Autunno

Autunno
E' un tramonto italiano ma a me ricorda Ddorf.
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8 novembre 2013

Ich gehe mit meiner Laterne und meine Laterne mit mir...


Chissà perché non ho ricordi dell'estate. La prima estate in Germania. Solo dell'autunno. Sarà che ad agosto, era agosto quando siamo arrivate, l'estate è finita o sta finendo a Ddorf.
Come sia, il primo autunno invece lo ricordo bene.
E soprattutto ricordo il mio primo San Martin. Ci spiegano al Kiga di Ari che si festeggia San Martin...meglio, non spiegano nulla, ci ritroviamo un bel dì a seguire una piccola processione tra i frustoli di verde e parco stretti tra la tangenziale e la collina buia della foresta demaniale della città.
Davanti due trombette e un tamburo, dietro bimbe e bimbi e genitori e insegnanti, silenziosi e compunti, e infine la macchina della polizia, a passo d'uomo, con le spie luminose accese.
Si parte. Pioviggina. Nessuno fa un plissè. “San Martin, Saan Martin”...i bimbi belano, a fil di voce, canzoncine meste, le maestre canticchiano, a fil di voce, le stesse canzoncine meste, le trombe straziano, il tamburo lacera i timpani, tump, tump,
“Che è successo a San Martin?” Chiede la mia cucciola preoccupata, allora neppure treenne.
Eh, che è successo... cose brutte, che i santi morivano male una volta...
Sto inventando. In realtà di San Martino ho dei ricordi di un ragazzone sano, tirato a lucido, sul suo cavallo, che preso da improvviso raptus di generosità dona il suo mantello, anzi una parte del suo mantello, ad un anziano mendicante. 
Già...che lì per lì non rinuncia a impressionare il vecchio e le folle - qualcuno deve pur averlo visto per tramandarne le gesta- e zac! Ne taglia un lembo con la sua bella spada.
Uhm...e se il tutto fosse partito da lì? Dall'esigenza tracotante di provare il taglio dello spadone sulla flanellona color porpora, per provare se era davvero micidiale come gli aveva assicurato il fabbro: “la provi, taglia come un grissino il tonno!”.
Però, via, non so nulla del dopo, che magari a seguito di una qualche delusione amorosa, il tapino si è rivolto al cristianesimo e si è impelagato in qualche gruppo catacombaro, rimettendoci poi le penne nei modi folkloristici e truculenti che si usavan allora.
Del resto il corteo e le musiche sono così lugubri da lasciare poco adito a dubbi...morto male, deve essere morto male.
Finalmente finisce, i genitori e i bimbi sono visibilmente sollevati dall'idea di non dover più esibirsi, rientriamo nel piazzale del Kiga e lì si distribuiscono dolcetti e affini...Ah. Dolcetti. Chiedo del perché dei dolcetti e mi si dice che a) è usanza per questa allegra tradizione renana! 
b) la commemorazione riguarda proprio l'episodio del mantello. San Martin è morto bene. Almen lui.

Però. Penso, vedi mo' che atmosfera diversa, per un evento collettivo lieto, o che dovrebbe essere tale...tutto si svolge in silenzio. Questo penso mentre la macchina della polizia vede bene di innestare la sirena, andando in strada e ci lascia tutti lì. Sotto l'acqua. Fradici. Sul piazzale nero e bagnato di pioggia a biascicar dolcetti.  

31 ottobre 2013

Il vento fa il suo giro. A casa del moroso vecchio.

Ciolghilo, ciolghilo...
Lo ciolgo, siora, lo ciolgo. Le rispondo in veneto reinventato. Ora come allora. Ora come allora sono nella cucina, mentre mi verso il caffè dalla caffettiera piccola; il tavolo rotondo, le pentole in rame appese, l'orologio, alla finestra la vista sulle viti, ormai quasi spoglie di foglie.
Non vi hanno costruito case qui fuori, fortunati.
Sì semo fortunadi. I dise...
La collezione di caffettiere, pulitissime, compongono una piccola San Giminiano, nel pensile a giorno, davanti al piano del gas dove mi sto versando il caffè -ha cambiato le tazzine, preferivo le vecchie, avevano le pareti più sottili.
Lo sguardo dalla tazzina bollente va ora all'angolo sinistro del piano. Lì c'era sempre un piatto, coperto da un tovagliolo spesso. Palacinche, fette di strudel dalla pasta grossa. Ecco cosa mi aspettava. Sotto quel tovagliolo. Adesso non c'è nessun piatto. Solo scatole bianche di medicine con la striscia del logo colorata. Compongono un domino infantile, sembra, se uno le guarda da lontano, incuriosito dalla forma regolare degli involucri.
Sono in questa cucina silenziosa. Ancora qui.
Aspettiamo la Manu. Poi vado.
Sì, spera qui che le farà piaser.
Aspetto.
Aspetta.
E intanto parliamo delle persone che ci hanno accompagnato. Una lista di morti. C'è un momento della vita che ti tocca parlare di chi non c'è più, condividere le morti di persone care con persone care. Questo momento è arrivato. Meglio viverlo che evitarlo. Come tanti altri momenti ineluttabili della vita. Che è così. Se certi passaggi li eviti, a parte averci il fisico per farlo, poi è come se ci ritornassi sempre. Chi non ha avuto figli sembra non pensare ad altro. Chi è restato all'adolescenza sembra non tentare altro che lasciarla.
Così noi si parla dei morti. Di quello che ci ricordiamo di loro. Si rievoca la Dari, lo Stanco. Il Vladi invece c'è. Il Vladi mi era sempre sembrato più acuto. O forse solo più duttile.
Poi la nonna. La mitica nonna. “Voglio la ricetta del Gulash.”
Ecco me che chiedo perentoriamente, come fosse diritto acquisito, una ricetta della nonna. E' che proprio in quel momento le mie papille gustative hanno avuto un'impennata memoriale. Si ricordano esattamente il sapore degli gnocchi al Gulash che assaporavano qui, in questa casa, in questa cucina, negli stessi piatti ci scommetto, 20 anni fa. 25 anni fa.
E' arrivata la Manu, baci e bacetti, ma io non demordo. E pretendo carta e penna per gli appunti mentre la siora sciorina gli ingredienti del Gulash. Tra questi l'ingrediente segreto. Non si ricorda subito il nome, ma ha ancora il barattolo dove lo conserva seccato. Maggiorana. Sì, è lei. Tanta. Se ne deve mettere tanta. E a metà cottura, che il sugo prenda bene. Per una frazione d'oro, il tempo sembra essersi fermato. Io rido, lei ride, ridiamo. Maggiorana! Ecco che sera!
Se podria far insieme, 'na volta.
Certo!
Poi si rabbuia.
Non ha più appetito. E questo la costerna più di ogni altra cosa del bruto mal che le hanno scoperto, nella pancia.
Ma mi non chiedo saver.
E io neppure vorrei sapere.
La mancanza d'appetito. Più dei capelli, radi sulla bella testa, più del colorito pallido del viso e dei cali di memoria. E' questo che le dà il senso del distacco da quella che era prima. Per il resto...per il resto è lei, la figura alta, dritta, dalle ossa forti, le mani grandi, lei che vaga per la cucina accavallando le cose da fare.
Gli occhi chiari da bionda che rimbalzano rapidi da una parte all'altra e che peccato che nessuno dei tre figli abbia preso i suoi oci ciari da bionda naturale.
Via è tempo. E' tempo di lasciare il tempo che si è fermato. Anche se sono già a tavola le due si alzano per seguirmi all'uscita. Mi assistono mentre lascio il parcheggio sotto casa. E mi salutano dalla porta d'ingresso e dalla finestra, con la mano.
Hanno lo stesso gesto, quando salutano, la madre e la figlia.

Non lo avevo mai notato.  

13 ottobre 2013

Sembra tutto un sogno.



E a ripensarci, adesso faccio quasi fatica a dire che è stato tutto vero. Un pezzo di vita vera. Io a Duesseldorf. L'Autunno, le giornate plumbee, l'aria pungente, il neon azzurro della T.Com alla finestra e quello rosso, Mediamarkt, sulla strada. L'asfalto bagnato, sempre bagnato, la bicicletta fedele posteggiata al palo della luce, all'angolo con Gerthsstrasse. 
La Ari da portare all'asilo, la mattina, a volte in macchina, a volte a piedi; il nostro percorso, pieno di foglie colorate, d'Autunno. Gli alberi elefante, il parchetto giochi, il tennis, i becchi delle oche, arancioni che sbucano dal telo blu, e starnazzano, il sentiero umido e scivoloso, il Dussel che scorre rapido sotto di noi, l'erba fradicia. La spesa al bio della scuola poi il rientro, da sola, a volte correndo, per l'Ostpark. La solitudine, d'Autunno. 
Anche, la solitudine.
Eppoi invece l'abitudine, a quel silenzio ovattato tra le persone, le cose, i fatti, i luoghi...è stato, ad un certo punto dell'esperienza di espatrio, come muoversi in una specie di zona protetta, che si allarga intorno al tuo corpo, creando una barriera di rispetto. Si ha la sensazione di essere invulnerabili, lì dentro. E di scivolare nel mondo esterno, più che esserci. Sensazioni da expat, appunto. E non sono durate pure molto. Ma il ricordo è vivido. 
La sofferenza spesso dura poco, ma ha un potere penetrativo nella nostra memoria incredibile. Il perché sarà legato all'istinto di sopravvivenza. Però. ora che le nostre esistenze sono in balia di sistemi sanitari e di altri che c'assistono e non di belve feroci ed eventi naturali imprevedibili, ora che non c'aggiriamo nella jungla schivando serpenti e piante velenose, potrebbe essere un pochetto meno incisiva, la sofferenza? 
Che poi. Che poi, tornando a Ddorf, all'Autunno a Ddorf... a ben guardare me la sono spassata pure. E soprattutto negli ultimi due anni mi muovevo con disinvoltura. 
E' bella la sensazione di muoversi per una città che non è la tua come se lo fosse, con la tranquillità che ti deriva dalla conoscenza. I quartieri centrali oramai li battevo palmo a palmo; i negozi; i luoghi riferimento. 
Certe confidenze pericolose, si prendono coi luoghi!
Il parco di notte, per esempio. Da sola anche in Novembre, in bici, la giaccona in goretex, le scarpe con la para, i pantaloni pesanti. Un look da expat matura. Il primo anno non ti vesti così, se non saltuariamente, ma poi... poi diventa una divisa. 
Quelle orrende scarpone da tedesca te le ritrovi ai piedi. E trovi che siano pure comode e...sì, ti piacciono. La macchia sui calzoni... che vuoi che sia. Stirare i vestiti ai bambini... si smette. Che a Ddorf non lo fa proprio nessuno e t'avvedi presto dell'inutilità del gesto. 
E io viaggiavo, con la mia bicicletta. D'Autunno. Di notte. Aspirando l'aria pungente del buio, buio come raramente da noi. Aggiravo la statua delle oche, la casetta delle anatre. E qui, sempre, pensavo "devo portare il pane raffermo". Non me lo sono mai ricordata di portarlo, il sacchetto del pane. In quattro anni. Ecco. Le panchine retroilluminate dal neon. Siamo quasi a metà strada. Mi ci ero pure seduta una volta, la prima, in cerca di calore. E ci ho ricavato solo il sedere bagnato. 
Che tutto è bagnato a Duesseldorf d'Autunno. 

10 ottobre 2013

Sì, scrivo meno.

Come entrare nella casa delle vacanze, dopo il periodo di chiusura. Tutto è familiare, e, insieme, estraneo. L'odore di chiuso o di umido. La tazzina del caffè, chissà perché non la si è notata quando si è varcato l'uscio, abbandonata sul tavolino. La Bialetti, a proposito, la mitica Bialetti...dov'è? Eccola sullo scaffale, chissà se ci siamo ricordati di svuotarla dall'ultima volta che...no. No. 
Il caffè è ammuffito, l'acqua ferma ha reso la caldaietta un ambiente palustre, buono per i girini. E la guarnizione? Andata. Di già, via un'altra. Da quando le fanno in Cina le guarnizioni non tengono proprio più niente. Notato? Le gomme -delle suole, delle guarnizioni, delle borse, borsette, delle giacche, persino degli elastici dei calzini, dei calzoni - da qualche tempo non valgono più nulla. Non resistono. Una volta serbavo le scarpe da tennis intonse della Ari. Per i cuginetti. Ora quando il numero sale, le regalo subito. Non vale la pena tenerle. Appena le metti, dopo un paio d'anni di fermo, si disfano. Letteralmente.

E così anche per il Blog. Questo Blog. Nasceva con contenuti misti, ma legati all'esperienza dell'espatrio, prima. E del rientro in Italia, dopo. Certo, di fatto era un bello zibaldone. ma è la vita che è così. Ci se ne rende conto quando si rileggono le mail, i messaggi inviati e ricevuti in una giornata. C'è di tutto. Con tutte le sfumature emotive legate a quel momento e a quella persona specifica. 
E così era questo Blog. E ora? 
Ora. 
Ora mi siedo sul divano, sposto il lenzuolo messo a suo tempo per proteggerlo. Che bella la vista dalla finestra. Un caffè, ci vorrebbe un caffè. La Bialetti è proprio inutilizzabile? Via, un giro di prova, con tanta miscela, poi si butta e...poi si vede. Magari al secondo giro il caffè è bevibile.
E i contenuti? del Blog, dico. E i contenuti...leghiamoli alla vita e poi vediamo. Si fa un giro di prova, al massimo si butta via qualcosa, il titolo per esempio e poi...e poi si beve. Pardon, si vede.

1 luglio 2013

La signora.

Io nella vita vorrei fare la signora. 
L'età l'ho raggiunta, la stazza anche. 
La signora, ma mica come quelle stolide vecchie ragazze di adesso. La signora come una di quelle che incontravo da bambina, al Forte, d'estate.
La signora aveva tutto un suo modo di incedere, di comportarsi, di muoversi, di parlare, di alludere. Arrivava in spiaggia con occhialoni e prendisole sgargiante. Gioielli a profusione. La fede al dito. Il brillante del fidanzamento. Ogni gioia rappresentava una tappa della vita, prima che Pomellato inventasse una linea apposta. Ogni gioia aveva un senso. Gli orecchini della madre, il cameo appartenuto alla sorella morta di leucemia, il pendente regalo dello zio Claudio prima di partire per l'Africa, il rubino il primo figlio, la spilla della vecchia zia assistita durante la lunga degenza. Erano gioielli belli, usati e sensati. La signora nel raccontare la loro storia a volte si commuoveva, giusto un po'. Ma manteneva sempre desto il senso del qui e ora. E del comportamento acconcio. Mica facile scomporre una signora. Mica reattiva come quella pescivendola della Santanché. Sangue freddo. Tempra d'acciaio. Cicatrici di gravidanze plurime e a volte, peritoniti, testimoniavano il valore acquisito sul campo. 
Cicatrici evidenti su pance non trattate, molli, abbronzate e tirate a lucido. La signora arrivata in spiaggia e assettata sul lettino, infatti, per prima cosa s'impomatava. E la cosa durava almeno una mezz'oretta. Con dita lunghe ed esperte cominciava dagli stinchi, poi le cosce lisce, s'addentrava sull'addome largo, s'infilava nel reggipetto, rinforzato, per poi indulgere sulle spalle e le braccia. Sempre toniche. Che tra figli piccoli e nipoti e tappeti da volgere e riavvolgere, le tende, sempre pesanti, di velluto, e i mobili da movimentare con la fida cameriera...I bicipidi restavano la parte soda del corpo. 
Si lustravano, le signore, con oli profumati, intensi e persistenti tratti da flaconi pesanti, dai nomi improbabili, quasi sempre francesi. Alla fine la pelle riluceva come l'impiallaccitura dei mobili delle loro case. Brunite e levigate, finalmente, si allungavano al sole. 
Gli occhialoni. Il turbante. I gioielli. Vestite anche se nude, come dee greche. Il reggipetto era rispettosamente tenuto in loco. Ma si sganciavano tutti i laccetti. Brutti i segni sulle spalle! Un tramestio infinito, per evitare i ponti pallidi sulle spallucce. 
La signora era sempre truccata. Almeno sulle labbra. E, rigorosamente, unghie smaltate. Pedicure perfette. Smalti spessi come resine epossidiche. Brillanti rossi, rosa corallo, ammalianti. 
La signora parlava, eccome. Melliflua s'informava dei fatti di famiglia, come un boss mafioso. Si ricordava tutto. Non tralasciava nulla. Del resto, essere il nume familiare era il senso primo ed ultimo della signora. 
Tradimenti, nascite, morti...Quello che non si poteva accettare era il divorzio. Il divorzio mai.
La signora sapeva come blandire il proprio uomo. Mantenendo una sua identità e dignità. Accettava a testa alta le corna, plurime, del marito. Se tradiva, o aveva tradito, lo faceva discretamente. Mai pubblicamente. Che il modo si trovava. 
Parlando dei fatti della vita, di tutto il resto se ne impippava bellamente, passava da un tono scaltro a uno allusivo, e sempre attenta alla presenza dei bambini. Mai commozioni troppo evidenti... si prediligevano gli aspetti istruttivi, i consigli per curare le varici, depilare le ascelle, nascondere una scollatura troppo evidente, i rimedi contro l'alitosi, la fuga del marito, la presenza di zanzare, i tarli nel sideboard, le crisi adolescenziali...non c'era nulla che la signora non sapesse affrontare. Niente che la potesse scalfire. Rassicurante e certa come le Apuane, sullo sfondo dietro al mare, dietro alla spiaggia. L'eterna nube bianca incastrata sulla cima.
La signora, alla fine offriva sempre una nuvoletta di gelato a noi bambini. 
E ancora ricordo l'asprigno del limone, il mio gusto prediletto, sulla lingua. 
Pretendeva in cambio un bacio, sulla guancia, ma per finta. 
Mica si rovinava la cipria, in cambio di un gelato, la signora.

14 maggio 2013

Una splendida giornata.

Per Città Alta
Ari è via.
Comincia a pesarmi la sua assenza. Ho capito che il tempo d'oro, coi figli, è questo che sto vivendo ora. Quando non più piccoli (tutta manutenzione) non sono ancora troppo grandi, protesi verso la loro vita che ci riguarda, a noi genitori, solo lateralmente...
E' mattina. Allungo la mano, siamo ancora ospiti da mio padre e io e la bimba dormiamo in due letti adiacenti, nella stessa stanza. Allungo la mano ma incontro solo coperte e peluches. Già, appunto. Ari è via coi cuginetti.
Mi alzo, mi lavo, esco, attraverso la strada per comprare le brioches fresche in pasticceria, il profumo delle frolle e della torta Donizetti invade le vie.
Tanta gente, oggi, in coda. E' la festa della mamma, le nonnine sono in gran spolvero coi gioielli buoni e la messa in piega e le calze velate e un timido tacco. Cuori, cuori, torte a cuore per tutti.
La colazione è un rito silenzioso, mi piace il profumo di Earl Gray dalla teiera. Per profumare il the già nell''800 si produceva il bergamotto; il migliore al mondo proveniva dall'agro palermitano e nell'agro palermitano, nell''800, nasceva la mafia, la più forte al mondo. Chissà dove lo producono oggi il bergamotto per l'Earl Grey e che mafie si spartiscono i proventi della produzione.

La grembiala ricamata
Mi vesto, una grembiala scovata in un baule, ricamata a mano da mia zia, fiori grossi e vivaci, le scarpette della Redoute di mia nipote, a 12 anni ha il mio numero di piede, e sono in cammino per la Città Vecchia. O Città Alta. I due nomi sono intercambiabili e tutti capiscono che si tratta del centro storico.
La città, questa città, in questi anni ha cambiato compagine.
Da una parte, paesaggistica diciamo, si è declassata:asfalti corrosi, cementi corrosi, muri corrosi, capannoni disabitati, aree verdi rarefatte, incroci folli, lavori perennemente in corso, centri commerciali elefantiaci e, soprattutto, l'areoporto di Orio hanno molto svilito l'immagine di piccola, ma pulita operosa cittadina lombarda.
Però, d'altra parte, mai come oggi la città è ricca di manifestazioni artistiche, letterarie, teatrali con una caterva di festival e happening e incontri e installazioni e locali all'aperto che ospitano e promuovono iniziative. Si sono moltiplicati i contenitori a disposizione ...penso ai nuovi musei che negli ultimi anni hanno aperto i battenti, quello del '500, l'ALT, il Museo del Tessile, la biblioteca Tadini. Penso al parco della Trucca, vicino al nuovo Ospedale, gli spalti di sant'Agostino, la Fiera, il nuovo Teatro Sociale, il Palamonti. E "i vecchi" contenitori si sono riattualizzati, il museo del Risorgimento, l'Orto botanico, l'Università coi chiostri. Ecco, raggiungo la Piazza Vecchia, cuore dell'orobicità. Una volta, per la ragione di cui sopra, era intoccabile. Oggi, non passa we che non succeda qualcosa che la trasforma, ne ridisegna gli spazi e i confini.
In piazza mi attardo, è bello vedere la gente vedere la gente. C'è allegria, le Comunioni e le Cresime fanno sbocciare corolle di bambine che vaporose nelle loro vestine saltellano sulle antiche pietre.
Incontro un'artista conosciuta giusto qualche settimana fa, l'accompagno a mangiare un trancio di pizza, lei è simpatica, i suoi tre figli pure, il marito anche. Fa il restauratore d'organo. Respiro l'aria serena di una famiglia unita.

Incontro: Patrizia mamma artista
Vanno. Io resto. Mi concedo una birra sotto il berceau della cooperativa Città Alta. L'unico posto in città dove si praticano prezzi pop, aperto per i pochi veri abitanti del quartiere sopravvissuti, e le loro esigenze di gioco delle carte e bianchini; intanto che si gioca a bocce, si ristruttura l'adiacente convento di Sant'Agata.
La coperativa di città Alta.

Il giornale, il sasso per evitare lo sfarfallio delle pagine.
Leggo il giornale, guardo la gente, la gente guarda me che leggo il giornale. Distrattamente.
La birra è fresca, la giornata calda.
Rientro. Oggi è giorno di trasloco, la fase b, per spostare i mobili accatastati in una stanza. Giacevano in attesa del "buco" tra i due appartamenti. Il buco c'è. I "gravi" si possono agevolmente spostare ai garage.
Per il trasloco mi sono, forse ingenuamente, consegnata al raket rumeno della bassa brembana...io do' una cucina a te, tu mi aiuti quando ne ho bisogno. Capito? Certo, ho capito, signora, capito. Vengo ma chiama prima chiama, capito signora? Ho chiamato,e ieri mi hanno bidonato. Oggi, domenica, un'ora dopo rispetto a quando concordato, dopo un paio di telefonate di sollecito, si presenta il boss dei rumeni. In mercedes da boss e occhiali da boss, con moglie vestita da moglie di boss e pargoletti. Mi sento intimorita e un filo allarmata da questo pacchiano carrozzone...speriamo che non lo vedano i vicini... Naturalmente, i vicini sono tutti fuori come le lumache dopo un'acquazzone. E vedono la band Kusturica che mi sono tirata appresso.
Poi è solo lavoro, sposta qui, attenta là, Dona portami questo, no qui non va bene, faccio io, prendilo sotto, alla francese, lo vedi che così non pesa? qui hai rovinato il mobile signora hai visto non va bene, così, no va bene...pure il rumeno mi rampogna...l'architetto mi rampogna, mio padre mi rampogna, il marito mi rampogna, il muratore, il gessista, l'elettricista, l'idraulico mi rampognano...
Via. Alla fine tutto è stipato. Altre stanze vuote. La luce del tramonto sulle colline.
E' una bella giornata di maggio. E la vita è ancora una giostra che gira.

13 maggio 2013

Tanti auguri, mamma.


Ieri giornata della mamma. L'ho celebrata così, contribuendo con tre paia di scarpe all'installazione di Elina Chauvet Zapatos Rojos: le Crocs di mia mamma, le mie zeppone e le scarpette rosse di Arianna.
Quest'anno niente fiori e torte a cuore. Ma passione e partecipazione.
 
 
 

18 febbraio 2013

Time flies

Conversazione tra amiche, al centro quella che, dopo un paio di rendez vous con un amante si 'interroga sul perché il figuro abbia preso il largo:
“Non è che l'hai spaventato?”
“Forse ti ha visto su Facebook con quel sorriso ammiccante e il vestito tutto scollato...”
“ O magari gli hai parlato del tuo ex...”
“ Non dirmi che l'hai coccolato dopo l'amore, lo sai che a loro non piace...”
“Sì, li fa sentire sotto pressione”
Un attimo e sovrappongo l'immagine dello stesso crocicchio con le stesse donne però un paio di decenni fa, tipo da ragazze ventenni:
“Non è che l'hai deluso?”
“Magari il profilo su Facebook, con quel sorriso da foto di liceale in gita alla sua mamma”
“Gli hai parlato vero dei tuoi ex?”
“No, non dirmi che ti ha coccolato dopo l'amore e tu hai detto no basta...”
“Certo, lo sai che li fa sentire rifiutati...”
Così, ricordi lontani...

http://www.youtube.com/watch?v=p8jm61vk2Ao

11 febbraio 2013

Carnevale. Che strano scherzo.

A Düsseldorf. Per il Carnevale renano. Il Carnevale e`quello che ho imparato a conoscere, condividere, apprezzare, a volte evitare...con la gente mascherata per strada, i party improvvisati e quelli organizzati nelle rock kneipe (cantine dove si fa musica), gli ubriachi abbruttiti, le belle sfilate di carri, con i lanci di dolcetti ai bimbi, gli "Helau!" che rimbalzano da una parte all`altra della citta`...e mai come quest`anno mi e`chiaro il calendario: la sfilata dei bambini in Altstadt al sabato, come sempre ci si trova con altre mamme assiderate e bimbi irrequieti davanti al panificio piu` famoso del centro. Il giorno dopo e`la volta della sfilata di Gerresheim, il quartiere dove abbiamo vissuto e dove ancora oggi Arianna va periodicamente dal dentista. Anche qui, persino gli angoli piu`assolati, dove sostare in attesa dei carri, sono noti e riconoscibili...Rosenmontag si chiude con una gran parata, una gran bevuta e un gran ammasso di vetri ovunque.Tutto e` come sempre. Ma stavolta e` diverso.
Stavolta non so...non e` piu`casa mia.
Via, si puo` scrivere "The end" al capitolo Düsseldorf. Chiuso, anche questo, come tanti altri nella mia vita.

Eccolo. Anche qui, lui sempre lui. Del resto il tema di quest`anno era la politica...

14 gennaio 2013

Il regalo più bello...

Quanti anni avevo, otto, nove? So che era estate, una estate lunga e ferma, immobile il sole, la sabbia bollente, le Apuane sullo sfondo azzurro, l'odore della pineta, della resina delle pigne, il sapore dei pinoli, il frinire delle cicale, avevo il mio rifugio, una grande amaca, macchia bianca nella macchia di pini scuri, là in fondo al giardino, ci scivolavo dentro, l'odore intenso del cotone umido sulla pelle, un libro sotto un braccio, una fetta di pandolce spalmata di marmellata di prugne, aspra, nella mano. Amavo quei momenti di solitudine lunghi e immobili e amavo un libro in particolare, con tante illustrazioni a ghirigoro...leggevo e capivo poco ma l'immaginazione cuciva storie epiche, ispirate dalle immagini suggestive.
Eccolo, il libro scovato da zia in chissà quale anfratto, sopravvissuto a traslochi e padroni, bimbi e cani...Un'edizione dell'Orlando Furioso, Curcio editore,1949.
Se il regalo di Natale deve dare emozione, ecco, questo è stato il regalo più bello.



11 dicembre 2012

Mercatino di Natale. Tutto a 0,50 cent

Tra le cose che mia madre ci ha lasciato, scatole e scatole e scatole di addobbi natalizi. Dal 1963 al 2011. Tutti separati per tipologia e colore. Oro, rosso, verde, argento...ma anche rosa e azzurro, con un'incursione avanguardista nel lilla.
Ora, di fronte alla sterminata panoplia di alberi, babbi natali, renne, angioli, candele, cornucopie, palline, statuette del presepe, centrotavola, festoni, ghirlande abbiamo preso la coraggiosa decisione di metter tutto in vendita.
E organizzare un mercatino di Sant'Ambrogio a casa dei miei. Ex casa dei miei.
Facile a dirsi, come sempre l'impegno si è rivelato n° volte superiore alle aspettative. Per questo il blog si è zittito. Che poi tanto male, ogni tanto non fa.
Si sono coinvolte la Ari, mia nipote e poi le amiche della nipote. Che andavo a ritirare alle varie scuole, poi  tutte imbaccuccate una volta a destinazione ci avventavamo sui panini e mortadella, e via a disfare scatoloni polverosi e a passare in rassegna oggettini e oggettoni fino alle ultime luci del giorno.
Al freddo, nelle grandi stanze.
Posso dire oggi, due giorni dopo l'happening, che è stato quasi bello.
Per diverse ragioni.
La prima è personale. Non so per quanto tempo la casa dei miei rimarrà nostra. Vivere per qualche giorno ancora, tra quelle mura familiari, che mi hanno accolto bambina e hanno sempre rappresentato per me "casa" è stato bello.
Un addio dolce e silenzioso. Io e lei. Circondati dall'inverno.

Con le ragazze si lavorava insieme. Che è una delle dimensioni più rilassanti della condivisione umana, lavorare insieme. I riti, i ritmi, il fare, le parole...Si è cominciato il primo giorno che io ero la zia di, si è finito che si parlava di tutto. Insieme, appunto.
"Le letture sull'adolescenza che ci raccontano a scuola mi fanno proprio quell'effetto lì: deprimermi come gli adolescenti!". Una delle chicche delle conversazioni.
Pare che adesso a scuola si impartiscano pillole di educazione ai sentimenti. e, poveretti, i professori cercano di pescar nel mazzo proponendo stralci letterari sui vari disagi adolescenziali. La videodipendenza, le tendenze autistiche, la relazione conflittuale con la famiglia...Penso che all'uditorio succeda così, chi è del gruppo sensibile se ne fa un baffo che non ha la minima consapevolezza di appartenerci...altri si scioccano o, appunto, si deprimono all'idea di trascorrere un periodo esistenziale così sfigato.
Ma non avrei consigli alternativi da fornire ai professori. All'osservazione tutta femminile invece che i ragazzi o sono inconsiderabili o hanno la sindrome di Peter Pan e non sono pronti per l'amore vero, ho ribadito che essere dei Peter Pan a 13 anni ci sta. Anche a 15, fino a 24, via. Dopo, magari qualcosa si può eccepire.
Sono serie le ragazze a 13 anni. Nei miei ricordi anche a 20.
A 30, per fortuna nostra, si diventa più lepide.

Poi c'è stato l'allestimento del mercatino. Abbiamo deciso di ricreare un ambiente natalizio per ogni settore cromatico e così abbiamo fatto, cercando di vivacizzare gli habitat con cestini, ciocchi di legna, tavoli, vassoi...praticamente installazioni da fare invidia ai Xmas tree shop.
Il pricing ha seguito una e una sola regola: tutto a niente. Quasi. Che poi un poco mi è dispiaciuto, le statuette della Thun, mi dicono costino un botto. Mica 1 euro come al nostro mercatino! A me quei pipotti con gli occhi socchiusi e le bocche da bambole gonfiabili formato mignon, francamente...
Comunque sono state acquistate immediatamente, come quasi tutti i pezzi di porcellana fine. Vedi tu che occhi di falco girano tra gli amici.
Per accogliere i generosi acquirenti abbiamo pensato al Vin Brulè. Che ha spopolato. Tutti a fare complimenti, a chiedere cosa aveva di tanto speciale la ricetta. Una e una sola cosa. Il vino buono. Ottima e abbondante Bonarda piemontesa, a 13°. Eccolo il segreto.
Alle 11 am del fatidico giorno, l'8 dicembre, io ero già avvolta nei fumi dell'alcol. Letteralmente che ero ai fornelli dalle 9.30 con il pentolone e la cannella e le bucce d'arancia. Siamo scampati a un quasi incendio. Pedissequa, come ricetta imponeva avevo avvicinato il fiammifero alla superficie del vino, ma mica pensavo che le fiamme s'innalzassero come nel rogo di Troia!
Durante il trasporto abbiamo evitato lo scoppio della pentola a pressione contenente il liquido bollente, non so per quale fortunata configurazione astrale. Guidare con un sibilo ascendente nell'abitacolo mi ha riportato a certe scene di Indiana Jones e il Tempio maledetto. Dopo tante emozioni forti, ci stava, a destinazione raggiunta, un generoso assaggio della bevanda tonificante! Con lo stomaco rigorosamente vuoto, toccare il nirvana, è stato un attimo.

Come è andata dopo. Benissimo.
E ogni qualvolta si presentava un minimo problema rabboccavo semplicemente il bicchiere.




31 ottobre 2012

Speriamo che non sia intelligente, speriamo che non sia intelligente, speriamo che non sia...

Come un mantra. Stasera me lo ripeto come un mantra. Speriamo che mia figlia non sia intelligente, intelligente nel senso più banale del termine, intelligente logico-matematicamente-astrattamente. Quell'intelligenza misurabile con l'IQ, per intenderci. Qualcuno va anche a farsi inseminare con lo sperma dei Nobel per ottenere un bimbo intelligente in quel senso lì.
Io no. Mai l'avrei fatto nella vita. Piuttosto un'inseminazione naturale da quel bel vitellazzo del vicino, sempre biotto fino alla cintola, che se gli infili due congiuntivi di seguito ti guarda come tu fossi la Madonna di Fatima.
Eppure ci sono degli indizi sospetti. E' brava a scuola. Vuole sapere tutto sugli strati terrestri, i Romani, l'Età della pietra, l'evoluzionismo Darwiniano...Quest'estatate si era appassionata ai documentari sui Paesi nel Mondo e una volta, in pizzeria quando è cominciato SuperQuark alla Tv è scattata come un automa per seguire il documentario sui minerali oversize di una cavolo di grotta in Messico.

Ma non sono queste le cose che opprimono una mamma -relativamente- povera e conseguentemente poco propensa a sponsorizzare gli studi universitari della figlia.
E' la dark side dell'intelligenza logico matematica che terrorizza una mamma di pancia.

Cosa porta quell'intelligenza lì? In primis una diminuita capacità di leggere il dato contestuale. Tra cui l'aspetto prettamente emotivo della comunicazione interpersonale. E la Ari in quella è una mezza schiappa. Si fa infinocchiare dalla figlia della vicina che ha due anni meno di lei (tra 7 e 5 anni, lo iato è incommensurabile), lei la fa pirlare come vuole, emotivamente parlando, blandendola con care parole, quando deve ottenere qualcosa e  facendola schiumare dalla rabbia, se ritiene di essere stata abbindolata ed è in cerca di vendetta.

E questo è il primo aspetto "cupo" dell'IQ elevato. Poi, peggio. Cosa dire della scarsa flessibilità energetica? Acclaro. La Ari ha un ritmo sonno veglia come il dressage dei cavalli lipizzani. Preciso, costante, da vigilare nella sua periodicità. Stasera per esempio, Halloween, la Ari era sovraeccitata fin dalle 16. Un elettrone sbalzato d'orbitale. Ecco cosa mi sembrava mia figlia. E purtroppo io la becco subito, da mamma...Anche se tento di lasciarla in pace...sento nella pelle mia la sua sovraeccitazione.
Del resto: le compagne, i dolcetti da cucinare insieme, la cerimonia della vestizione da strega, il trucco, il corteo di streghette per strada, i dolcetti, tutti quegli zuccheri nel sangue.
Insomma alle 22 la Ari è un fascio di nervi tesi.
Redarguisce malamente chiunque, me soprattutto...io resisto poco e male e m'arrabbio, lei comincia lo show: "sono cattiva, dammi le botte, non lo farò più, sono disperata", si percuote che sembra un officiante umbro in processione di Ognissanti...ulula....Tutto solo perchè ha esaurito le batterie e DEVE andare a dormire.

Che fare? A mo' di camicia di forza, la mamma, purtroppo io, a quel punto afferra il bimbo e lo contiene fisicamente. Il bimbo straparla, ma il contenimento fisico ottiene 9 su 10 il contenimento verbale ed emotivo. Dopo poco il bimbo si quieta, "sta" e diviene recettivo alle parole...

In sintesi la Ari, a 7 anni suonati, non è in grado di andare a dormire due ore dopo la schedule consuetudinaria. E questo, a mio istintivo parere, è un risvolto triste della sua intelligenza...

Ps: per direzionare le prospettive lavorative di mia figlia, ho già predisposto un bel velcro con cui farla dilettare: l'allenamento alla depilazione del pelo superfluo. La sventurata rispose di Manzoniana memoria o non era stata avviata alla sua professione con simili utili giochetti?

La Ari, in pizzeria che si guarda Superquark.

14 ottobre 2012

Quanto durerà...

Prima sono stata irremovibile: "A letto nel lettone, poi però ognuno al suo posto." 
La coerenza è fattore educativo importante, la chiave dell'autorevolezza genitoriale.
Allora poi vado di là, in camera, anche se molto meno motivata dopo un paio d'ore di serena solitudine, al calduccio della stufa. Che ho acceso oggi, tanto per contrastare quel brivido d'autunno che è penetrato in casa..

Accendo la luce nel corridoio, mi avvicino al letto e...li scopro così, stretti stretti, addormentati, abbracciati. Mi fermo a guardarli...come sono belli i bambini quando dormono. La Ari si sposta di lato e il cuginetto ridisegna la sua posizione, e torna ad allungare il braccio sul fianco di lei. Dopo un paio di attimi anche lei risponde allungando il suo braccio. E, di nuovo, si riabbracciano.

(C'è sempre stata una speciale intimità tra i due piccoli della famiglia, sei mesi di differenza d'età l'uno con l'altra. Fin dall'inizio hanno condiviso giochi e attitudini. Entrambi quando vedono/fanno qualcosa che piace tendono a cancellare tutto il resto intorno. Effetto Photoshop lo chiamo . Entrambi sono degli entusiasti. Entrambi sono attivi. Hanno bisogno dell'aria aperta.)

Hanno qualcosa, i bambini, nei loro movimenti, gesti, espressioni che sembra eterno ed immutabile, pur soggetto al costante cambiamento. Un po' come la Natura: i paesaggi, lo scorrere del fiume, i temporali, le stagioni, il fuoco. Quando li guardi, i paesaggi, lo scorrere del fiume, i temporali, le stagioni, il fuoco, ecco "sono". Anche se cambiano di lì a poco. Chissà se mi sono spiegata...

Li guardo, li respiro, quei due corpicini stretti l'uno all'altro, i visini beati e sorridenti. E vorrei solo che fosse sempre così: loro abbracciati che dormono, io avvolta nello scialle che li guardo, appoggiata allo stipite della porta, le fioca luce che filtra dal corridoio...e fuori, oltre la finestra, la prima intirizzita notte d'autunno.

Poi mi riscuoto. Chiudo la porta, torno in soggiorno.
Non so dove l'ho letto...l'incoerenza irrita. La coerenza ammazza.


13 ottobre 2012

Tartar Cream, bitte.

Oggi ho cucinato una crostata. E mentre giuntavo gli ingredienti m'è sovvenuta una scena gustosa, delle tante, nei miei primi tempi da expat. Allora come ora non metto lievito chimico nei dolci...l'amarognolo lo sento, malgrado la vaniglietta posticcia che c'aggiungono, per cui o lascio l'impasto tale e quale o ci metto un pizzico di cremor tartaro.

Che tra l'altro è l'ingrediente principale, se ben ricordo, dei vari Bertolini, Pane degli angeli et similia...Vabbuoh. Un giorno qualunque di vari anni fa, come oggi voglio fare una crostata e manca il cremor tartaro. Confidando nella competenza linguistica dei locali, mi avventuro alla Rewe.

"I am doing a crostata", sicuro come il mondo che sanno cosa è, qui conoscono ogni ricetta italiana del cucchiaio d'argento....Uhm, tranne la crostata. Scopro poco dopo.

Non demordo: "It's a cake, I will need some...Tartar cream."
Sbigottimento totale...Non demordo: "kind of yeast for cakes and cookies..."
Sbigottimento totale. Demordo.

Scopro poi, grazie al tam tam di amiche e conoscenti che il Cremor tartaro c'è, non credete a chi vi dice che in Germania si mangia male, che si può mangiare molto bene, trovi quello che vuoi e anche a dei prezzi raggiungibili, c'è e si chiama Weinstein.

Che è pure più logico. Ora vado a vedere com'è che noi invece gli abbiamo dato il nome fantasia...

12 settembre 2012

Questa sono io...

...E ora come allora non so bene dove andare. Sotto la tenda, per nascondermi dalla pittrice e dai miei no, che nessuno, stavolta, mi verrebbe a cercare. Ne sono sicura (qualche sicurezza in più, dai tempi di questo ritratto l'ho acquisita).

Allora, ancora, si facevano i ritratti di posa, io ero timida, mi ricordo bene che cercavo di nascondermi anche se la signora  pittrice  sembrava una tipa a posto, gentile, composta, bionda e anziana. Me la ricordo così, un ricordo insieme confuso e preciso come i ricordi d'infanzia, come i sogni...sbucai dalla tenda del salotto e lei disse, rivolgendosi ai miei: "Sta bene con la tenda sulla testa, la dipingo come fosse un copricapo esotico..." O giù di lì... Così fece, e fece bene che io non ne potevo più. Poi non so che questo è uno di quegli oggetti che sai che c'è, ma non te ne curi mai. Però adesso, mio padre mi ha chiesto di prenderlo. E io non l'ho, ancora, preso, che mi sembra che questo ritratto e il luogo che lo ha ospitato per più di 40 anni siano una cosa sola. Adesso va così. E lui, il ritratto di quella bambina timida e chiarocrinuta, è ancora qui:, in compagnia di poche suppellettili, polvere e silenzio:





8 settembre 2012

Un'estate al mare...

Ecco la spiaggia che si chiama(va) west point. Di cui si è già scritto. Con la crisi di spiagge di sabbia che c'è in Liguria, ci si aspetterebbe una tutela accorta...invece no. Negli anni è stata adibita a discarica del materiale di risulta proveniente dai lavori della ferrovia; cantiere per la costruzione del porto turistico, attualmente bloccato; alfin verrà rasa al suolo da una megadiscoteca sul mare, così dicono quest'anno, gestita da russi facoltosi...

Intanto, tra palme bruciate e sentieri tra transenne divelte, noi siamo tornate a west point e al suo fascino da Scampia on the beach. Nota di costume: i tedeschi ne vanno pazzi.


L'accogliente cartello di benvenuto, con quel tocco di combusto in stile locale... 


Il tavolo, capiente, ricavato dal materiale a km0, della spiaggia.


 Sabbia, finalmente sabbia fine per i piedi martoriati dai ciottoli liguri...


Chiare fresche dolci acque...alla spiaggia c'è pure una fonte, che un ammirevole ingegno ha provveduto a rendere fruibile. Flaconi ecochic a disposizione dei bagnanti, sempre a provenienza km 0


Dotte conversazioni a "puccio" nel mare...




30 agosto 2012

Mala tempora currunt...

Niente ti dà più il senso del tempo che passa, meglio, di te che sei passata, della corte di un pretendente azonale. Acclaro. Ad ogni età corrisponde una zona, una fascia di erotizzazione. La fascia comprende persone più giovani e più vecchie di te, oltre a quelle coeve, ma, perversioni a parte, esclude "naturalmente" quelle troppo giovani, coloro che, banalmente, potrebbero essere i tuoi fratelli più piccoli o i tuoi figli, e quelle over. Cioè, sempre banalizzando, quelle in cui è facile riconoscere i tuoi genitori e i loro coetanei.
Insomma quest'estate, nelle rare occasioni mondane, questo mi è occorso. Un giovane alla ricerca di emozioni forti, e pettegolezzo facile, che mi è piombato una sera in tenda, e la corte palpitante di un paio di "umarell", di quelli cui mi devo sforzare a dare del tu, per intenderci, tanto li percepisco maturi, anziani, "altri" rispetto ai candidati del mio -presunto- aerale erotico.
Tralasciando le manovre di "smarcamento", quello che rimane è un senso di imbarazzo e di spiazzamento. In tutti e tre i casi è mancato il lancio del guanto, l'accendersi della miccia, insomma: uno sguardo, una parola, un gesto di complicità da parte mia. Quindi sai che palle.
E per i due "dentiera felix" subentra pure un certo avvilimento. Com'è che esemplari di specie così diversa mi ritengano partner papabile?  Poi un'occhiatina allo specchio, stamattina, ha dato la risposta. Panzotta aggettante, palpebra appesantita, capello tritinta (castano fulvo naturale, aperol o pel di carota, bianco stanco). Fine dei dubbi: mi ritengono papabile perché sono entrata nella loro fascia erotica. Che poi io non mi ci ritrovi ancora, questo è un problema mio.
...Sto meditando, seriamente, una dieta feroce e un botulino party, tanto per rimandare un poco la bevuta dell'amaro calice.

17 agosto 2012

Bagno Bemi.




A Luglio sono passata in Versilia a trovare mia zia, e in quell'occasione mi sono ritrovata al bagno dove andavo da piccola. Bagno Bemi. Stessa insegna, con il carattere a palloncino degli anni '70, stesse cabine azzurre, stesso odore nelle cabine. Un misto tra effluvi di legno, di salsedine e di vernice, quelle con base oleosa, che per recuperare i pennelli occorre l'acqua ragia, per intenderci.

Un odore che mi ha riportato con prepotenza alle estati della mia infanzia. Nella cabina dove provvedevo a cambiarmi, complice la memoria olfattiva, mi sono ritrovata bambina, con mia cugina accanto -il suo corpo adolescente, ambrato, prorompente, dal profumo penetrante - che mi diceva: "controlla che nessuno sta spiando, lì, dove c'è il buco". Tra un'asse bianca e quella azzurra c'era una fessura e oltre la fessura, effettivamente, un occhio spalancato.

Effettivamente qualcuno spiava.

E' che a volte mia cugina si arrabbiava, e con la mano chiudeva la fessura, a volte invece si divertiva a provocare. Nuda, si prendeva i seni pieni, alti e sodi tra le palme e li faceva saltare come due caprioli...la sua risata roca e profonda accompagnava il numero da streap tease. Forse per quello l'occhio, la volta che lo spiai a spiare, si ostinava a fissare nella cabina, malgrado fosse stato "sgamato".

Il ricordo era così vivo che mi sono ritrovata a cercare la fessura, che non c'era. Ovvio. Poi il bagno Bemi è molto più di allora un luogo per famiglie. tanti bimbi, molti vecchi, qualche mamma post gravidanza, pochi papà, nessun giovane, estendendo la qualifica anche, come si usa ora, ai quarantenni.

O forse lo era anche allora, un bagno per famiglie, ma allora le maglie dei controlli sugli adolescenti erano più lasse, le mamme inamovibili dai loro ombrelloni e i padri, meno gravati di impegni familiari e facilitati dalla congiuntura economica ad accumulare ricchezza, più liberi di provare la loro versione di "amici miei".

Uscita dalla cabina, mi avvicino all'ombrellone e incontro un viso noto. "Ciao!", mi fa. Rispondo cordiale, ma poi metto a fuoco. Certo! Quella stronza della Monica! Un paio d'anni più di me, ricciolina, capricciosa e scostante. Si divertiva a darmi appuntamenti e ad invitarmi a giocare con lei e le sue amichette per poi darmi buca. Sempre a ridicolizzare quello che dicevo, forte della maggiore età e della posizione al comando della sua piccola gang.

Devo aver cambiato espressione perchè lei mi restituisce uno sguardo perplesso. Oggi quella stronza della Monica è una signora di 50anni, un bel fisico malgrado le plurime gravidanze. Ha i tratti tirati, causa le notti insonni ad assistere prima il padre, poi la madre anziana...Mia cugina non c'è più, morta giovane, lei e la sua risata roca, inimitabile. La vita ci rende tutti uguali, penso, come i ciottoli sulla rena del mare. Di provenienza diversa, sotto il lavorio delle onde si levigano, si riducono ad una misura sola. Così che a vederli sembrano tutti della stessa provenienza.

E' sui ciottoli della rena del bagno Bemi che una mia parente ritrae con la sua bic, dal suo ombrellone le persone al mare. Ogni ciottolo un ritratto.

Un bel gesto, per restituire un' identità ad ogni ciottolo...
Ad ognuno di noi? 



6 giugno 2012

Grazie, mamma.

Niente di aulico, di agiografico, di memorabile...ma era tutto quello che ho sentito di dire al suo funerale.

" Grazie mamma di non essere stata la "solita" mamma, che si pensava più a te guardando a un poster di Tina Turner che alla donnina del brodo Star.

Grazie mamma di aver lasciato che casa nostra si riempisse di gente, animali e cose...Forse troppe cose.

Grazie mamma che non mi hai mai fatto togliere una gonna troppo corta o una  maglia troppo scollata. E se lo hai fatto era solo perché erano le tue.

Grazie mamma per aver amato, e per avermi fatto amare, le rose, il mare, il corpo, le barzellette. Anche quelle sporche, se ben raccontate. Soprattutto quelle sporche.

Grazie mamma perché sei l'unica persona che potevo mandare a quel paese sicura che non te la saresti mai presa.

Grazie mamma per avermi dato pochi, ma solidi, consigli e tanti, tanti gesti di presenza. 

Grazie mamma per aver sempre affermato, fino agli ultimi giorni, che io e le mie sorelle eravamo i tuoi CA-PO-LA-VO-RI...E gli occhi ti brillavano. 

Grazie mamma perché mi hai dato la vita. Mi hai insegnato la morte. "

6 febbraio 2012

Spesa per la crucchetta.

"La nostalgia della tua terra comincia dallo stomaco." Che Guevara.
Niente di più comprovabile. L'altro giorno, dopo tre passati in casa causa neve, al supermercato per la spesa. Ho comprato: pane di segale integrale, a fette, quello umidiccio che quando lo scarti sa di caramello e acido della pasta madre. Burro tedesco, va bene anche il Lurpack danese, salato, Philadelfia, cetrioli e peperoni, mele renette (quanto di più prossimo alle boskoop, che non si trovano) succo di mela non pressato (costosissimo!...in Germania lo trovi a 79centesimi il litro!)

Sabato, dopo una bella slittata, ho preparato il brunch ad Arianna...era al massimo della felicità!
'sta crucchetta...