Autunno

Autunno
E' un tramonto italiano ma a me ricorda Ddorf.

31 ottobre 2013

Il vento fa il suo giro. A casa del moroso vecchio.

Ciolghilo, ciolghilo...
Lo ciolgo, siora, lo ciolgo. Le rispondo in veneto reinventato. Ora come allora. Ora come allora sono nella cucina, mentre mi verso il caffè dalla caffettiera piccola; il tavolo rotondo, le pentole in rame appese, l'orologio, alla finestra la vista sulle viti, ormai quasi spoglie di foglie.
Non vi hanno costruito case qui fuori, fortunati.
Sì semo fortunadi. I dise...
La collezione di caffettiere, pulitissime, compongono una piccola San Giminiano, nel pensile a giorno, davanti al piano del gas dove mi sto versando il caffè -ha cambiato le tazzine, preferivo le vecchie, avevano le pareti più sottili.
Lo sguardo dalla tazzina bollente va ora all'angolo sinistro del piano. Lì c'era sempre un piatto, coperto da un tovagliolo spesso. Palacinche, fette di strudel dalla pasta grossa. Ecco cosa mi aspettava. Sotto quel tovagliolo. Adesso non c'è nessun piatto. Solo scatole bianche di medicine con la striscia del logo colorata. Compongono un domino infantile, sembra, se uno le guarda da lontano, incuriosito dalla forma regolare degli involucri.
Sono in questa cucina silenziosa. Ancora qui.
Aspettiamo la Manu. Poi vado.
Sì, spera qui che le farà piaser.
Aspetto.
Aspetta.
E intanto parliamo delle persone che ci hanno accompagnato. Una lista di morti. C'è un momento della vita che ti tocca parlare di chi non c'è più, condividere le morti di persone care con persone care. Questo momento è arrivato. Meglio viverlo che evitarlo. Come tanti altri momenti ineluttabili della vita. Che è così. Se certi passaggi li eviti, a parte averci il fisico per farlo, poi è come se ci ritornassi sempre. Chi non ha avuto figli sembra non pensare ad altro. Chi è restato all'adolescenza sembra non tentare altro che lasciarla.
Così noi si parla dei morti. Di quello che ci ricordiamo di loro. Si rievoca la Dari, lo Stanco. Il Vladi invece c'è. Il Vladi mi era sempre sembrato più acuto. O forse solo più duttile.
Poi la nonna. La mitica nonna. “Voglio la ricetta del Gulash.”
Ecco me che chiedo perentoriamente, come fosse diritto acquisito, una ricetta della nonna. E' che proprio in quel momento le mie papille gustative hanno avuto un'impennata memoriale. Si ricordano esattamente il sapore degli gnocchi al Gulash che assaporavano qui, in questa casa, in questa cucina, negli stessi piatti ci scommetto, 20 anni fa. 25 anni fa.
E' arrivata la Manu, baci e bacetti, ma io non demordo. E pretendo carta e penna per gli appunti mentre la siora sciorina gli ingredienti del Gulash. Tra questi l'ingrediente segreto. Non si ricorda subito il nome, ma ha ancora il barattolo dove lo conserva seccato. Maggiorana. Sì, è lei. Tanta. Se ne deve mettere tanta. E a metà cottura, che il sugo prenda bene. Per una frazione d'oro, il tempo sembra essersi fermato. Io rido, lei ride, ridiamo. Maggiorana! Ecco che sera!
Se podria far insieme, 'na volta.
Certo!
Poi si rabbuia.
Non ha più appetito. E questo la costerna più di ogni altra cosa del bruto mal che le hanno scoperto, nella pancia.
Ma mi non chiedo saver.
E io neppure vorrei sapere.
La mancanza d'appetito. Più dei capelli, radi sulla bella testa, più del colorito pallido del viso e dei cali di memoria. E' questo che le dà il senso del distacco da quella che era prima. Per il resto...per il resto è lei, la figura alta, dritta, dalle ossa forti, le mani grandi, lei che vaga per la cucina accavallando le cose da fare.
Gli occhi chiari da bionda che rimbalzano rapidi da una parte all'altra e che peccato che nessuno dei tre figli abbia preso i suoi oci ciari da bionda naturale.
Via è tempo. E' tempo di lasciare il tempo che si è fermato. Anche se sono già a tavola le due si alzano per seguirmi all'uscita. Mi assistono mentre lascio il parcheggio sotto casa. E mi salutano dalla porta d'ingresso e dalla finestra, con la mano.
Hanno lo stesso gesto, quando salutano, la madre e la figlia.

Non lo avevo mai notato.  

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