella enclave linguistica BG-BS. La soggetta è una tipa che non teme la categoria del pacchiano, volgare, appariscente. Abbronzatura giallo itterico anno '80, stivaloni over knees anche d'estate, abito strizzatissimo, capelli o oro platino o nero corvino, gioielli plurimi e ubiqui, comunque vistosi. Le senguene stanno al paese come le palline d'oro all'albero di Natale. Impossibile farne senza. Attenzione, l'aspetto da pantera da tinello non tragga in inganno Di solito sono mamme presenti e dolcissime. Gli è che ricche emotivamente sono povere culturalmente. E questo è un assioma.

Le piegate sono...piegate dalla vita. Scialbe, spesso sciatte, tutto in loro si curva alla legge della gravità: le spalle, le tette, la testa, gli angoli degli occhi e della bocca. Poco trucco, sempre sbagliato. Parrucchiere semel in anno, e quella volta sbaglia la tinta. Il resto del tempo,conseguentemente, è dedicato a far tornare la capigliatura al color naturale, quindi sai che glamour. Abbigliamento:  scarpa -sempre- comoda, piatta. Osano mise come Lacoste e calzoncino al ginocchio, coloniale. Tanto per rendere chiaro il soggetto. Se non eccedono con la lamentatio, ma di solito la fanno corta che hanno raggiunto da tempo immemore i lidi palustri della rassegnazione, sono validi supporti per orientarsi nel mondo scuola. Conoscono tutto, le insegnanti, vita morte e miracoli dei bidelli. Certo, bimbi a parte una conversazione con loro è in genere allegra come il processo di Norimberga.

Le hi pop sono le popolane evolute. Sono poco vistose, portano gli occhiali, frequentemente, ma l'occhio è vispo e attento, come quello di spigole appena pescate.  Corpi tonici o comunque gestiti. Hanno interessi, minimo le superiori le hanno frequentate, e, di solito, lavorano. Nella versione urban (come a Dusseldorf) si dividono in molte tribù più o meno eco oriented, più o meno shabby chic. Nel paesello ci si accontenta della rappresentanza. Allora, a parte quando attaccano con la psicologia da supermercato, o ti espongono ispirate qualche pratica di elevazione morale (dal cattolicesimo riscoperto al tantra yoga con tutto quanto in mezzo) sono il gruppo più vivace  e stimolante per le conversazioni "kissandfly" davanti scuola. Almen per me.
Chiusa la parentesi e la parte uno.

12 settembre 2011

Cera una volta il West. Point.

Vacanze da post trasloco. In Liguria. Pure di Ponente, il versante decadente. In un paese dal nome che insospettisce anche i meno scaramantici: Ospedaletti. Un’occhiata alla passeggiata: tanti vecchietti che parlano fitti fitti dei loro acciacchi, consultano con occhio rapace le Inci delle scatole medicinali, da un cortile ai balconi rimbalzano urla come: “L’hai digerito allora il Piruxan oggi?” “Sì, meglio di ieri ma ho ancora delle scariche!” (…Tutto in buon italiano che questa è una enclave di medio ricchi torinesi e milanesi). Un ambiente frizzante come un bicchiere di citrosodina. O Magnesia 2000, se siamo in vena di “movida” spasmica.
Ospedaletti deriva il nome da ‘Spitale, roba da cavalieri templari che quivi trovarono rifugio dopo un naufragio…In nomina sunt numina! Calamita per nugoli di vegliardi ammaccatelli, anche oggi a Ospedaletti tutto naufraga. I marciapiedi si stringono e spariscono, i cordoli sembrano messi giù da un muratore cieco, le scalette per il mare sono sbilenche e, la sera, pure male iluminate. Le migliaia di case e di condomini sono sparacchiati sulla collina in disordine sparso, l’unica ordinanza in materia paesistica da rispettare, evidentemente, il numero minimo di tendoni parasole per condominio:150
Si contendono la preziosa striscia litoranea di ciottoli neri e sodi, una decina di stabilimenti dai nomi incoraggianti come “Sirena, La scogliera, Mirage, la Playa, Regina, I versiliani… A parte nella creatività del naming i nostri si contendonio i favori dell’esigente clientela a colpi di design: serramenti in alluminio, passerelle in pvc, tappeti d’erba finta, piscine tinozze dall’acqua verdastra, barche trasfomate in aiuole (colpo di genio dei bagni Sirena, il rubinetto lavapiedi sbuca da un muro di ceramica nera, che quando appoggi la mano per sorreggerti ti ustioni).


Luogo simbolo di questo paese dai destini sopiti fin dalle origini, l’ultimo angolo di promontorio prima di Bordighera, chiamato West Point. Doveva diventare una ombrosa passeggiata a mare con parchi giochi e aeree pic-nic. Per anni solo un paio di tamerici smunte hanno concretizzato la promessa. Tre anni fa tutto un fermento per la ciclabile che ripercorre il vecchio tracciato ferroviaria. Risultato? Treno e bici si fermano, ancora, a Sanremo. L’anno scorso l’idea faraonica: a West Point nascerà il nuovo porto turistico. Sbancamenti, le tamerici polverizzate, una lunga cicatrice di cemento bianco nel mare…E poi…Poi boh!
Ora tutto tace, cantiere chiuso, solo cancelli e catene e chiavistelli e cartelli minatori di vietato l’ingresso. Nel mare, intorno alla cicatrice, le scie biancastre delle polveri di cememto si allungano nell’acqua salsa.


Oggi West point è un’esperienza di balneazione pop trash. Lasci la macchina in pericoloso –per la tua macchina e per le auto in transito- parcheggio sull’Aurelia, attaversi la carreggiata schivando rombanti camion sperando che non ti scivoli una pinna o si rompa una infradito: accidenti, questi, quasi certamente fatali. Ti infili in una scaletta a metrica 1-0-1 cioè un gradino sì e l’altro no. Il sentiero da dissesto orografico prosegue fino alla massicciata della ferrovia, dove ti aspetta un buco urfido trasudante urina, lo passi e spunti in un canneto impoverato, reso mosso da colorati inclusi industriali come fustini, sacchi di cemento rappresi, e consolanti rimasugli di picnic domenicali…su tutto, umide farfalle bianche: candidi kleenex dall’indubitabile flavour. Oltre, la spiaggia. Una sessantina di metri quadri di sabbia che basta a scatenare l’entusismo dei bambini, dai piedini provati dal ciottolo ligure. La doccia è fornita direttamente da un rigagnolo naturale. Qualche volenteroso ne ha incanalato gli umidi umori in un tubo di plastica nero, arditi architetti hanno trasformato flessibili canne in piloni per sostenere il tubo. Una mano gentile ha provvisto la SPA di un paio di flaconi vuoti, Vernel rosa per le signore, Dixan blu per i signori, al fine di favorire le abluzioni. Dai rimasugli carbonizzati degli alberi e da un paio di tavole smontate dalle recinzioni del cantiere del molo, si è ricavato un tavolino, pure angolare per ospitare le famiglie numerose. Insomma, un piccolo paradiso di creatività povera e spontanea.
Peccato che non siamo in Guatemala. Ma in Italia, pure in un comune del nord e, grazie all’Ici sulle seconde case, pure ricco. 

Che cos'è un negozio se non un precipitato fisico?


…e poi, invece, capita di ascoltare cose così. A Radio24. Per una buona mezz’ora l’esperta milanese di retainment, un pastrocchio tra retail e entertainment, ti spiega che il punto vendita è solo “piattaforma d’incontro con il cliente”, un “precipitato fisico” e che “on line/off line non cambia nulla” (alla faccia degli architetti e del Feng shui che pensano che le architetture condizionino la nostra percezione del mondo, la nostra vita e salute) Perché l’importante “…è la relazione che si crea in questo corridoio virtuale o reale, contenitore di eventi, giochi, sorprese allo scopo di intrattenere il cliente”. Manca la premessa, che se non la sai ti sembra siano tutti lì a fare del bene. Più ci si ferma in un negozio più si compra. Eccolo, il precipitato metafisico… 

“Se no me ne vado con il Cocco, il Giaguaro e il Gemmo domani in piscina.".


Quello che mi è mancato della conoscenza di una cultura, non possedendone la lingua mi è –dolorosamente- evidente quando incoccio in frasi così. Lui al cellulare. “Lui” è un quarantacinquenne emulo di Corona. Tatuaggi decisi che s’intorbidano appena quando incrociano le ecchimosi di qualche batosta da carichi in manovra. Le manone callose torturano l’I-phone. Parla con tale Betty – un nome denso, l’attuale degno sostituto delle care Rosine della tradizione popolare- nella voce l’urgenza di una risposta…E poi prorompe con la frase del titolo! "Oh Betty, o con te o in battuta libera coi tre portenti di cui sopra, che facciamo una strage, noi quattro, in piscina!…"