Autunno

Autunno
E' un tramonto italiano ma a me ricorda Ddorf.

30 agosto 2012

Alle Eseleien!

Tutte asinate. Traduzione del titolo del post. A volte il tedesco è così simile all'italiano, nelle espressioni colloquiali. Come Stapazieren, che vuole dire sì, proprio strapazzare.
Il titolo è ripreso da "Le mie prigioni", del Pellico, che ho testé terminato, e da dove si recupera che i luoghi comuni no, non sono affatto "Alle Eseleien". Almeno a giudicare dalla loro pervicacia.
Il primo è già citato, il clima orrendo non appena si varca l'arco alpino per il Nord. Che non è che non sia vero, per carità, ma considerando quanto si può patire in val padana andrebbe quantomeno relativizzato. Infatti, malgrado gli auspici nefasti, nei capitoli dedicati agli anni dello Spielberg nel libro non si accenna mai a una particolare durezza del clima moravo.
Altri luoghi comuni, e comuni ancora oggi (la vicenda si svolge nel 1820/29) : la cosa di cui si lamenta di più il nostro, una volta ingabbiato in Moravia è, bada ben, la qualità del CIBO!
Il confronto è sempre con altre galere, patrie ma pur sempre galere, mica coi manicaretti piemontesi di casa Pellico. Allo Spielberg, dimora infausta, Silvio preferisce lasciarsi morire di fame piuttosto che ingoiare tal "indigesta vivanda". Anche altrove: "Schiller mi ripeteva: -Si faccia d'animo, procuri d'avvezzarsi a questi cibi; se no le accadrà, come è accaduto ad altri...di morir di languore."
E la seconda? La mancanza del CAFFE'! Quello della Zanze, ai Piombi di Venezia gli aguzzava anche un certo qual altro appetito.
Di contro è ammirevole il rigore e il "rispetto delle regole e dei regolamenti". Così serenamente accettati che nessuno se la prende con altri se questi adempie al suo dovere esecutivo (non sfugge ad occhio avvezzo che nelle due carceri precedenti, a Milano e a Venezia, al contrario, dei regolamenti se ne facevano un baffo un po' tutti o almeno si concedevano eccezioni vistose. Per esempio la figlia quindicenne dello sbirro veneziano si lasciava andare ad amplessi -nel senso di abbracci- piuttosto prolungati con Pellico e senza che alcuno trovasse nulla da dire.
Silvio conosce il tedesco e apprezza la lingua, la compostezza, l'importanza del silenzio: "In silenzio, puoi fare tutto." Nel suo caso si trattava di comunicare con gli altri carbonari, mica spassarsela. Però interessante quanto, mutatis mutandis, certi stereotipi ritornino nelle esperienze di expat moderni, come la cometa di Halley nel sistema terrestre.
L'ultimo luogo comune è la bruttezza della val padana: "Da quella parte l'entrata in Italia non è dilettosa all'occhio, ed anzi si scende da bellissime montagne del paese tedesco a pianura itala per lungo tratto ... inamena cosicché i viaggiatori che non conoscono ancora la nostra penisola ed ivi passano, ridono della magnifica idea che s'erano fatta."
E ancora: "La bruttezza di quel suolo contribuiva a rendermi più triste..."  
Che dopo 10 anni di galera, e a duro regime, provar tristezza per un paesaggio...Proprio di una bruttezza senza appello.

Mala tempora currunt...

Niente ti dà più il senso del tempo che passa, meglio, di te che sei passata, della corte di un pretendente azonale. Acclaro. Ad ogni età corrisponde una zona, una fascia di erotizzazione. La fascia comprende persone più giovani e più vecchie di te, oltre a quelle coeve, ma, perversioni a parte, esclude "naturalmente" quelle troppo giovani, coloro che, banalmente, potrebbero essere i tuoi fratelli più piccoli o i tuoi figli, e quelle over. Cioè, sempre banalizzando, quelle in cui è facile riconoscere i tuoi genitori e i loro coetanei.
Insomma quest'estate, nelle rare occasioni mondane, questo mi è occorso. Un giovane alla ricerca di emozioni forti, e pettegolezzo facile, che mi è piombato una sera in tenda, e la corte palpitante di un paio di "umarell", di quelli cui mi devo sforzare a dare del tu, per intenderci, tanto li percepisco maturi, anziani, "altri" rispetto ai candidati del mio -presunto- aerale erotico.
Tralasciando le manovre di "smarcamento", quello che rimane è un senso di imbarazzo e di spiazzamento. In tutti e tre i casi è mancato il lancio del guanto, l'accendersi della miccia, insomma: uno sguardo, una parola, un gesto di complicità da parte mia. Quindi sai che palle.
E per i due "dentiera felix" subentra pure un certo avvilimento. Com'è che esemplari di specie così diversa mi ritengano partner papabile?  Poi un'occhiatina allo specchio, stamattina, ha dato la risposta. Panzotta aggettante, palpebra appesantita, capello tritinta (castano fulvo naturale, aperol o pel di carota, bianco stanco). Fine dei dubbi: mi ritengono papabile perché sono entrata nella loro fascia erotica. Che poi io non mi ci ritrovi ancora, questo è un problema mio.
...Sto meditando, seriamente, una dieta feroce e un botulino party, tanto per rimandare un poco la bevuta dell'amaro calice.

28 agosto 2012

"Condotto in climi orrendi..."

Questa poi. Premessa, succinta. Sono al mare, siamo al mare, con la Ari. Da una settimana (ma solo oggi mi sono recata all'urbe più vicina per comprare una chiavetta e collegarmi. Che qui nel "pagus" non se ne rintracciavano). Da una settimana, la sera, sola soletta a fare la guardia alla settenne dormiente mi sollazzo con letture amene. "Le mie prigioni" del buon vecchio Pellico nazionale, in questi dorati arresti domiciliari cadono a pennello. Sono al punto in cui dopo la permanenza a Milano, il nostro viene trasferito a Venezia, ai Piombi. Dopo la sentenza, atterrito apprende che lo trasferiranno allo Spielberg. E così commenta: "Essere costretto da sventura ad abbandonare la Patria è sempre doloroso, ma abbandonarla incatenato, condotto in climi orrendi, destinato a languire per anni tra sgherri è cosa sì straziante che non v'ha termini per accennarla!"
Ora. Il buon Silvio ci aveva testè descritto il martirio del caldo e dei miasmi e dei nugoli di zanzare che gli s'appiccicavano al corpo giorno e notte. A Venezia. Ma peggio di così, climaticamente parlando, cosa poteva mai aspettarsi in Moravia?
Eh, il classico vecchio luogo comune del clima salubre di casetta nostra...duro a morire!
 

17 agosto 2012

Bagno Bemi.




A Luglio sono passata in Versilia a trovare mia zia, e in quell'occasione mi sono ritrovata al bagno dove andavo da piccola. Bagno Bemi. Stessa insegna, con il carattere a palloncino degli anni '70, stesse cabine azzurre, stesso odore nelle cabine. Un misto tra effluvi di legno, di salsedine e di vernice, quelle con base oleosa, che per recuperare i pennelli occorre l'acqua ragia, per intenderci.

Un odore che mi ha riportato con prepotenza alle estati della mia infanzia. Nella cabina dove provvedevo a cambiarmi, complice la memoria olfattiva, mi sono ritrovata bambina, con mia cugina accanto -il suo corpo adolescente, ambrato, prorompente, dal profumo penetrante - che mi diceva: "controlla che nessuno sta spiando, lì, dove c'è il buco". Tra un'asse bianca e quella azzurra c'era una fessura e oltre la fessura, effettivamente, un occhio spalancato.

Effettivamente qualcuno spiava.

E' che a volte mia cugina si arrabbiava, e con la mano chiudeva la fessura, a volte invece si divertiva a provocare. Nuda, si prendeva i seni pieni, alti e sodi tra le palme e li faceva saltare come due caprioli...la sua risata roca e profonda accompagnava il numero da streap tease. Forse per quello l'occhio, la volta che lo spiai a spiare, si ostinava a fissare nella cabina, malgrado fosse stato "sgamato".

Il ricordo era così vivo che mi sono ritrovata a cercare la fessura, che non c'era. Ovvio. Poi il bagno Bemi è molto più di allora un luogo per famiglie. tanti bimbi, molti vecchi, qualche mamma post gravidanza, pochi papà, nessun giovane, estendendo la qualifica anche, come si usa ora, ai quarantenni.

O forse lo era anche allora, un bagno per famiglie, ma allora le maglie dei controlli sugli adolescenti erano più lasse, le mamme inamovibili dai loro ombrelloni e i padri, meno gravati di impegni familiari e facilitati dalla congiuntura economica ad accumulare ricchezza, più liberi di provare la loro versione di "amici miei".

Uscita dalla cabina, mi avvicino all'ombrellone e incontro un viso noto. "Ciao!", mi fa. Rispondo cordiale, ma poi metto a fuoco. Certo! Quella stronza della Monica! Un paio d'anni più di me, ricciolina, capricciosa e scostante. Si divertiva a darmi appuntamenti e ad invitarmi a giocare con lei e le sue amichette per poi darmi buca. Sempre a ridicolizzare quello che dicevo, forte della maggiore età e della posizione al comando della sua piccola gang.

Devo aver cambiato espressione perchè lei mi restituisce uno sguardo perplesso. Oggi quella stronza della Monica è una signora di 50anni, un bel fisico malgrado le plurime gravidanze. Ha i tratti tirati, causa le notti insonni ad assistere prima il padre, poi la madre anziana...Mia cugina non c'è più, morta giovane, lei e la sua risata roca, inimitabile. La vita ci rende tutti uguali, penso, come i ciottoli sulla rena del mare. Di provenienza diversa, sotto il lavorio delle onde si levigano, si riducono ad una misura sola. Così che a vederli sembrano tutti della stessa provenienza.

E' sui ciottoli della rena del bagno Bemi che una mia parente ritrae con la sua bic, dal suo ombrellone le persone al mare. Ogni ciottolo un ritratto.

Un bel gesto, per restituire un' identità ad ogni ciottolo...
Ad ognuno di noi? 



14 agosto 2012

Benvenuto tra noi, Ino!

E'il 53°. O almeno penso...che contare i grandi è facile, i piccoli più difficile che migrano facilmente da una casa dei nonni all'altra. Noi di case dei nonni, per ora, con stanze dedicate ai nipoti ne abbiamo due. In Italia "la stanza del figlio" spesso resta uno spazio cristallizzato nel tempo. Non che venga murata, come facevano i Tuareg quando si sposavano, con la stanza della prima notte. Andava così: dopo la prima notte veniva chiusa e mai più utilizzata. Sorgeva nella parte centrale della casa, accanto al luogo di consumo dei pasti, il tinello via!, sempre sotto gli occhi del clan familiare. Come il centro della ruota, un punto virtuale, intorno al quale gira tutto il sistema...

Ino

Le stanze dei figli in Italia, dopo che questi sono adulti e via di casa, passano un periodo di utilizzo a singhiozzo da parte degli stessi,  o magari da parte di qualche ospite...poi rinascono a nuova vita con l'arrivo dei nipoti. Il lay out si rinfresca un po', di solito per giustapposizione di carabattole; nell'armadio insieme ai cappotti passati trovano posto i vestitini; le Barbie vecchie di 20 anni e passa, con i capelli tagliati rozzamente e strinati e le orecchie grigie di polvere, siedono accanto alle nuove, modello escort, e tra loro, sono certa, le criticano rimpiangendo i bei vecchi tempi e la meglio gioventù di una volta.

Nella stanza di noi tre sorelle, ex stanza di noi tre sorelle, uno stanzone con due finestre di cui una sovradimensionata - tirava sempre un'arietta!- da qualche anno troneggia un castello in plastica di gran formato, con tanto di torretta, scivolo, fire-place, portone d'ingresso. Per una cosa così, all'età di mia figlia, avrei dato tutto. Ma quando ero piccola io mio padre trovava "immorale" spendere troppi soldi per i regali dei bambini. Niente casa della Barbie, ordunque, e quando chiesi una bambola antica con le parti esposte in porcellana, mi rifilarono la riproduzione della Marisa Berenson di Barry Lindon...in plastica e boccoloni color rame in puro nylon 100%.

Però avevo anch'io la passione di mia figlia. Collezionare peluches. E di quelli  ne avevo tanti. E li volevo ogni notte con me, tutti nel letto e mia madre doveva rimboccare bene le coperte per contenerli,,, "Prenderai le pulci...", mi diceva. Le pulci non le presi, le pulci snobbano l'acrilico, però forse parte delle mie numerose allergie nascono da lì...

Amavo i peluches, li amo meno da quando devo provvedere a quelli di Ari. Che la sua sembra una passione senza limiti. "Ino", così si chiama il panda della foto è stato acquistato in un negozio del mercato equo e solidale, dove sono entrata per comprare il caffè. Niente l'aveva allettata in edicola, che non è facile con tutte le offerte che ci sono per i bimbi e le bimbe al giorno d'oggi! Lì invece, al negozio dell'equo, ha visto "Ino" e con motivazioni arzigogolate, ma inoppugnabili per una settenne mi ha fatto scucire il contante necessario (2.50€, no non mi sono svenata)..."Panda ha bisogno di compagnia!" - Panda è alto 80 cm, Ino 3, Panda ha già una amichetta Panda che si chiama Giovanna, se ben ricordo, ed è in ottimi rapporti d'amicizia con Trogly, il mammuth comprato al museo di Neanderthal- "Lo pulirò ogni sera mamma, con il mio spazzolino -argh!- ti prego mamma, ti supplico, ti scongiuro!"

E così, abbiam pure Ino. Che si chiama così per via del velo di Ino, dall' Odissea, letta in pillole alla Ari nella versione di Geronimo Stilton. Dove Ulisse è un topastro moro, con coda nerboruta e Penelope una topina dall'aria soave. Più della storia l'hanno colpita i nomi: "Che brutti mamma, Pe-ne-lo-pe, Te-le-ma co, sembrano i nomi, non so di una roba come di un telefono!..."

Beh, non ha tutti torti, ho pensato. Passi per Elena, Calipso, Circe...ma Antino.o?! Nausica.a? e poi "Feaci", "Scheria", "Proci". Sgraziati assai. Ino poi in realtà era una dea. Ma...nessuno è perfetto.






Insegna invitante.


Standing ovation.

12 agosto 2012

Il Grande Gatsby come Little Tony.

All'ultimo book crossing ho pescato un'edizione pocket del capolavoro di F.S. Fitzgerald. E me lo sono riletto, che quest'estate va così. Dopo L'Educazione Sentimentale e dopo Anna Karenina, cui va il mio personale Palmares per l'incip più intrigante e al passo con i tempi. Con tutti i tempi:
"Tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a suo modo"
...(scopro testè su google che non sono originale. Già nel 2010 era citato tra i migliori incipit della letteratura di tutti i tempi, fonte: Wordpress)

Bene, l'incipit di The Great Gatsby  nella traduzione della Great Fernanda* è il seguente:
"Negli anni più vulnerabili della mia giovinezza, mio padre mi diede un consiglio che non mi è mai più uscito di mente: Quando ti viene voglia di criticare qualcuno, ricordati che non tutti a questo mondo hanno i vantaggi che hai avuto tu".
Che all'inizio colpisce positivamente...Adesso riscrivendolo, e dopo aver riletto il tutto, suona pure buona per un  personaggio di Verdone: "Magda, ricordalo ad Antongiulio, che non tutti hanno avuto i vantaggi che ha avuto lui, capito Magdaaa!

* Fernanda Pivano, una grande davvero.

Il terzo ripescaggio dell'estate perplette. E assai. Ricordo che mi piaceva. O forse mi piaceva perchè avevo una cotta romantica per quel bel figaccione di Scott che, fortuna, illumina con un convincente primo piano di profilo in b/n anche questa edizione economica Mondadori.

Ecco un paio di passaggi dal libro, forse rendono l'idea del mio spiazzamento:

(A uno dei lussuosi ricevimenti di G.G.)
Mi guardai intorno: quasi tutte le donne rimaste litigavano con uomini che si diceva fossero i mariti...Uno degli uomini parlava con intensità a una giovane attrice e la moglie, dopo aver tentato di affrontare la situazione con un sorriso dignitoso e indifferente, ebbe un collasso e decise di ricorrere ad attacchi latrali: gli compariva improvvisamente davanti a intervalli come un diamante sprizzante collera e gli sibilava all'orecchio:"L'hai giurato".
(perchè si diceva fossero i mariti, e se anche non si diceva? la donna ebbe un collasso? diamante sprizzante collera? Boh! Ma quanto dura la conversazione del tale con l'attrice mentre la moglie prima sorride, poi ha un collasso, poi decide di ripresentarsi ecc,ecc?)

(Incontro tra Daisy, Gatsby e il marito di lei, Tom)
"Chi vuole andare in città?" Chiese Daisy con insistenza, Gli occhi di Gatsby volarono verso di lei. "Ah" esclamò. "Come sembri fresco."
I loro occhi si incontrarono e rimasero a fissarsi soli nel vuoto..."Hai sempre un'aria così fresca" ripetè. Gli aveva detto che lo amava e Tom se ne accorse. Fu sbalordito.
("Fresco" è un complimento per un uomo? O è una frase in codice per suggerire che lei lo amava? Oppure è lo sguardo "soli nel vuoto" a dare quel significato a 'sta frase da escort sciroppata? Boh...lo dicevo che perplette...)

(Dialogo tra Nick e Gatsby)
"Daisy ha una voce indiscreta" dissi. "E' piena di..." Esitai." Ha una voce piena di monete" Disse Gatsby improvvisamente. Era proprio così. Non l'avevo mai capito prima.
(Una voce indiscreta è piena di monete? Ma che c'azzecca?)

E via di questo passo, fino alla tragedia finale che però non fa piangere nessuno.

Prima di quella c'è agio di scoprire come ci si combinava per andare alle cene galanti nella east coast del 1915: Comincia la sfilata il cantagallo del libro, Nick. Quell'essere discreto che tramanda ai posteri tutti i cazzacci di Gatsby, senza giudicare niente e nessuno come gli ha insegnato papà negli anni vulnerabili (see, va là, va là...)
 "Vestito di flanella bianca feci la traversata dal mio al suo prato..."  Flanella, bianca. In pigiama praticamente.
E queste, invece, sono un paio di tenutine del grande Gatsby:
"Un'ora dopo si aprì nervosamente il portone e Gatsby vestito di flanella bianca con la camicia color argento e la cravatta color oro entrò di corsa."
"Gatsby si fermò.Quel suo vestito rosa sgargiante creava una macchia vivace di colore sui gradini bianchi..."

Camicia argento, cravatta oro? Smoking rosa sgargiante? E noi che abbiamo sempre pensato che Little Tony fosse un tamarro.

11 agosto 2012

Dubbio da emigrante.

Nel libro dell'autrice svedese, la Ekman, quando la protagonista intravede farsi la barba il ceffo che sarà suo marito, lo descrive così: "Lei era contenta che non si fosse accorto della sua presenza perchè stava a torso nudo. Nel'aria fredda della sera. Sembra proprio uno di quei venditori ambulanti di trappole per topi, pensò Hillevi. Un italiano. E la cinghia dei pantaloni era stretta al massimo intorno alla vita sottile. La parte libera penzolava e dondolava..."
Ora, a parte l'attenta ricostruzione del look nazional popolare, che è giunto indenne fino a noi e furoreggia di estate in estate in tutto il suo virile fulgore... (domani mattina avrò un vis à vis coi miei vicini di casa TUTTI così acconciati)...E va bene che in Penisola si pativa la fame...ma tanto da arrampicarsi fino a Uppsala, in Svezia, a fare gli ambulanti per vendere trappole per topi?

10 agosto 2012

Questo è per Reiner.

Che ho imparato di più dei tedeschi e della Germania in quei pochi incontri con lui che in 4 anni di soggiorno in Germania. Reiner V. l'ho incontrato per caso, cercando casa, la terza  a Dusseldorf. Essendo la terza esperienza di ricerca case, mi sono affidata con fiducia al giornale locale, all'inserto del sabato, se ben ricordo il giorno, ricco di annunci von Privat, senza foto, intermediari e indirizzi Internet. Solo l'indirizzo reale e la data dell' appuntamento, collettivo, ad ora fissata.

Quello dove ho incontrato Reiner V. era, appunto, un appartamento scovato tramite questi annunci. Una bella casa Atbau, dagli alti soffitti in una zona storica di Ddorf, Burgmuller Str. Mi piacque subito. L'appartamento, intendo. La luce autunnale filtrava dalle ampie finestre verticali del soggiorno, una rarità che di solito sono orizzontali, drappeggiando un impapabile mantello dorato intorno ad una distinta signora altezzosamente seduta sulla poltrona; del tutto intenzionata a starsene così, almeno apparentemente, per l'eternità. Simbolo in carne e ossa della meritata pace domestica.

Il Reiner dal sorriso accogliente e dignitoso era il padrone di casa, meglio, l'affittuario in procinto di lasciare l'appartamento per una nuova magione.

L'appartamento era perfetto, nella zona perfetta della città. Costava un po'oltre le aspettative, ma visto che me n'ero innamorata sollecitai sovvenzioni familiari. Si sa che per la casa dei figlioli i genitori italiani sono malleabili.
...Invece non se ne fece nulla. No, non che la famiglia rifiutò la sovvenzione, anzi. C'era un'altra coppia in lizza, senza figli e "autoctona" cosa che a parità di solvibilità, li avvantaggiava. E poi che dico! Neanderthal proprio non ne voleva sapere!
- Si chiama Neanderthal mica per nulla, a lui basterebbe una caverna con un paio di letti a castello che c'è spazio pure per gli ospiti, figurati se è sensibile all'appeal di un appartamento Altbau dalle pareti candide e la luce morbida...
Adesso scrivo così, con leggerezza, ma piansi calde lacrime per la rabbia e il rammarico di non poterci abitare...
Poi un nuovo appartamento e una vita da organizzarci intorno richiesero tutte le energie, rimboccai le maniche e inghiottii le lacrime.

Con Reiner ci messaggiammo per un po' di tempo, cose tipo: "Mi spiace, eh anche a me, però non era detto che sarebbe stata vostra, eh lo so appunto, è stato comunque un piacere incontrarci, molto anche per me, arrivederci, arrivederci..." Poi le comunicazioni si spensero.

Ma alla fine c'incontrammo,"per fatal combinazion, perché insieme riparammo dalla pioggia in un porton..."
Così, papale papale. Pioveva, in Altstadt, non avevo l'ombrello, corsi sotto l'androne di un portone. Mi voltai e c'era un signore, accanto a me, il signore si voltò verso di me ed era ...Reiner. Un incontro fortuito e simpatico. In attesa che spiovesse, non ricordo se lui o io, lanciammo l'idea di incontrarci per bere un caffè, un caffè italiano, in un locale dove lo facevano propriamente.

Sembrava cosa fatta, invece il tempo passò, che non sa fare nulla di così bene, e ci perdemmo di nuovo di vista. E ancora, una sera ci ritrovammo, di nuovo senza preavviso, quasi vis à vis, ad una cena da Mercurio, un'associazione professionale italo -tedesca.

Da allora ci siamo incontrati per il famoso caffè quattro o cinque volte.Sempre con congruo anticipo, che Reiner è un avvocato molto impegnato, sempre in centro, sempre per un'oretta e sempre ad ora...caffè. Le 11 o le 14, al massimo.

Argomenti di conversazione con Reiner: suppellettili di casa sua che io ricordavo benissimo nella loro esatta collocazione; il denaro e la sua importanza nella vita e nelle relazioni: l'educazione dei ragazzi; la guerra mondiale, la seconda; viaggi e vacanze. Soprattutto si parlava di soldi e non ne ho mai parlato così serenamente con nessuno.
E' stato quasi liberatorio. I soldi nelle parole di Reiner apparivano come semplici portatori di opportunità e dignità.

A Reiner devo qualcosa per la conoscenza del mondo tedesco. A volte, se c'era tempo, ci accompagnavamo per riprendere la bici-la mia o l'auto -la sua. Un giorno in particolare arrivammo ad un passaggio pedonale. C'era l'alt, ma io sapevo che quella strada era chiusa al traffico veicolare, causa lavori per la nuova metropolitana, così feci per attraversare le strisce. Stavo per spiccare il passo quando sentii un tocco leggero sulla spalla.Una lieve stretta, quasi un impulso, con il pollice e l'indice
Fermi tutti! Il Reiner mi aveva toccato. E siccome non l'aveva mai fatto, e mai più lo fece, mi paralizzai immediatamente. Il mio sguardo interrogativo sollecitò la spiegazione, a bassa voce, all'orecchio...Vedi chi c'è dall'altra parte? Quattro o cinque persone stavano pazientemente aspettando il verde, uhm...non capivo, vedi che c'è una signora in bicicletta? Si...E dietro di lei un bimbo, in bici che la segue...Ah, sì!...Ecco, lei starà insegnando al bimbo a seguire le regole della strada. E noi l'aiutiamo.

In un attimo mi parve che davvero tutti, tra quelli della rive gauche e quelli della rive droite di quella maledetta strada senza macchine, tutti davvero avessero avuto lo stesso pensiero di Reiner e, per questo si erano bloccati. Tutti, tranne me. L'italiana gaglioffa.

Sono arrossita fino alla radice dei capelli, per la seconda volta nella mia vita.

Grazie Reiner, per il caffè.





9 agosto 2012

Anche le nordiche lo vogliono azzurro.

Eh, sotto sotto...tutte uguali siamo. Chi crede che le donne oltralpe, tedesche certo, ma pure scandinave abbiano in mente un modello maschile differente dal solito standard, vista la loro prestanza fisica e la capacità di fare tutto da sole, beh, si sbaglia di grosso.

Anzi. Si fa appello ad un modello, sempre sia possibile, ancora più utopico del Principe Azzurro, modello archetipo semplice, semplice. Prevede infatti "solo" una donna di classe sociale inferiore - il copione di solito impone una tapina caduta in disgrazia ma che possa vantare acconci natali- dotata di grazia e bellezza, da una parte. Dall'altra un principe, o equipollente, economicamente ben strutturato, in scacco psicologico con la figura genitoriale e quindi sensibile a una donna che gli restituisca, almen lei, un'immagine "premiante".

Con questi semplici ingredienti si confezionano frittate letterarie, più o meno riuscite, dal 3000 a.C.

Ora veniamo a noi. Lo schema di cui sopra oggi subisce nuovi radicali interventi. Ma sotto sotto...azzurro ci cova.
Gli interventi correttivi rispetto alla tradizione: alla voce pulzella, basta con la dolcezza melassosa, l'atteggiamento speranzoso e rassegnato, la vocina flebile, lo sguardo innocente e sottomesso. Cenerentola up to date è testosteronica. Volitiva, capace, caparbia. Sfida il destino e la vita. Il volto è serio e l'espressione determinata. Resta bella, via, diciamo almeno un tipo. Magra è SEMPRE magra.Magra lo era anche Cenerentola, per patimento e per evitare malintesi mostrando un corpo troppo prosperoso. Le nuove eroine lo sono ...perchè sono eroi!

Le nuove Cenerentole non arrivano vergini all'altare dell'amore, ma arrapate come valchirie (e le aspettative prestazionali schizzano alle stelle) e sono pure ambiziosette assai. Cenerentola, al contrario, aveva l'aria poco esigente su tutti i fronti...un bacetto, una bottarella riproduttiva, la grembialina nuova, una gabbietta comoda per gli amici uccellini e via giuliva a canticchiare canzoncine con le rime...

Restano invece, della Cenerentola che fu: la conflittualità con le altre donne, anche le nuove si comportano con le consessuate come belve contro belve; la scelta del campione premiante o maschio alfa che dir si voglia; l'aspirazione al salto sociale attraverso l'impegolamento del principe che le solleva, oggi come ieri,di ogni preoccupazione economica, ça va sans dire...

Tutte frottole? Varda qui per esempio, Kerstin Ekman, svedese, autrice de "La voce del Torrente". Il libro è del 2000 ma la storia è ambientata nel 1916 in Svezia. Hillevi fa la levatrice e per seguire il suo amante segreto e futuro marito, un pastore luterano, lascia Uppsala e si arrampica nello sperduto paesetto lappone di Roback. Il pastore è timido e titubante, e la Hillevi dopo un paio di rusatelle poco sapide lo molla lì per il ben più virile mercante del villaggio che parla poco ma...

Il personaggio ha dell'incredibile. E', fin dal primo apparire, descritto nei suoi attributi più maschili, buon cacciatore, odore pungente, muscoli sodi, vello scuro ("sembrava un italiano"), voce profonda e grave, ottima manualità, capacità di reggere l'alcool, intraprendenza e destrezza erotica...Lui approfitta di una festa collettiva, agguanta la levatrice, se la porta sotto le fresche frasche e...vai con il tagadà.

L'autrice tiene subito a sottolineare quanto il nostro sia differente dal timido pastore, dalle natiche fredde, in durata e fantasia amatoria...

Il mercante però non è solo l'Holmes di Roback... Nooo, bada ben è dolcissimo e premuroso e pensa a tutto lui PURE A CUCINARE e quando la Hillevi lo avvisa che la gran abbuffata sotto le stelle ha lasciato qualcosa nella pancina, LE LASCIA LIBERA SCELTA tra il matrimonio riparatore, quando e quanto vuole lei e l'aborto qualora lo ritenesse opportuno. Il mercante è ricco e stimato, scopa come un riccio ed è FEDELISSIMO...a conti fatti, la ragazza concede la sua mano, callosetta e dalle unghie tagliate corte per via della professione. E lui tocca il cielo con un dito. Ovvio.

Vabbeh, raccontata così il gioco è fin troppo palese, nella prosa letteraria, 410 pagine di artifici retorici, è un po' più tra le righe...ma il concetto di cui sopra è chiaro. Neanche il Principe Azzurro basta più come una volta, quello d'antan in fondo ci metteva poco più del distintivo, e aveva una moglie dedita e riconoscente. Oltre che di bellezza angelica. Adesso deve fare dei numeri da dio greco per ottenere i favori di banali ragazzotte in carriera, pure un pò legnosette e decisamente pretenziose...

Vedi anche: La Papessa di  Donna Woolfolk Cross...

8 agosto 2012

Eh, l'amore sì l'amore.

Io sono orfana. E mio papà è vedovo. Non si sa come se la caverà,. Tutto troppo recente, e lui, al contrario, decisamente "up". Però qualche pulsione da riconfigurazione "single" la sta dimostrando. Ieri mi ha fatto assaggiare un piatto che ha definito testualmente "una delle sue nuove sperimentazioni". Patate e zucchine e cipollotto soffritto, mica cucina molecolare! Ma è la presentazione che conta.
E, sempre ieri, qualcuno, anzi qualcuna lo ha chiamato, al telefono.
Il tono di voce iniziale di mio padre era sorpreso. Poi composto, come trattenuto, ma, nel corso della telefonata si è fatto via via più rilassato, fluido. Pure qualche risatina, ammiccamenti; la chiusa mi ha stupito. Calda, partecipe. Vera.
E durante tutta la durata della conversazione non ha mai chiesto all'interlocutrice "come era il tempo lì"...Il che, per chi conosce bene mio padre, è un indizio assai sospetto.

Un anno dopo.

Un anno fa, giorno più giorno meno, siamo rientrate in Italia. Io e Ari. E sembra ieri, soprattutto guardando la casa, che i lavori di congiunzione con il vecchio appartamento sono là da venire..., e sembra un secolo fa. Guardando a quanto si è passato.
Ihh, lo spaesamento dei primi giorni in Italia. Guidare in tangenziale, io che rispetto pedissequa i limiti, del tutto peregrini del resto, e le auto che mi starnazzano intorno coi clacson...il fastidio al supermercato, con gente e carrelli che si muovono seguendo traiettorie impazzite, come le palline di mercurio quando si rompe il termometro, lì, sul pavimento...il riassestamento familiare, io Ari e...basta, due coperti due sulla ribalta in cucina, che quasi avanza...l'imbarazzo del "dentro e fuori" di vicini e parenti e nipoti e amici, la casa che sembra un gruviera; e il primo giorno di scuola di Ari, facce nuove dinamiche nuove. Un anno fa tutto era casa, ma non era più casa...
Adesso, un anno dopo:
- faccio la spesa al super e non mi irrito se la gente urta il mio carrello. Mi perdo via, ancora, nella scelta di formaggi e salumi e verdure, ma già noto se mancano i limoni di Amalfi, e scatta pure il disappnto, o l'aglio piacentino... Sì perchè in Germania la spesa si faceva stringata e la parabola di scelta era limitata. Il disppunto nasceva dalla mancanza di carciofi, bietole, pomodori datterini, asparagi verdi, meloni retati, cose basiche, mica Dop e Igp...
- stiro i vestiti di Ari (meglio, faccio stirare).Che in Germania sembrava ben vestita ma in Italia,allestita allo stesso modo, sembrava fuoriuscita dall'antro del ciclope. Dapprima i vestitini, poi le magliette., infine i leggins..tutto sotto il ferro. Resistono, per ora, "nature" solo mutandine e canotte...
- vado dal parrucchiere e dall'estetista. Non spesso, ma con periodicità...
- ho smesso di sfruttare le ore di sole come se fossero le ultime gocce d'acqua di un naufrago. E questo un po' mi spiace. Che "su" si diventa smaliziati, a godere di ogni spiraglio di luce...E si sta fuori anche con temperature, e vento, e bigio, che qui neanche se ti pagassero.
- ho smesso di usare la bicicletta. Se non per gite di piacere, di tanto in tanto. C'è il fatto che arrampicarsi al cucuzzolo dove abitiamo, in bici, non è impresa banale. Chi lo fa, spesso, immortala l'impresa con scatto efoto su Fb.
Della Germania mi mancano, ancora, tanto: gli alberi, l'asfalto, la segnaletica ragionata e ragionevole, il pane, il burro, le mattine fresche, la luce delle sere di giugno, il multilinguismo come evento normale, i parchi, i parchi agli autogrill, la birra, il Belgio e l'Olanda a portata d'auto, i fiori, le decorazioni floreali, le affissioni pubblicitarie contenute, le librerie, le biblioteche, i ristoranti giapponesi, meglio: il ristorante giapponese, la reteWi Fi, gli amici...
Mi mancano,ancora tanto gli amici.

7 agosto 2012

Cuore anatolico.

Almanya, la mia famiglia va in Germania. E' un film di una regista Turca, Yasemin Samdereli. Gli attori, tutti, sono pure turchi. E sono bravi. Almanya è carino, brioso, perfetto per un cinema all'aperto, il ghiacciolo alla menta che si scioglie tra una sequenza patetica e l'altra, i commenti partecipi delle signore accanto, quelle che ancora, ad un certo punto, sfoderano dalle borsette squagliate sui loro coscioni un ventaglio, sbottando: "Mama che cold..."
Alla fine del film si capisce il detto greco: "Una faccia una razza". Siamo più turchi che tedeschi.
Come i turchi del film, dei tedeschi non capiamo:
  • il culto del silenzio
  • l'insofferenza verso i bambini
  • la passione ossessiva per i cani
  • l'assenza del clan familiare
  • la staticità fisica
 La coppia capostipite, protagonista del film ha dinamiche italianissime, sembrano Fabrizi e la Sora Lella...la moglie che racchetta il marito, lui che la rampogna, l'ossessione per la pulizia del nido domestico, la centralità dei bambini...
Eh sì. Lontani, ma vicini. E che siano musulmani loro e cristiani noi sembra solo un dettaglio, di poco conto.