L'esperienza di espatrio è fatta di piccoli choc, su cose che non ti aspetti. Che alle Grandi Differenze sei preparato da prima. Non ti aspetti di essere compreso se parli nella tua lingua, non ti aspetti di trovare la Garofalo sugli scaffali del supermercato, il caffè all'angolo dove chiedere il macchiato caldo in tazza grande, il sole di agosto ad agosto...sono le piccole cose cui sei impreparato che sorprendono.
E smantellano, choc dopo choc, tutta la tua sicumera di "cittadina del mondo". See!
Solo mettendosi a nudo, con la tua vulnerabilità allo scoperto, avverrà la metamorfosi. Ma questo lo sai dopo. Dopo, dopo...nel frattempo, stai solo male. Fortuna che non conoscendo la malattia, di solito si sottovalutano i sintomi. E dai la colpa al tempo atmosferico.
Di San martin si è parlato. Anzi: Sankt Martin
Era il secondo episodio della serie come partecipare a una festa lugubre come una veglia funebre.
Già a inizio asilo, un giorno vado a ritirare la Ari e la maestra, sorrisone gentile (ah, che bel sorriso aveva la Frau Bolcke, così si chiamava, poi da sposata ha cambiato cognome; nell'evoluta Germania si usa così... Con tutto che si lasciano e si ricombinano come le molecole su un vetrino, mantengono la tradizione della cancellazione del cognome femminile), la maestra, appunto:
Non venite alla festa?
Certo! Quando è?
Ora.
E dov'è?
M qui!
Devo averla guardata sardonica. Qui dove? Ma nell'altra stanza. Entro. Nella sala mamme, bimbi, qualche nonno. Torte e bricchi di caffè su un lungo tavolo. Una bimba ciccissima alla cassa. Non deve avere più di 6 anni. E non sbaglia un resto. Le torte sono belle a vedersi, ancora ci cascavo, ma sono quasi sempre da impasti già preparati. Più belle che buone. E mattonazzi da digerire.
I genitori e i rispettivi bimbi sono al loro tavolino...Ognuno con un decorino autunnale al centro. Non c'è nulla di sbagliato. Anzi. E' tutto così giusto! Gli invitati mangiano, silenziosamente, pulendo bene il piatto con la forchetta. Si alzano facendo attenzione a non scostare rumorosamente le sedioline, salutano sommessi e se ne vanno. E' un silenzio che opprime. Pensi al corrispettivo in Italia, la festicciola avrebbe impedito il normale svolgimento della vita domestica a tutti i condomini.
Come fanno a tacere così tanto i bimbi tedeschi? E i loro genitori?
E Poi, perché tacciono tanto?
"Lassù nella Renania, tra anse e ponti d'or, tra l'aspre nubi echeggia un cantico d'amor..." Una montanara DOC racconta la sua Dusseldorf...E il suo rientro nel patrio stivale.
Autunno

E' un tramonto italiano ma a me ricorda Ddorf.
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9 novembre 2013
8 novembre 2013
Ich gehe mit meiner Laterne und meine Laterne mit mir...
Chissà perché non ho ricordi dell'estate. La prima estate in Germania. Solo dell'autunno. Sarà che ad agosto, era agosto quando siamo arrivate, l'estate è finita o sta finendo a Ddorf.
Come
sia, il primo autunno invece lo ricordo bene.
E
soprattutto ricordo il mio primo San Martin. Ci spiegano al Kiga di
Ari che si festeggia San Martin...meglio, non spiegano nulla, ci
ritroviamo un bel dì a seguire una piccola processione tra i
frustoli di verde e parco stretti tra la tangenziale e la collina
buia della foresta demaniale della città.
Davanti
due trombette e un tamburo, dietro bimbe e bimbi e genitori e
insegnanti, silenziosi e compunti, e infine la macchina della polizia,
a passo d'uomo, con le spie luminose accese.
Si
parte. Pioviggina. Nessuno fa un plissè. “San Martin, Saan
Martin”...i bimbi belano, a fil di voce, canzoncine meste, le maestre canticchiano, a
fil di voce, le stesse canzoncine meste, le trombe straziano, il tamburo lacera i timpani, tump,
tump,
“Che
è successo a San Martin?” Chiede la mia cucciola preoccupata, allora
neppure treenne.
Eh,
che è successo... cose brutte, che i santi morivano male una
volta...
Sto
inventando. In realtà di San Martino ho dei ricordi di un ragazzone
sano, tirato a lucido, sul suo cavallo, che preso da improvviso
raptus di generosità dona il suo mantello, anzi una parte del suo
mantello, ad un anziano mendicante.
Già...che lì per lì non rinuncia a impressionare il vecchio e le folle - qualcuno deve pur averlo visto per tramandarne le gesta- e zac! Ne taglia un lembo con la sua bella spada.
Già...che lì per lì non rinuncia a impressionare il vecchio e le folle - qualcuno deve pur averlo visto per tramandarne le gesta- e zac! Ne taglia un lembo con la sua bella spada.
Uhm...e se il tutto fosse partito da lì? Dall'esigenza tracotante di provare il taglio
dello spadone sulla flanellona color porpora, per provare se era davvero micidiale come gli aveva assicurato il fabbro:
“la provi, taglia come un grissino il tonno!”.
Però,
via, non so nulla del dopo, che magari a seguito di una qualche
delusione amorosa, il tapino si è rivolto al cristianesimo e si è
impelagato in qualche gruppo catacombaro, rimettendoci poi le penne
nei modi folkloristici e truculenti che si usavan allora.
Del
resto il corteo e le musiche sono così lugubri da lasciare poco
adito a dubbi...morto male, deve essere morto male.
Finalmente
finisce, i genitori e i bimbi sono
visibilmente sollevati dall'idea di non dover più esibirsi,
rientriamo nel piazzale del Kiga e lì si distribuiscono dolcetti e
affini...Ah. Dolcetti. Chiedo del perché dei dolcetti e mi si dice
che a) è usanza per questa allegra tradizione renana!
b) la commemorazione riguarda proprio l'episodio del mantello. San Martin è morto bene. Almen lui.
b) la commemorazione riguarda proprio l'episodio del mantello. San Martin è morto bene. Almen lui.
Però.
Penso, vedi mo' che atmosfera diversa, per un evento collettivo lieto, o che dovrebbe essere tale...tutto si svolge in silenzio. Questo penso mentre la macchina della polizia vede bene di innestare la
sirena, andando in strada e ci lascia tutti lì. Sotto l'acqua. Fradici. Sul piazzale nero e bagnato di pioggia a biascicar dolcetti.
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31 ottobre 2013
Il vento fa il suo giro. A casa del moroso vecchio.
Ciolghilo,
ciolghilo...
Lo ciolgo, siora, lo
ciolgo. Le rispondo in veneto reinventato. Ora come allora. Ora come
allora sono nella cucina, mentre mi verso il caffè dalla caffettiera
piccola; il tavolo rotondo, le pentole in rame appese, l'orologio,
alla finestra la vista sulle viti, ormai quasi spoglie di foglie.
Non vi hanno costruito
case qui fuori, fortunati.
Sì semo fortunadi. I
dise...
La collezione di
caffettiere, pulitissime, compongono una piccola San Giminiano, nel
pensile a giorno, davanti al piano del gas dove mi sto versando il
caffè -ha cambiato le tazzine, preferivo le vecchie, avevano le
pareti più sottili.
Lo sguardo dalla tazzina
bollente va ora all'angolo sinistro del piano. Lì c'era sempre un
piatto, coperto da un tovagliolo spesso. Palacinche, fette di strudel
dalla pasta grossa. Ecco cosa mi aspettava. Sotto quel tovagliolo.
Adesso non c'è nessun piatto. Solo scatole bianche di medicine con
la striscia del logo colorata. Compongono un domino infantile,
sembra, se uno le guarda da lontano, incuriosito dalla forma regolare
degli involucri.
Sono in questa cucina
silenziosa. Ancora qui.
Aspettiamo la Manu. Poi
vado.
Sì, spera qui che le
farà piaser.
Aspetto.
Aspetta.
E intanto parliamo delle
persone che ci hanno accompagnato. Una lista di morti. C'è un
momento della vita che ti tocca parlare di chi non c'è più,
condividere le morti di persone care con persone care. Questo momento
è arrivato. Meglio viverlo che evitarlo. Come tanti altri momenti
ineluttabili della vita. Che è così. Se certi passaggi li eviti, a
parte averci il fisico per farlo, poi è come se ci ritornassi
sempre. Chi non ha avuto figli sembra non pensare ad altro. Chi è
restato all'adolescenza sembra non tentare altro che lasciarla.
Così noi si parla dei
morti. Di quello che ci ricordiamo di loro. Si rievoca la Dari, lo
Stanco. Il Vladi invece c'è. Il Vladi mi era sempre sembrato più
acuto. O forse solo più duttile.
Poi la nonna. La mitica
nonna. “Voglio la ricetta del Gulash.”
Ecco me che chiedo
perentoriamente, come fosse diritto acquisito, una ricetta della
nonna. E' che proprio in quel momento le mie papille gustative hanno
avuto un'impennata memoriale. Si ricordano esattamente il sapore
degli gnocchi al Gulash che assaporavano qui, in questa casa, in
questa cucina, negli stessi piatti ci scommetto, 20 anni fa. 25 anni
fa.
E' arrivata la Manu, baci
e bacetti, ma io non demordo. E pretendo carta e penna per gli
appunti mentre la siora sciorina gli ingredienti del Gulash. Tra
questi l'ingrediente segreto. Non si ricorda subito il nome, ma ha
ancora il barattolo dove lo conserva seccato. Maggiorana. Sì, è
lei. Tanta. Se ne deve mettere tanta. E a metà cottura, che il sugo
prenda bene. Per una frazione d'oro, il tempo sembra essersi fermato.
Io rido, lei ride, ridiamo. Maggiorana! Ecco che sera!
Se podria far insieme,
'na volta.
Certo!
Poi si rabbuia.
Non ha più appetito. E
questo la costerna più di ogni altra cosa del bruto mal che
le hanno scoperto, nella pancia.
Ma mi non chiedo
saver.
E io neppure vorrei
sapere.
La mancanza d'appetito.
Più dei capelli, radi sulla bella testa, più del colorito pallido
del viso e dei cali di memoria. E' questo che le dà il senso del
distacco da quella che era prima. Per il resto...per il resto
è lei, la figura alta, dritta, dalle ossa forti, le mani grandi, lei
che vaga per la cucina accavallando le cose da fare.
Gli occhi chiari da
bionda che rimbalzano rapidi da una parte all'altra e che peccato che
nessuno dei tre figli abbia preso i suoi oci ciari da bionda
naturale.
Via è tempo. E' tempo di
lasciare il tempo che si è fermato. Anche se sono già a tavola le
due si alzano per seguirmi all'uscita. Mi assistono mentre lascio il
parcheggio sotto casa. E mi salutano dalla porta d'ingresso e dalla
finestra, con la mano.
Hanno lo stesso gesto,
quando salutano, la madre e la figlia.
Non lo avevo mai notato.
21 ottobre 2013
Largo ai Glücksbringer!
Uhm...Mica tanto vero. Che l'Italia è più superstiziosa della Germania. Non è stato così per il passato e, a detta di molti, non lo è per il presente.
La riflessione nasce da un gatto nero che attraversa la strada. E da qualcuno che, non credendo, precauzionalmente si ferma. Io, segnatamente.
Un'amica commenta: da quando sono in Germania ho dimenticato tutti i nostri gesti anti-iella. Gettare il sale a parte...
Il sale in Germania non porta né bene né male. Il gatto nero porta male. Passare sotto una scala porta male. Così come, a revers lato fortuna portano bene, lì come qui: i quadrifogli, le coccinelle, i ferri di cavallo.
Pure la monetina, le 5 lire vecchie in Italia, il pfennig - Glueckpfennig, in Germania.
Poi ci sono alcune differenze. Si tocca legno - auf Holz klopfen- e non il ferro per scacciare un pensiero molesto o la scarica di sfortuna. Il venerdì da evitare è il 13. Il 17 invece non se lo fila nessuno.
Sui gesti apotropaici, scacciaguai, c'è una lunga tradizione. Si tirano le orecchie, per mimare la "levata di capo", ma non durante i Compleanni...
Si stringono forte forte i pollici nei palmi, il dito medio eretto è ubiquo, niente corna però, e sul gesto dell'ombrello ci sono versioni contrastanti.
Secondo qualcuno è relativamente diffuso per influsso degli italiani.
Una differenza importante, con conseguenze rilevantissime nella vita di tutti i giorni è quella che riguarda i cocci. Da noi rompere uno specchio sono 7 anni di guai. In Germania, invece, Scherben bringen glück, i cocci portano fortuna. E per questo infestano ogni angolo di città, parco, fiume, e la rottura delle bottiglie in mille cocci celebra qualsiasi festa popolare degna di questo nome.
Quante gomme di biciclette squarciate e ginocchia di bimbi tagliate, in nome della superstizione!
La riflessione nasce da un gatto nero che attraversa la strada. E da qualcuno che, non credendo, precauzionalmente si ferma. Io, segnatamente.
Un'amica commenta: da quando sono in Germania ho dimenticato tutti i nostri gesti anti-iella. Gettare il sale a parte...
Il sale in Germania non porta né bene né male. Il gatto nero porta male. Passare sotto una scala porta male. Così come, a revers lato fortuna portano bene, lì come qui: i quadrifogli, le coccinelle, i ferri di cavallo.
Pure la monetina, le 5 lire vecchie in Italia, il pfennig - Glueckpfennig, in Germania.
Poi ci sono alcune differenze. Si tocca legno - auf Holz klopfen- e non il ferro per scacciare un pensiero molesto o la scarica di sfortuna. Il venerdì da evitare è il 13. Il 17 invece non se lo fila nessuno.
Sui gesti apotropaici, scacciaguai, c'è una lunga tradizione. Si tirano le orecchie, per mimare la "levata di capo", ma non durante i Compleanni...
Si stringono forte forte i pollici nei palmi, il dito medio eretto è ubiquo, niente corna però, e sul gesto dell'ombrello ci sono versioni contrastanti.
Secondo qualcuno è relativamente diffuso per influsso degli italiani.
Una differenza importante, con conseguenze rilevantissime nella vita di tutti i giorni è quella che riguarda i cocci. Da noi rompere uno specchio sono 7 anni di guai. In Germania, invece, Scherben bringen glück, i cocci portano fortuna. E per questo infestano ogni angolo di città, parco, fiume, e la rottura delle bottiglie in mille cocci celebra qualsiasi festa popolare degna di questo nome.
Quante gomme di biciclette squarciate e ginocchia di bimbi tagliate, in nome della superstizione!
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sulla germania senza esagerare,
vita vera
13 ottobre 2013
Sembra tutto un sogno.
E a ripensarci, adesso faccio quasi fatica a dire che è stato tutto vero. Un pezzo di vita vera. Io a Duesseldorf. L'Autunno, le giornate plumbee, l'aria pungente, il neon azzurro della T.Com alla finestra e quello rosso, Mediamarkt, sulla strada. L'asfalto bagnato, sempre bagnato, la bicicletta fedele posteggiata al palo della luce, all'angolo con Gerthsstrasse.
La Ari da portare all'asilo, la mattina, a volte in macchina, a volte a piedi; il nostro percorso, pieno di foglie colorate, d'Autunno. Gli alberi elefante, il parchetto giochi, il tennis, i becchi delle oche, arancioni che sbucano dal telo blu, e starnazzano, il sentiero umido e scivoloso, il Dussel che scorre rapido sotto di noi, l'erba fradicia. La spesa al bio della scuola poi il rientro, da sola, a volte correndo, per l'Ostpark. La solitudine, d'Autunno.
Anche, la solitudine.
Eppoi invece l'abitudine, a quel silenzio ovattato tra le persone, le cose, i fatti, i luoghi...è stato, ad un certo punto dell'esperienza di espatrio, come muoversi in una specie di zona protetta, che si allarga intorno al tuo corpo, creando una barriera di rispetto. Si ha la sensazione di essere invulnerabili, lì dentro. E di scivolare nel mondo esterno, più che esserci. Sensazioni da expat, appunto. E non sono durate pure molto. Ma il ricordo è vivido.
La sofferenza spesso dura poco, ma ha un potere penetrativo nella nostra memoria incredibile. Il perché sarà legato all'istinto di sopravvivenza. Però. ora che le nostre esistenze sono in balia di sistemi sanitari e di altri che c'assistono e non di belve feroci ed eventi naturali imprevedibili, ora che non c'aggiriamo nella jungla schivando serpenti e piante velenose, potrebbe essere un pochetto meno incisiva, la sofferenza?
Che poi. Che poi, tornando a Ddorf, all'Autunno a Ddorf... a ben guardare me la sono spassata pure. E soprattutto negli ultimi due anni mi muovevo con disinvoltura.
E' bella la sensazione di muoversi per una città che non è la tua come se lo fosse, con la tranquillità che ti deriva dalla conoscenza. I quartieri centrali oramai li battevo palmo a palmo; i negozi; i luoghi riferimento.
Certe confidenze pericolose, si prendono coi luoghi!
Il parco di notte, per esempio. Da sola anche in Novembre, in bici, la giaccona in goretex, le scarpe con la para, i pantaloni pesanti. Un look da expat matura. Il primo anno non ti vesti così, se non saltuariamente, ma poi... poi diventa una divisa.
Quelle orrende scarpone da tedesca te le ritrovi ai piedi. E trovi che siano pure comode e...sì, ti piacciono. La macchia sui calzoni... che vuoi che sia. Stirare i vestiti ai bambini... si smette. Che a Ddorf non lo fa proprio nessuno e t'avvedi presto dell'inutilità del gesto.
E io viaggiavo, con la mia bicicletta. D'Autunno. Di notte. Aspirando l'aria pungente del buio, buio come raramente da noi. Aggiravo la statua delle oche, la casetta delle anatre. E qui, sempre, pensavo "devo portare il pane raffermo". Non me lo sono mai ricordata di portarlo, il sacchetto del pane. In quattro anni. Ecco. Le panchine retroilluminate dal neon. Siamo quasi a metà strada. Mi ci ero pure seduta una volta, la prima, in cerca di calore. E ci ho ricavato solo il sedere bagnato.
Che tutto è bagnato a Duesseldorf d'Autunno.
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vita vera
10 ottobre 2013
Sì, scrivo meno.
Come entrare nella casa delle vacanze, dopo il periodo di chiusura. Tutto è familiare, e, insieme, estraneo. L'odore di chiuso o di umido. La tazzina del caffè, chissà perché non la si è notata quando si è varcato l'uscio, abbandonata sul tavolino. La Bialetti, a proposito, la mitica Bialetti...dov'è? Eccola sullo scaffale, chissà se ci siamo ricordati di svuotarla dall'ultima volta che...no. No.
Il caffè è ammuffito, l'acqua ferma ha reso la caldaietta un ambiente palustre, buono per i girini. E la guarnizione? Andata. Di già, via un'altra. Da quando le fanno in Cina le guarnizioni non tengono proprio più niente. Notato? Le gomme -delle suole, delle guarnizioni, delle borse, borsette, delle giacche, persino degli elastici dei calzini, dei calzoni - da qualche tempo non valgono più nulla. Non resistono. Una volta serbavo le scarpe da tennis intonse della Ari. Per i cuginetti. Ora quando il numero sale, le regalo subito. Non vale la pena tenerle. Appena le metti, dopo un paio d'anni di fermo, si disfano. Letteralmente.
E così anche per il Blog. Questo Blog. Nasceva con contenuti misti, ma legati all'esperienza dell'espatrio, prima. E del rientro in Italia, dopo. Certo, di fatto era un bello zibaldone. ma è la vita che è così. Ci se ne rende conto quando si rileggono le mail, i messaggi inviati e ricevuti in una giornata. C'è di tutto. Con tutte le sfumature emotive legate a quel momento e a quella persona specifica.
E così era questo Blog. E ora?
Ora.
Ora mi siedo sul divano, sposto il lenzuolo messo a suo tempo per proteggerlo. Che bella la vista dalla finestra. Un caffè, ci vorrebbe un caffè. La Bialetti è proprio inutilizzabile? Via, un giro di prova, con tanta miscela, poi si butta e...poi si vede. Magari al secondo giro il caffè è bevibile.
E i contenuti? del Blog, dico. E i contenuti...leghiamoli alla vita e poi vediamo. Si fa un giro di prova, al massimo si butta via qualcosa, il titolo per esempio e poi...e poi si beve. Pardon, si vede.
Il caffè è ammuffito, l'acqua ferma ha reso la caldaietta un ambiente palustre, buono per i girini. E la guarnizione? Andata. Di già, via un'altra. Da quando le fanno in Cina le guarnizioni non tengono proprio più niente. Notato? Le gomme -delle suole, delle guarnizioni, delle borse, borsette, delle giacche, persino degli elastici dei calzini, dei calzoni - da qualche tempo non valgono più nulla. Non resistono. Una volta serbavo le scarpe da tennis intonse della Ari. Per i cuginetti. Ora quando il numero sale, le regalo subito. Non vale la pena tenerle. Appena le metti, dopo un paio d'anni di fermo, si disfano. Letteralmente.
E così anche per il Blog. Questo Blog. Nasceva con contenuti misti, ma legati all'esperienza dell'espatrio, prima. E del rientro in Italia, dopo. Certo, di fatto era un bello zibaldone. ma è la vita che è così. Ci se ne rende conto quando si rileggono le mail, i messaggi inviati e ricevuti in una giornata. C'è di tutto. Con tutte le sfumature emotive legate a quel momento e a quella persona specifica.
E così era questo Blog. E ora?
Ora.
Ora mi siedo sul divano, sposto il lenzuolo messo a suo tempo per proteggerlo. Che bella la vista dalla finestra. Un caffè, ci vorrebbe un caffè. La Bialetti è proprio inutilizzabile? Via, un giro di prova, con tanta miscela, poi si butta e...poi si vede. Magari al secondo giro il caffè è bevibile.
E i contenuti? del Blog, dico. E i contenuti...leghiamoli alla vita e poi vediamo. Si fa un giro di prova, al massimo si butta via qualcosa, il titolo per esempio e poi...e poi si beve. Pardon, si vede.
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ma chi me l'ha fatto fare...,
nostalgia,
vita vera
22 settembre 2013
Dottore, non MI mangia nulla...
"Uhm, per NOI sarebbe meglio al mercoledì, che martedì c'è atletica..."
"...E venerdì? VI va bene?"
"Aspetta che controllo l'orario provvisorio, NOI si è impegnate il lunedì...NOI, via! La Ari. Scusa Ilona, uso il noi proprio da mammette italiane."
"Ah, no, fai bene certo, NOI che sei tu che la devi accompagnare e riprendere, preparare i libri, eccetera.."
Scoppio a ridere.
Certo, per una tedesca, la Ilona è l'insegnante di tedesco di Ari, quel noi ha un significato operativo. Visto che si occupa la stessa casella nel Termin Kalender si condividono le sorti...
Ma per le mamme italiane la sfumatura è affatto diversa. Il NOI nasce dalla confusione tra mamma e bimbo. Nel senso psicofisico di fusione-con.
Tutto comincia nella prima infanzia, per ovvie ragioni di gestazione ed esogestazione.
Poi si prosegue con le pappe, le visite, l'asilo nido. C'è totale sovrapposizione emotiva. Se il bimbo piange la mamma è depressa. Se non mangia, la mamma piange.
E il "Dottore non MI mangia nulla" è frase idiomatica, sintomatica, di pragmatica.
Liberarsene, da questa-confusione, ci vuole un certo impegno.
"...E venerdì? VI va bene?"
"Aspetta che controllo l'orario provvisorio, NOI si è impegnate il lunedì...NOI, via! La Ari. Scusa Ilona, uso il noi proprio da mammette italiane."
"Ah, no, fai bene certo, NOI che sei tu che la devi accompagnare e riprendere, preparare i libri, eccetera.."
Scoppio a ridere.
Certo, per una tedesca, la Ilona è l'insegnante di tedesco di Ari, quel noi ha un significato operativo. Visto che si occupa la stessa casella nel Termin Kalender si condividono le sorti...
Ma per le mamme italiane la sfumatura è affatto diversa. Il NOI nasce dalla confusione tra mamma e bimbo. Nel senso psicofisico di fusione-con.
Tutto comincia nella prima infanzia, per ovvie ragioni di gestazione ed esogestazione.
Poi si prosegue con le pappe, le visite, l'asilo nido. C'è totale sovrapposizione emotiva. Se il bimbo piange la mamma è depressa. Se non mangia, la mamma piange.
E il "Dottore non MI mangia nulla" è frase idiomatica, sintomatica, di pragmatica.
Liberarsene, da questa-confusione, ci vuole un certo impegno.
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vita vera
16 settembre 2013
Champagne, per brindare a un incontro...
Questo
era un periodo nel quale mi sono sentita bella e corteggiata, come
mai.
Almeno
a quanto ricordo. A quasi 50 anni, e una bella trippetta che me li
ricorda tutti qui davanti...mica male.
Chissà.
Probabilmente l'estate, la Ari delocalizzata per tempi più
prolungati e conseguentemente, la maggiore possibilità di uscire ed
incontrare, approfondire. Comunque sia essere corteggiate è bello.
E' stato bello.
Da
mogli, per i nostri mariti, ad andare bene si diventa trasparenti. O
color grigio canna di fucile. Il colore della personificazione dei
DOVERI familiari. Mi sto un poco impratichendo con il mondo della
rappresentazione maschile. Una donna corrisponde a una aspirazione, a
uno stato emotivo, a un riferimento morale...in un certo senso. E'
divertente, un poco come giocare a paperdoll. Mi piacevano le bambole
di carta. Le cambiavi, ed erano un'altra persona. Ecco, noi per loro
personifichiamo aspetti della vita diversi. - E forse per noi è
uguale...-
Le
loro personificazioni sono semplici e molto identificabili. Quasi
macchiettistiche. Così nette che le sovrapposizioni non sono
possibili.
I
colori vivaci non appartengono alle mogli. Supporti nel concreto,
compagne di abitudini, ma non di gioco.
In
questo periodo glorioso però, ho riscoperto ruoli meno pubblicizzati
di quelli standard – mogli, amanti, figlie- ma divertenti e
appaganti per una donna che non cerca per forza erotismo. L'amica
confidente (ai tempi c'era, l'Etera), la donna che racconta (presente
Sherazade?), la saggia matura, l'aspirazione irraggiungibile...non è
vero che gli uomini vogliono sempre sesso. E' vero che per loro il
sesso è uno strumento per impadronirsi di qualcosa che desiderano.
Del
resto si parla di potenza o impotenza sessuale. Ci arrivo pure io che
di psicologia...poi gli psicologi han sempre certe facce da depravati
che davvero mi chiedo...
Via, si divaga. Che poi, lo scopo del post è
tutto in quell'”era” dell'incipit.
Era.
E ora non è più. Finito come il caldo estivo. Bye-bye!
E'
stato bello.
(E questo, il lasciar andare le cose quando non sono più o non devono
più essere , è una cosa proprio bella dell'età matura!)
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vita vera
10 settembre 2013
Incontri
La curiosità è l'unico sentimento veramente disinteressato che possiamo provare per l'altro. Non l'ho detta io. Qualcuno, che ora non ricordo. Condivido. Gli incontri casuali con persone che non conosci e mai o raramente avrai occasioni di rincontrare sono tra le cose più belle della vita. Anche in queste "vacanze", una settimana al mare, dolcezza melanconica di settembre, gli incontri sono stati densi.
Uno
Il pittore di marine. In una stanzuccia azzurra, proprio di fronte al mare azzurro, dipinge azzurre marine di quel kitsch, azzurro, senza tempo.
Due
L'uomo con la barba. "Venite a Settembre. Lanciamo ancora i palloni. Come nel '700". L'uomo che ci invita a ritornare ha la barba bianca. I calzoni corti. La camicia a quadri, aperta. Manca un bottone. Con lui una donna grassoccia, coi sandali ai piedi, l'accento straniero. Come si chiama la sagra? La Madonna di Bellissimi. Se volete la trovate. E noi l'abbiamo trovata. Bellissima.
Tre
L'uomo della Beks, ovvero il compagno d'ombrellone perfetto.
Oggi si sta al mare. Tutto il giorno. Leggo Maigret. Leggere Maigret al mare, sotto il sole è pericoloso. Dopo al massimo un paio di pagine, il nostro beve una birra. Il romanzo di oggi poi è ambientato in una Parigi torrida, in piena estate. E Maigret tracanna birre come un Concorde benzina. Poi, in spiaggia, quel richiamo continuo: "Becks! Becks! Becks vieni qui!". Becks è un cagnone nero. Sempre dentro e fuori l'acqua. Per rinfrescarsi. "Mica ce l'ha una Becks, la birra intendo? Sa, magari per associazione d'idee...". Il tipo, il padrone del cane, non si scompone: "No. Qui no. Però ho la sacca...magari domani posso infilarci un paio di panetti di ghiaccio...". "Allora le birre le porto io". E' fatta. L'indomani il sole è alto e crudo. Ma io bevo Becks, sotto l'ombrellone. Col tipo. Alla faccia di Maigret. Prosit!
Uno
Il pittore di marine. In una stanzuccia azzurra, proprio di fronte al mare azzurro, dipinge azzurre marine di quel kitsch, azzurro, senza tempo.
Due
L'uomo con la barba. "Venite a Settembre. Lanciamo ancora i palloni. Come nel '700". L'uomo che ci invita a ritornare ha la barba bianca. I calzoni corti. La camicia a quadri, aperta. Manca un bottone. Con lui una donna grassoccia, coi sandali ai piedi, l'accento straniero. Come si chiama la sagra? La Madonna di Bellissimi. Se volete la trovate. E noi l'abbiamo trovata. Bellissima.
Tre
L'uomo della Beks, ovvero il compagno d'ombrellone perfetto.
Oggi si sta al mare. Tutto il giorno. Leggo Maigret. Leggere Maigret al mare, sotto il sole è pericoloso. Dopo al massimo un paio di pagine, il nostro beve una birra. Il romanzo di oggi poi è ambientato in una Parigi torrida, in piena estate. E Maigret tracanna birre come un Concorde benzina. Poi, in spiaggia, quel richiamo continuo: "Becks! Becks! Becks vieni qui!". Becks è un cagnone nero. Sempre dentro e fuori l'acqua. Per rinfrescarsi. "Mica ce l'ha una Becks, la birra intendo? Sa, magari per associazione d'idee...". Il tipo, il padrone del cane, non si scompone: "No. Qui no. Però ho la sacca...magari domani posso infilarci un paio di panetti di ghiaccio...". "Allora le birre le porto io". E' fatta. L'indomani il sole è alto e crudo. Ma io bevo Becks, sotto l'ombrellone. Col tipo. Alla faccia di Maigret. Prosit!
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ma chi me l'ha fatto fare...,
vita vera
29 agosto 2013
Sic stantibus rebus.
Allora, vediamola così.
(Questa riflessione parte da uno sfogo di un'amica sulla falsità degli amici. E dalla risposta di un'altra amica, enunciante la regola aurea del comportamento leale tra esseri umani: "Non fare agli altri quello che non vorresti gli altri facessero a te". Bene. Punto. Osservo che la proposizione è facile. L'applicazione flessibile. In genere, ci si riferisce scrupolosamente alla stessa per quanto riguarda i comportamenti degli altri verso di noi. La prima parte invece...)
Vediamola così. Vediamola alla voce tradimento. Quello che tutti non vorremmo mai, ma che non sempre riusciamo ad evitare. Conosco poche persone che non hanno mai tradito un compagno/una compagna nella loro vita. E io NON sono tra queste, tanto per essere schietti.
Poi: c'è chi l'ha fatto per fatal combinazione. Chi "tanto la relazione era comunque finita." Chi per provocazione, chi per insoddisfazione. Chi per "è solo un'avventura l'amore è un'altra cosa. Chi perché si deve provare tutto, chi perché non sa dire di no, chi per sentirsi uomo/per sentirsi donna. Chi perché gli è scoppiata la cinquantenite, chi vive la seconda adolescenza astrale. Chi perché lei/lui non mi desidera, chi perché "noi ci scegliamo ogni giorno", chi è una coppia aperta...
Non è detto che chi tradisce sia per questo un cattivo compagno, una cattiva compagna. O peggiore di chi non l'ha mai fatto. Anzi, qui sta il bello. Tra coloro che rinfacciano la loro vita proba c'è n'è di certi che ti fan immediatamente pensare: peccato, gli avrebbe fatto pure bene. Che come diceva Tomaso d'Aquino: "c'è chi praticando virtù scende e chi peccando sale".
(Questa riflessione parte da uno sfogo di un'amica sulla falsità degli amici. E dalla risposta di un'altra amica, enunciante la regola aurea del comportamento leale tra esseri umani: "Non fare agli altri quello che non vorresti gli altri facessero a te". Bene. Punto. Osservo che la proposizione è facile. L'applicazione flessibile. In genere, ci si riferisce scrupolosamente alla stessa per quanto riguarda i comportamenti degli altri verso di noi. La prima parte invece...)
Vediamola così. Vediamola alla voce tradimento. Quello che tutti non vorremmo mai, ma che non sempre riusciamo ad evitare. Conosco poche persone che non hanno mai tradito un compagno/una compagna nella loro vita. E io NON sono tra queste, tanto per essere schietti.
Poi: c'è chi l'ha fatto per fatal combinazione. Chi "tanto la relazione era comunque finita." Chi per provocazione, chi per insoddisfazione. Chi per "è solo un'avventura l'amore è un'altra cosa. Chi perché si deve provare tutto, chi perché non sa dire di no, chi per sentirsi uomo/per sentirsi donna. Chi perché gli è scoppiata la cinquantenite, chi vive la seconda adolescenza astrale. Chi perché lei/lui non mi desidera, chi perché "noi ci scegliamo ogni giorno", chi è una coppia aperta...
Non è detto che chi tradisce sia per questo un cattivo compagno, una cattiva compagna. O peggiore di chi non l'ha mai fatto. Anzi, qui sta il bello. Tra coloro che rinfacciano la loro vita proba c'è n'è di certi che ti fan immediatamente pensare: peccato, gli avrebbe fatto pure bene. Che come diceva Tomaso d'Aquino: "c'è chi praticando virtù scende e chi peccando sale".
6 agosto 2013
Via, la sbagliata sono io.
La prima nota stonata è subito, all'inizio.
“Vai, vediamo dove s'incontrano d'estate le sciure di Bergamo!”. Dico io.
”Ma non so dove s'incontrano, mica qui!”.
Ma come. All'alba dei miei 50 anni do' per acclarato che le sciure in questione siamo, sono, gente come noi.
Chi mi risponde però “
manco per 'a capa!”, pur essendo abbondantemente in età
sciuracompatibile.
Via, acclariamo. Accetto
l'invito di un'amica e, dopo la sessione di yoga, ieri salgo in Città
Alta con lei e un'amica di lei. Agli spalti. A Torino hanno i
Murazzi, noi gli spalti delle mura venete dove si sono allestiti
appositi chiringitos estivi. Accetto con entusiasmo la proposta.
Anche se, come reso chiaro nell'incipit, mi sento da subito fuori
luogo.
Uno. L'età media delle
persone del “nostro” Chiringuito è alta. Più alta che alticcia,
che alla linea ci tengono -quasi- tutti.
Il fatto che mi colpisce non
è questo. E' che tutti si comportano come se avessero almeno
vent'anni di meno...(Io no. Ma forse non ce la facevo a comportarmi
adeguatamente nemmeno 20 anni fa, quindi non vale.)
Tutto un “fare finta che”
, che non sei allestito per l'occasione, che non t'interessa di
essere visto, che sei lì ma saresti altrove, che sei fidanzato, ma è
una storia strana...Tutto un nonsoché che mi sembra
faticosissimo...e soprattutto inutile. I binari della vita e della
morte ci hanno inchiavardato più o meno tutti allo stesso modo. Ma
come fai a scimmiottare leggerezze post adolescenziali, senza nemmeno
bere adeguatamente, che per mantenersi sottili e agili come giunchi
un poco di attenzione è necessaria?...beh, sarà abitudine,
allenamento, recita... loro riescono.
In una sera vedo sfilare personaggi e personagge che pensavo esiliate nei libri di Fiztgerald e nella Grande Bellezza di Sorrentino:
“Ci penso ogni tanto a
fare figli, ma sinceramente, nella brutta società in cui
viviamo...”.
La ragazzetta che esprime
questo pensiero denso ha quasi 40 anni. Fare figli, lei forse non lo
sa che sembra pure sincera, alla sua età o è una sfiga o è un
miracolo. Mica tanto un'opzione gestibile...
Poi passa una nonna avvizzita che mi sembra completamente nuda. E' pazza, penso.
Le mie compari: “Oh, hai
visto che fisico spaziale che sfoggia la Mary?” “Sai che ha quasi
60 anni?” “Io l'incontro in palestra e, Dio! Vorrei arrivare alla
sua età così!”.
Io sono certissima, se la
menopausa non mi gioca brutti scherzi, di non voler arrivare a 60
anni a girare per un bar di vecchiardi mezza nuda contando sullo
sguardo avviluppante degli avventori.
Poi è la volta di un'emula di Romina Power da giovane, ora si è inquartata mica male, che è stata 5 anni ad Amsterdam. Quando si avvicina per parlarci mi ricorda la strega di Flingern Nord, a Duesseldorf...
Che un po' è così, ad una
certa età le magre si rinsecchiscono, e sono graziose giusto tenute
a una certa distanza; le grasse sono grasse e non sembrano giovani
nemmeno a una certa distanza (Forse recuperano nude, che Botero ci ha
fatto i soldi sulle ciccione bambine gonfiate...)
Lo Spritz ad ogni modo è impeccabile. Aperol e prosecco di Valdobbiadene. A 4 euro il bicchierozzo. Esulto... dal bancone del bar raggiungo il mio tavolo. Mi interrogano. Parlo. Che non ho bisogno di essere incalzata in questo... I miei argomenti: come sentirsi vecchi e laidi vicino a un corpo molto più giovane...il tenero sentimento della nonnitudine...come insegnare la moralità ai nostri figli.
E' colpa del buon Spritz, e del fatto che anche stasera niente cena...I pensieri testé espressi sono i miei rovelli filosofici del momento. Del tutto personali che qui nessuno rimpalla. L'apettativa di nipoti a breve poi...scatena un vero e proprio balletto scaramantico “vade retro satan!”
Boh, via.
Succede che sì, mi sono divertita ma, ad una certa, me ne vo' volentieri. Misfit caratteriale. Comportamentale.
Ho capito perché anche noi porelle, non giovani, mai state trendy, non più belle, possiamo comunque piacere.
Perché smettiamo di voler essere giovani. E entriamo nella categoria, rassicurante, dei:
“Dio, com'è umana lei...”
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ma chi me l'ha fatto fare...,
vita vera
1 agosto 2013
Dimmi come IKEA e ti dirò chi sei.
Come tutti vado all'Ikea.
Molto meno di quanto dovrei (c'è sempre qualche pezzo di Ribba mancante per casa ), molto più di quanto vorrei.
Acclaro. L'Ikea l'apprezzo. Dai, impossibile non apprezzarla. Ha cominciato con un principio da Magna Charta della democrazia moderna: "Tutti hanno diritto a un buon design a un prezzo compatibile con uno stipendio normale". E bravo Ingvar Kamprad. Ha scopiazzato i Salone del Mobile di Milano per qualche anno ma, presto, ha assoldato buoni designer proponendogli la sfida: facile fare il designer di nicchia. Prova a farlo per le case di tutti in tutto il mondo...
Dell'Ikea ammiro l'innovazione, sempre attualissima basta guardare la palette di colori, e la tradizione nordica di grafica pulita, di comunicazione diretta - mai spocchiosa, mai banale, pop e non popolare nel senso retrivo.
Di Ikea ammiro il sito, veramente completo, pure con i configuratori, il semaforo per la disponibilità della merce in magazzino...e l'attenzione al testo, sempre localizzato. Preferiscono lasciare worldwide le immagini, con signore biondissime ancora piuttosto improbabili alle nostre latitudini, piuttosto che le headline delle campagne.
Poi, che sollucchero! A pagina 90 del catalogo 2013 ecco qui: "Il caos è subdolo...". Subdolo...in un catalogo per le masse un aggettivo cotanto. Solo in Topolino e nella Settimana Enigmistica trovano posto parole così desuete (di solito in bocca a Paperone, che è anziano... ci sta!).
Quindi GRANDE IKEA!
Però. Però poi ogni volta che ci vado, sempre con qualcuno che se no mi demotivo, mi viene uno scoramento...innanzitutto alla presentazione dei settings non ci casco. Come nelle pubblicità, quello che fa belli i mobili sono le location (sempre con i soffitti altissimi, la vista splendida, i pavimenti ed i rivestimenti curati e pregiati) l'accostamento gradevole con altri pezzi e la grande attenzione per i tessili e le palette dei colori.
Poi. Poi c'è il fatto che ad ogni visita sono 200euro. Anche se non hai trovato il pezzo così conveniente che cercavi. Già che "balini" lì, le candele, i tovaglioli, un paio di lenzuola, due vasetti, il piumino, il cuscino, la sedia da esterno, la panchetta e un bel Lack per l'angolo dell'ingresso li compri...e sono 200euro ogni volta, poco più poco meno.
Che in questo periodo di ristrutturazione non rappresentano mica paglia...
Ma poi. Poi, poi c'è la cosa più grave: l'acquisto di qualcosa di seriale e per questo non avente valore intrinseco percepito. E' terribile, ma disfarsi dei mobili Ikea è facilissimo. Non stimolano nessuna affezione particolare, sono come dei replicanti di gradevole aspetto con una data di scadenza incisa nel patrimonio genetico. "Lo cambio quando voglio, tanto è Ikea!"
Nessuno chiede soldi per un mobile Ikea usato, a meno che sia praticamente nuovo.
Per tutto quello sopra si esce, io esco, dalle casse blu e gialle scontenti e paganti. Non si compra un mobile in effetti, ma una soluzione a un problema funzionale afferente all'abitabilità del tuo comparto domestico.
Tutto il contrario del design, se ci si pensa. Tornando a bomba ecco perché ogni volta che lascio le casse Ikea sono molto più triste di quando varco l'ingresso.
Io sono triste. Ma mica vale mica per tutti...Mia sorella, per esempio. Prima di giungere all'Ikea sembrava la Santanchè il giorno in cui le hanno condannato per diffamazione il fidanzatino. Urticante, acida, maldisposta. Ha urlato con tutti gli automobilisti che abbiamo incocciato per strada; guidasse come Thierry Sabine... macchè, giusto per far tracimare un po' di bile cattiva dal fegato, avrebbe detto nonna mia...
Però, dopo l'acquisto di un buon 500euro di carabattole, sembrava la Teresa del Bernini durante l'estasi. E lì ho capito il potere taumaturgico dello shopping, che tanto ha fatto scrivere nella letteratura femminile (e nelle barzellette della Settimana Enigmistica). E mi ha fatto capire che l'Ikea è meglio del prozac, meglio dell'ideologia nazista: promette ordine e pulizia e per chi ha necessità estrema che tutto sia a posto, una seduta di shopping all'Ikea, con tutti i contenitori di cose e cosine, fa più che bene. E' la promessa concretizzata di ordine nella vita.
Ho capito (e tre) che la fugacità dei mobili Ikea per qualcuno non rappresenta un minus, tutt'altro. Consente di rinnovare la casa costantemente. Compro, butto, ricompro, con un effetto stira e ammira del proprio spazio domestico. E di noi stessi per logica conseguenza. Sempre nuovi, sempre belli, sempre giusti.
Ho capito tanto di chi, in fondo, non ho mai capito per nulla, in una giornata all'Ikea.
Molto meno di quanto dovrei (c'è sempre qualche pezzo di Ribba mancante per casa ), molto più di quanto vorrei.
Acclaro. L'Ikea l'apprezzo. Dai, impossibile non apprezzarla. Ha cominciato con un principio da Magna Charta della democrazia moderna: "Tutti hanno diritto a un buon design a un prezzo compatibile con uno stipendio normale". E bravo Ingvar Kamprad. Ha scopiazzato i Salone del Mobile di Milano per qualche anno ma, presto, ha assoldato buoni designer proponendogli la sfida: facile fare il designer di nicchia. Prova a farlo per le case di tutti in tutto il mondo...
Dell'Ikea ammiro l'innovazione, sempre attualissima basta guardare la palette di colori, e la tradizione nordica di grafica pulita, di comunicazione diretta - mai spocchiosa, mai banale, pop e non popolare nel senso retrivo.
Di Ikea ammiro il sito, veramente completo, pure con i configuratori, il semaforo per la disponibilità della merce in magazzino...e l'attenzione al testo, sempre localizzato. Preferiscono lasciare worldwide le immagini, con signore biondissime ancora piuttosto improbabili alle nostre latitudini, piuttosto che le headline delle campagne.
Poi, che sollucchero! A pagina 90 del catalogo 2013 ecco qui: "Il caos è subdolo...". Subdolo...in un catalogo per le masse un aggettivo cotanto. Solo in Topolino e nella Settimana Enigmistica trovano posto parole così desuete (di solito in bocca a Paperone, che è anziano... ci sta!).
Quindi GRANDE IKEA!
Però. Però poi ogni volta che ci vado, sempre con qualcuno che se no mi demotivo, mi viene uno scoramento...innanzitutto alla presentazione dei settings non ci casco. Come nelle pubblicità, quello che fa belli i mobili sono le location (sempre con i soffitti altissimi, la vista splendida, i pavimenti ed i rivestimenti curati e pregiati) l'accostamento gradevole con altri pezzi e la grande attenzione per i tessili e le palette dei colori.
Poi. Poi c'è il fatto che ad ogni visita sono 200euro. Anche se non hai trovato il pezzo così conveniente che cercavi. Già che "balini" lì, le candele, i tovaglioli, un paio di lenzuola, due vasetti, il piumino, il cuscino, la sedia da esterno, la panchetta e un bel Lack per l'angolo dell'ingresso li compri...e sono 200euro ogni volta, poco più poco meno.
Che in questo periodo di ristrutturazione non rappresentano mica paglia...
Ma poi. Poi, poi c'è la cosa più grave: l'acquisto di qualcosa di seriale e per questo non avente valore intrinseco percepito. E' terribile, ma disfarsi dei mobili Ikea è facilissimo. Non stimolano nessuna affezione particolare, sono come dei replicanti di gradevole aspetto con una data di scadenza incisa nel patrimonio genetico. "Lo cambio quando voglio, tanto è Ikea!"
Nessuno chiede soldi per un mobile Ikea usato, a meno che sia praticamente nuovo.
Per tutto quello sopra si esce, io esco, dalle casse blu e gialle scontenti e paganti. Non si compra un mobile in effetti, ma una soluzione a un problema funzionale afferente all'abitabilità del tuo comparto domestico.
Tutto il contrario del design, se ci si pensa. Tornando a bomba ecco perché ogni volta che lascio le casse Ikea sono molto più triste di quando varco l'ingresso.
Io sono triste. Ma mica vale mica per tutti...Mia sorella, per esempio. Prima di giungere all'Ikea sembrava la Santanchè il giorno in cui le hanno condannato per diffamazione il fidanzatino. Urticante, acida, maldisposta. Ha urlato con tutti gli automobilisti che abbiamo incocciato per strada; guidasse come Thierry Sabine... macchè, giusto per far tracimare un po' di bile cattiva dal fegato, avrebbe detto nonna mia...
Però, dopo l'acquisto di un buon 500euro di carabattole, sembrava la Teresa del Bernini durante l'estasi. E lì ho capito il potere taumaturgico dello shopping, che tanto ha fatto scrivere nella letteratura femminile (e nelle barzellette della Settimana Enigmistica). E mi ha fatto capire che l'Ikea è meglio del prozac, meglio dell'ideologia nazista: promette ordine e pulizia e per chi ha necessità estrema che tutto sia a posto, una seduta di shopping all'Ikea, con tutti i contenitori di cose e cosine, fa più che bene. E' la promessa concretizzata di ordine nella vita.
Ho capito (e tre) che la fugacità dei mobili Ikea per qualcuno non rappresenta un minus, tutt'altro. Consente di rinnovare la casa costantemente. Compro, butto, ricompro, con un effetto stira e ammira del proprio spazio domestico. E di noi stessi per logica conseguenza. Sempre nuovi, sempre belli, sempre giusti.
Ho capito tanto di chi, in fondo, non ho mai capito per nulla, in una giornata all'Ikea.
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ma chi me l'ha fatto fare...,
vita vera
23 luglio 2013
"Tu non dire che fai la scuola in Italia"
Speriamo di farcela. A non trasformare il post nell`ennesima, inutile lamentatio materna per le manchevolezze paterne.
Ieri primo giorno di Camp estivo di Ari. A Duesseldorf. Dopo concilaboli con l`insegnante di tedesco che insisteva per la condivisione collettiva e ludica dell`apprendimento, una programmazione certosina con il Neandertaliano, corse per prenotare un posto in tempo, finalmente siamo riusciti ad iscriverla.
Vai tu, vado io, ad accompagnarla al kiga siamo qui in due. I trepidanti genitori e la Ari. Che e`emozionata. Io di piu`. Oltre che emozionata allarmata per tutte quelle cose grandi e piccole che non sono state messe a punto.
La prima: richiesto l`elenco delle carabattole da infilarle nello zaino - merenda, asciugamano, antiscivolo..., almeno un mese fa, il nostro che si e` occupato della prenotazione ha tergiversato -via, servono le solite cose!- fino a ieri.
Ora, giusto 10 minuti prima dell`ingresso, mi legge da una stropicciata fotocopia quello che servirebbe 10 minuti dopo...La ragazza comincia a stressarsi: "Non mi avete nemmeno dato la crema da sole? Ce li ho i regenhose?..."
Rispondo pronta, ma se sei gia`nera come un corvo, cosa te ne fai della crema da sole...Oggi ci saranno 30°, i regenhose te li cerco domani, dalla Anto!
Lo faccio per confortarla, in realta` mi spiace, temo non sia un`esperienza facile per lei. Non conosce nessuno, non sa scrivere propriamente in tedesco, ed e` pure un mese che non parla la lingua.
La seconda: la fotocopia delle vaccinazioni. Il libretto e` da qualche parte ma non l`ho trovato, il trasloco e` tutt`ora in corso. Comunque Ari ha fatto solo il primo richiamo di antitetanica, a due anni, mi pare. E se ce lo richiedono e sorgono problemi?
Intanto arrivano altri pargoli, maschi e femmine, Ari tira un respiro di sollievo che pensava ci fossero solo maschi. Un`altra bella idea del Neandertaliano quella di allarmarla su una presenza esclusivamente maschile.
"In caso di bisogno hai lasciato il tuo numero di cellulare?" Chiedo all`altro genitore. "Si, ma poi le ho dato un cellulare?". Un cellulare? A otto anni? Trasecolo. Ma se salta come una pulce d`acqua e fa cadere praticamente tutto. Quanto durera` il cellulare! Ravano nello zaino di Ari e afferro un involto informe, un composè di fazzoletti di carta. La protezione massima concepita dalla mente del nostro contro cadute e sfregamenti del delicato apparato elettronico...
Via, conteniamo lo sbotto, che adesso siamo invitati ad accompagnare i cuccioli all`ingresso della "porta d`acqua", Ari apparterra` alla squadra dei cavalluccci marini pazzi.
"Non ci sono stati problemi con il fatto che non vive a Duesseldorf?". Chiedo mentre seguo con gli occhi Ari che cerca il suo nome sull`elenco, e quello, fresco come acqua di sorgiva: "Io non ho detto nulla e comunque le ho raccomandato: Ari, ricordati di non dire che fai la scuola in Italia!"
!!!
Ma che cosa rispondera` a domanda diretta?
E questa era la terza cosa...
Ieri primo giorno di Camp estivo di Ari. A Duesseldorf. Dopo concilaboli con l`insegnante di tedesco che insisteva per la condivisione collettiva e ludica dell`apprendimento, una programmazione certosina con il Neandertaliano, corse per prenotare un posto in tempo, finalmente siamo riusciti ad iscriverla.
Vai tu, vado io, ad accompagnarla al kiga siamo qui in due. I trepidanti genitori e la Ari. Che e`emozionata. Io di piu`. Oltre che emozionata allarmata per tutte quelle cose grandi e piccole che non sono state messe a punto.
La prima: richiesto l`elenco delle carabattole da infilarle nello zaino - merenda, asciugamano, antiscivolo..., almeno un mese fa, il nostro che si e` occupato della prenotazione ha tergiversato -via, servono le solite cose!- fino a ieri.
Ora, giusto 10 minuti prima dell`ingresso, mi legge da una stropicciata fotocopia quello che servirebbe 10 minuti dopo...La ragazza comincia a stressarsi: "Non mi avete nemmeno dato la crema da sole? Ce li ho i regenhose?..."
Rispondo pronta, ma se sei gia`nera come un corvo, cosa te ne fai della crema da sole...Oggi ci saranno 30°, i regenhose te li cerco domani, dalla Anto!
Lo faccio per confortarla, in realta` mi spiace, temo non sia un`esperienza facile per lei. Non conosce nessuno, non sa scrivere propriamente in tedesco, ed e` pure un mese che non parla la lingua.
La seconda: la fotocopia delle vaccinazioni. Il libretto e` da qualche parte ma non l`ho trovato, il trasloco e` tutt`ora in corso. Comunque Ari ha fatto solo il primo richiamo di antitetanica, a due anni, mi pare. E se ce lo richiedono e sorgono problemi?
Intanto arrivano altri pargoli, maschi e femmine, Ari tira un respiro di sollievo che pensava ci fossero solo maschi. Un`altra bella idea del Neandertaliano quella di allarmarla su una presenza esclusivamente maschile.
"In caso di bisogno hai lasciato il tuo numero di cellulare?" Chiedo all`altro genitore. "Si, ma poi le ho dato un cellulare?". Un cellulare? A otto anni? Trasecolo. Ma se salta come una pulce d`acqua e fa cadere praticamente tutto. Quanto durera` il cellulare! Ravano nello zaino di Ari e afferro un involto informe, un composè di fazzoletti di carta. La protezione massima concepita dalla mente del nostro contro cadute e sfregamenti del delicato apparato elettronico...
Via, conteniamo lo sbotto, che adesso siamo invitati ad accompagnare i cuccioli all`ingresso della "porta d`acqua", Ari apparterra` alla squadra dei cavalluccci marini pazzi.
"Non ci sono stati problemi con il fatto che non vive a Duesseldorf?". Chiedo mentre seguo con gli occhi Ari che cerca il suo nome sull`elenco, e quello, fresco come acqua di sorgiva: "Io non ho detto nulla e comunque le ho raccomandato: Ari, ricordati di non dire che fai la scuola in Italia!"
!!!
Ma che cosa rispondera` a domanda diretta?
E questa era la terza cosa...
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sulla germania senza esagerare,
vita vera
16 luglio 2013
I verdi anni delle nostre vite. Lasciamoli lì, al fresco.
Che poi anche a voler rinverdire anni
dorati...ieri si rientra dalla Liguria sonnolenta alle 12. Di notte.
Con accelerato Ventimiglia-Bergamo carrozze fatiscenti, luci a
intermittenza, finestrini bloccati, che però, assicurano i
fedelissimi della tratta, è più affidabile dell'intercity il doppio
più costoso e non ti obbliga a prenotazioni antelucane per usufruire
di una tariffa “umana” (ps: trenitalia non riconosce la mia carta
di credito tedesca e così ogni volta per spostarci by train è tutto
un pellegrinaggio alla stazione durante le ore morte, in anticipo e
pagando pure il biglietto del parcheggio, non aggiungo altro che si
vede che sono due anni che sono rientrata se no scleravo solo a
pensarlo, un iter simile per prendere un biglietto...).
Malgrado raccomandazioni scritte e orali agli operai frequentanti, il portone dal giardino è inapribile. Giro del condominio per
raggiungere l'apertura retrostante, e rintracciare le chiavi atte
alla bisogna, quelle di cortesia messe a disposizione.
Finalmente entro in casa mia, una puzza
di solventi e cemento fresco, apro dall'interno il portone del
giardino. Oppone resistenza. Spingo decisa. Sento un “ouch”
soffocato. E' la Ari che collassando di sonno si è addormentata sul
pianerottolo e ora è rotolata a terra. Recupero il cadaverino, lo
assetto a nanna prodigando bacini consolatori. Ma quella è frolla di
sonno e non favella. Indi faccio per riporre pesto e salsa di noci
-originale eh?!- nel frigo...e il frigo è fresco come salamoia, a
temperatura ambiente, 27° ca. Pigio i pulsanti, brigo...nulla.
Mannaggia all'aggeggio. Non è nuovissimo, ma manco vetusto...poi mi
viene il dubbio.
Forse è un problema di prese. Infatti
è un problema di prese. Nell'appartamento “giuntato” funzionano,
in questo dove sta attaccato il frigo no. Cerca una prolunga. Niente prolunghe...vado nei garage,
provo quella del tagliaerba. Rien à faire. Finalmente trovo una
povera cosa, di un metro scarso ma sufficiente, spostando a viva forza
il frigorifero, ad avvicinarlo a una presa funzionante. Con il cavo a
mezz'aria.
Ecco, frigo riattivato. Il pesto è al
sicuro. Il sugo di cozze congelato, invece, va buttato. E il burro. E
gli yogurt. E i Philadelphia - ma perché si scrive così con il doppio ph?- e il succo di frutta...e più o meno
tutto quello che c'è dentro.
Intanto che seleziono e butto, macino
rabbia. Che può essere successo? Coloro i quali si sono recati qui
per finire i lavori hanno disinnescato la corrente, poi l'hanno
riattivata, ma non in modo completo -troppa fatica tirare su tre
levette- così, random. Alle 1.30 invio un sms iroso
all'architetto, sperando non sia già spaparanzato in qualche
località balneare, lontano dagli strali delle clienti.
Poi vado a letto. E comincio a
grattarmi come una rognosa. Ecco. La polvere di cemento. L'ultima
delle mie cause allergiche. Ritorna all'attacco. Coi lavori in corso, quegli
sbadati hanno lasciato in giro cose e oggetti e
passatoie e stracci intrisi..e io mi scortico viva per il prurito.
Che è peculiare, intenso, non lascia tregua, e ti sembra di stare in
un letto di ortiche. Alle tre sono sveglia. Alle quattro anche. Alle
cinque sento i galli, nulla confronto ai conciliaboli dei gabbiani al
mare, alle sei, finalmente mi assopisco, non prima di recarmi a
chiudere le ante della finestra di Ari, che è sensibile alla luce
del sole. Alle 9.6 minuti suona il cellulare. L'elettricista avvisato
dall'architetto! Penso, speranzosa e mi precipito a rispondere...no.
Un vecchio amico, vecchio ammiratore che si fa vivo (è luglio, le
mogli e i pargoli sono in vacanza) e dopo i convenevoli di rito, cosa
fai tu, cosa faccio io, i ragazzi, i bei tempi andati, azzarda un
invito a due: “Ci sarà un bel posticino dalle parti tue dove
mangiare qualcosa insieme?” Rispondo che sembro Gambero Rosso
online: alla terza salita dalla città c'è la Trattoria del moro,
alla quarta la Trattoria dei sapori, a destra però, in basso alla
collina, sempre a destra il Civico 21 specializzato in pesce, menù a
mezzogiorno un po' più caro, ma adeguato al locale...e via
discorrendo. Tutto con l'entusiasmo di un tacchino vicino a Natale.
Tasso di allusività erotica, stesso identico.
Dopo poco mi blocca, va bene, taglia
corto, decideremo quando definiremo il giorno. Il giorno? Per le
chiusure? Faccio io mentre, andando a controllare il frigo rischio
l'osso del collo inciampando nel filo penzolante che lo collega alla
nuova presa...
”Il giorno che ci vediamo, intendevo.
Ma forse ti ho disturbato, vero? Via, ti lascio che ti sento
distratta...”
“No, no, figurati un piacere.
Ciao Gian, Gian...- e mi
impapino.
“Gianfredo, sono
Gianfredo, ti ricordi, tanti anni fa, dalla Gaia a Milano?”
“Sì, sì, scusa...”
Sono tanto rinciuchita che solo la
sera, cioè adesso mi sovvengono i passaggi della telefonata.
Definirli surreali è eufemistico.
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ma chi me l'ha fatto fare...,
vita vera
11 luglio 2013
Lasciare libero il wendeplatz
Basta voltare la macchina
verso i monti, anziché il mare, all'uscita dell'autostrada, e
arrampicarsi per pochi chilometri sulle stradicciole strette, tra gli
ulivi e i muri a secco e qualche -brutto- condominio moderno. Ad un
certo punto, non si incontrano più scooter, apecar, utilitarie, ma
macchine grandi e pulite. Van. Una “D”bianca nel quadratino
azzurro della targa. E via i piccoli neri liguri, a torso nudo, dallo sguardo truce e la camminata sciolta. Solo alti e dinoccolati dalle membra
pallide, cappelli a tese larghe, camice a quadri. Non bastasse
l'evidenza: i cartelli, gli avvisi, i messaggi sono bilingue,
italiano/tedesco. A volte solo in tedesco. Anche quando riportano lo
stemma del Comune o della Provincia.
I tedeschi
dell'entroterra di Ponente non sono proprio turisti, auspicata
presenza estiva. Nel Ponente i tedeschi ci abitano. E spesso sono gli
unici abitanti di frazioni abbandonate, gli unici che trovano
attraente vivere su coste impervie e gestire un territorio
complicato. Collaborano con i sindaci, e investono soldini...La cosa
positiva, personale parere, è che si impegnano a mantenere il
paesaggio così com'è. Come gli è piaciuto (mica come noi che
comprando i nuovi appartamenti al mare abbiamo contribuito allo
smantellamento di quel paesaggio di cui volevamo godere!)
![]() |
Dolcedo |
![]() |
Bellissimi |
La cosa negativa sono
loro, cioè la loro apparenza fisica...non che siano brutti, anzi! Esteticamente, nel cambio ci si guadagna. Ma
sono riconoscibilmente tedeschi! E da tedeschi, non si amalgamano con
il paesaggio, quel paesaggio che gli piace tanto nella sua
unicità mediterranea... Come dire, in un terroir dove tutto coopera all'identità
peculiare e irripetibile -natura, arte, enogastronomia...il dettaglio
sbagliato è la loro stessa presenza. Cercando degli esempi a
vanvera, tanto per evitare sospetti di razzismo che non è questo il punto...e' come se in un perfetto scenario invernale gli alberi
fossero pieni di succosi frutti estivi o, in uno splendido mare incontaminato
al posto dei pesci nuotassero lucenti e colorate scatolette di tonno
e acciughe conservate.
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Al santuario dell'Assunta |
Oggi alle pozze, laghetti di un azzurro intenso, su per i bricchi, c'erano
loro. I piedoni pallidi, le spallette ossute e qualche bella panzetta da
bevitori di birra. Silenti e fermi, in attenta circospetta visione
del mondo circostante - mondo che li vede spesso osservatori e quasi
mai soggetti partecipi dello spazio tridimensionale. Oggi c'erano
loro. Solo loro. E per fortuna! Se no, il sentiero per il Rio dei
Boschi sarebbe già stato ingoiato dalla macchia mediterranea e
l'oblio.
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sulla germania senza esagerare,
vita vera
9 luglio 2013
Pirata versus principessa.
Mamma, ma perché tutte vogliono fare le principesse da grandi? Io non voglio. Mai!
E che cosa ti piacerebbe fare da grande?
Uhmm. La pirata.
La pirata...ma in che senso, tipo quando Pippi Langstrumpf quando va a salvare il papà con gli amici?
No, Proprio la pirata di mestiere.
Eh..perché la pirata? Cosa ti piace dei pirati.
Tante cose! Per esempio cantare insieme, a braccetto, come sanno fare loro...E poi i pirati vestono proprio con il mio look!
Certo che le ottenni di oggi sono proprio sconcertanti...
E che cosa ti piacerebbe fare da grande?
Uhmm. La pirata.
La pirata...ma in che senso, tipo quando Pippi Langstrumpf quando va a salvare il papà con gli amici?
No, Proprio la pirata di mestiere.
Eh..perché la pirata? Cosa ti piace dei pirati.
Tante cose! Per esempio cantare insieme, a braccetto, come sanno fare loro...E poi i pirati vestono proprio con il mio look!
Certo che le ottenni di oggi sono proprio sconcertanti...
6 luglio 2013
Amarcord tra NordReno e fiume Po.
“Lo sai vero che ti ritroverai in
mezzo a una strada?”
Il commento del padre tedesco a sua figlia
22enne, che gli annuncia che sposerà quell'italiano conosciuto due
anni prima. In Sicilia.
Fine anni '70, che sembra ieri, ma sono
millenni fa. Lei Iris, diciannovenne renana, decide di accettare l'invito di
un'amica e prendono il treno che da Duesseldorf le porta a Milano, da
Milano in Sicilia. In bus e autostop visitano Catania, Palermo,
Trapani, le Egadi, infine Agrigento. L'ultima tappa prima del
rientro. Ad Agrigento chiedono ad una ragazza, con il loro italiano
stentato, dov'è la stazione. “Chiamo mio cugino, parla inglese!”
E il cugino arriva. Faccia scura, occhi dolci. Camicia bianca,
pantaloni neri. A ricordarlo, Iris ancora si commuove. “Siete
sole?”, “ Non è bello. Sto con voi”. E si ferma, tutta la
notte in stazione ad Agrigento, ad aspettare con loro il treno per
Milano. Si ferma e s'invaghisce di questa ragazza tedesca dai capelli
selvaggi, fiammanti d'hennè, i sandali di cuoio sui piedi ben
saldi, la lunga gonna indiana, il libro “On the road” nello zaino.
Si invaghisce di lei e di quello che rappresenta: è straniera, viaggia, fa l'autostop, vive già da sola, lontano da casa. Lui, di
Bergamo, casa sua non la riesce a lasciare anche se ci vive male, lei
si sorprende che pur lavorando da anni, non disponga
di soldi suoi. Vengono versati alla madre a fine mese. Come tradizione.
Arriva il treno. “Non ci vedremo
più!” fa lei. “Chi lo dice?!” fa lui. Un mese dopo, a
Duesseldorf, al pensionato dove vive, lei riceve un biglietto aereo per Ustica.
E' lui. La invita, ancora, in Sicilia. Le amiche la invidiano, già
tanto se i loro boyfriend tedeschi offrono un caffè, ma la
preparano: gli italiani sono così, infiammabili ma poco affidabili.
Esattamente quello che pensa il padre di Iris, orgoglioso ferroviere renano di origini
contadine.
Dopo Ustica, è il ragazzo, orgoglioso
infermiere padano di origini contadine, che viene a Duesseldorf, a
sorpresa, e a lui Duesseldorf sembra New York. Le ragazze che
ricevono i ragazzi al pensionato, sarebbe vietato, ma si fa... i bagni al lago -tutti nudi- le saune...
Poi lei scende da lui. Per qualche
mese, giustifica alla famiglia. In attesa che la chiamino all'Università. Non tornerà più, stabilmente in Germania.
Lui si vergogna a riceverla in casa,
prende coraggio e va a convivere con un paio di amici. Dopo cercano
un appartamento solo per loro. “Infermiere cerca appartamento arredato
per lui e la sua Fidanzata”. Un signora anziana li contatta.
Nell'appartamento, che sa d'antico, c'è tutto: anche i pitali nei
comodini! Loro non hanno nulla, neppure una federa. Lo stesso giorno
da Croff Casa, si comprano scolapasta, piatti, posate e bicchieri. Il
sapore di quella prima spaghettata in casa loro è indimenticabile: sapore
d'indipendenza, di libertà, di futuro. Due anni insieme. Iris trova lavoro,
come baby sitter da una insegnante tedesca. Poi si sposano. In
Germania, con rito protestante. A lui va bene, rinuncia volentieri
agli ingessati rituali cattolici. La suocera, invece, non le rivolgerà la parola
per anni.
Il primo figlio, un anno dopo il
secondo. Il terzo. La suocera perdona.
Un'altra casa, sempre in affitto, dal
giardino immenso e - purtroppo- un unico bagno!
Trent'anni insieme. Anni densi.
L'anno scorso il padre di Iris si
ammala.
E' grave. Iris e suo marito fanno
continuamente la spola, Orio Duesseldorf, Duesseldorf Orio. L'unica
persona che lascia avvicinare, a curarlo e provvedere alle sue
necessità di malato, il vecchio ferroviere tedesco, è il genero
italiano, quello che avrebbe lasciato la figlia per strada.
“Per me sei come un figlio. Meglio di
un figlio.”
Fa in tempo a dirgli, con gratitudine.
In italiano.
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1 luglio 2013
La signora.
Io nella vita vorrei fare la signora.
L'età l'ho raggiunta, la stazza anche.
La signora, ma mica come quelle stolide vecchie ragazze di adesso. La signora come una di quelle che incontravo da bambina, al Forte, d'estate.
La signora aveva tutto un suo modo di incedere, di comportarsi, di muoversi, di parlare, di alludere. Arrivava in spiaggia con occhialoni e prendisole sgargiante. Gioielli a profusione. La fede al dito. Il brillante del fidanzamento. Ogni gioia rappresentava una tappa della vita, prima che Pomellato inventasse una linea apposta. Ogni gioia aveva un senso. Gli orecchini della madre, il cameo appartenuto alla sorella morta di leucemia, il pendente regalo dello zio Claudio prima di partire per l'Africa, il rubino il primo figlio, la spilla della vecchia zia assistita durante la lunga degenza. Erano gioielli belli, usati e sensati. La signora nel raccontare la loro storia a volte si commuoveva, giusto un po'. Ma manteneva sempre desto il senso del qui e ora. E del comportamento acconcio. Mica facile scomporre una signora. Mica reattiva come quella pescivendola della Santanché. Sangue freddo. Tempra d'acciaio. Cicatrici di gravidanze plurime e a volte, peritoniti, testimoniavano il valore acquisito sul campo.
Cicatrici evidenti su pance non trattate, molli, abbronzate e tirate a lucido. La signora arrivata in spiaggia e assettata sul lettino, infatti, per prima cosa s'impomatava. E la cosa durava almeno una mezz'oretta. Con dita lunghe ed esperte cominciava dagli stinchi, poi le cosce lisce, s'addentrava sull'addome largo, s'infilava nel reggipetto, rinforzato, per poi indulgere sulle spalle e le braccia. Sempre toniche. Che tra figli piccoli e nipoti e tappeti da volgere e riavvolgere, le tende, sempre pesanti, di velluto, e i mobili da movimentare con la fida cameriera...I bicipidi restavano la parte soda del corpo.
Si lustravano, le signore, con oli profumati, intensi e persistenti tratti da flaconi pesanti, dai nomi improbabili, quasi sempre francesi. Alla fine la pelle riluceva come l'impiallaccitura dei mobili delle loro case. Brunite e levigate, finalmente, si allungavano al sole.
Gli occhialoni. Il turbante. I gioielli. Vestite anche se nude, come dee greche. Il reggipetto era rispettosamente tenuto in loco. Ma si sganciavano tutti i laccetti. Brutti i segni sulle spalle! Un tramestio infinito, per evitare i ponti pallidi sulle spallucce.
La signora era sempre truccata. Almeno sulle labbra. E, rigorosamente, unghie smaltate. Pedicure perfette. Smalti spessi come resine epossidiche. Brillanti rossi, rosa corallo, ammalianti.
La signora parlava, eccome. Melliflua s'informava dei fatti di famiglia, come un boss mafioso. Si ricordava tutto. Non tralasciava nulla. Del resto, essere il nume familiare era il senso primo ed ultimo della signora.
Tradimenti, nascite, morti...Quello che non si poteva accettare era il divorzio. Il divorzio mai.
La signora sapeva come blandire il proprio uomo. Mantenendo una sua identità e dignità. Accettava a testa alta le corna, plurime, del marito. Se tradiva, o aveva tradito, lo faceva discretamente. Mai pubblicamente. Che il modo si trovava.
Parlando dei fatti della vita, di tutto il resto se ne impippava bellamente, passava da un tono scaltro a uno allusivo, e sempre attenta alla presenza dei bambini. Mai commozioni troppo evidenti... si prediligevano gli aspetti istruttivi, i consigli per curare le varici, depilare le ascelle, nascondere una scollatura troppo evidente, i rimedi contro l'alitosi, la fuga del marito, la presenza di zanzare, i tarli nel sideboard, le crisi adolescenziali...non c'era nulla che la signora non sapesse affrontare. Niente che la potesse scalfire. Rassicurante e certa come le Apuane, sullo sfondo dietro al mare, dietro alla spiaggia. L'eterna nube bianca incastrata sulla cima.
La signora, alla fine offriva sempre una nuvoletta di gelato a noi bambini.
E ancora ricordo l'asprigno del limone, il mio gusto prediletto, sulla lingua.
Pretendeva in cambio un bacio, sulla guancia, ma per finta.
Mica si rovinava la cipria, in cambio di un gelato, la signora.
L'età l'ho raggiunta, la stazza anche.
La signora, ma mica come quelle stolide vecchie ragazze di adesso. La signora come una di quelle che incontravo da bambina, al Forte, d'estate.
La signora aveva tutto un suo modo di incedere, di comportarsi, di muoversi, di parlare, di alludere. Arrivava in spiaggia con occhialoni e prendisole sgargiante. Gioielli a profusione. La fede al dito. Il brillante del fidanzamento. Ogni gioia rappresentava una tappa della vita, prima che Pomellato inventasse una linea apposta. Ogni gioia aveva un senso. Gli orecchini della madre, il cameo appartenuto alla sorella morta di leucemia, il pendente regalo dello zio Claudio prima di partire per l'Africa, il rubino il primo figlio, la spilla della vecchia zia assistita durante la lunga degenza. Erano gioielli belli, usati e sensati. La signora nel raccontare la loro storia a volte si commuoveva, giusto un po'. Ma manteneva sempre desto il senso del qui e ora. E del comportamento acconcio. Mica facile scomporre una signora. Mica reattiva come quella pescivendola della Santanché. Sangue freddo. Tempra d'acciaio. Cicatrici di gravidanze plurime e a volte, peritoniti, testimoniavano il valore acquisito sul campo.
Cicatrici evidenti su pance non trattate, molli, abbronzate e tirate a lucido. La signora arrivata in spiaggia e assettata sul lettino, infatti, per prima cosa s'impomatava. E la cosa durava almeno una mezz'oretta. Con dita lunghe ed esperte cominciava dagli stinchi, poi le cosce lisce, s'addentrava sull'addome largo, s'infilava nel reggipetto, rinforzato, per poi indulgere sulle spalle e le braccia. Sempre toniche. Che tra figli piccoli e nipoti e tappeti da volgere e riavvolgere, le tende, sempre pesanti, di velluto, e i mobili da movimentare con la fida cameriera...I bicipidi restavano la parte soda del corpo.
Si lustravano, le signore, con oli profumati, intensi e persistenti tratti da flaconi pesanti, dai nomi improbabili, quasi sempre francesi. Alla fine la pelle riluceva come l'impiallaccitura dei mobili delle loro case. Brunite e levigate, finalmente, si allungavano al sole.
Gli occhialoni. Il turbante. I gioielli. Vestite anche se nude, come dee greche. Il reggipetto era rispettosamente tenuto in loco. Ma si sganciavano tutti i laccetti. Brutti i segni sulle spalle! Un tramestio infinito, per evitare i ponti pallidi sulle spallucce.
La signora era sempre truccata. Almeno sulle labbra. E, rigorosamente, unghie smaltate. Pedicure perfette. Smalti spessi come resine epossidiche. Brillanti rossi, rosa corallo, ammalianti.
La signora parlava, eccome. Melliflua s'informava dei fatti di famiglia, come un boss mafioso. Si ricordava tutto. Non tralasciava nulla. Del resto, essere il nume familiare era il senso primo ed ultimo della signora.
Tradimenti, nascite, morti...Quello che non si poteva accettare era il divorzio. Il divorzio mai.
La signora sapeva come blandire il proprio uomo. Mantenendo una sua identità e dignità. Accettava a testa alta le corna, plurime, del marito. Se tradiva, o aveva tradito, lo faceva discretamente. Mai pubblicamente. Che il modo si trovava.
Parlando dei fatti della vita, di tutto il resto se ne impippava bellamente, passava da un tono scaltro a uno allusivo, e sempre attenta alla presenza dei bambini. Mai commozioni troppo evidenti... si prediligevano gli aspetti istruttivi, i consigli per curare le varici, depilare le ascelle, nascondere una scollatura troppo evidente, i rimedi contro l'alitosi, la fuga del marito, la presenza di zanzare, i tarli nel sideboard, le crisi adolescenziali...non c'era nulla che la signora non sapesse affrontare. Niente che la potesse scalfire. Rassicurante e certa come le Apuane, sullo sfondo dietro al mare, dietro alla spiaggia. L'eterna nube bianca incastrata sulla cima.
La signora, alla fine offriva sempre una nuvoletta di gelato a noi bambini.
E ancora ricordo l'asprigno del limone, il mio gusto prediletto, sulla lingua.
Pretendeva in cambio un bacio, sulla guancia, ma per finta.
Mica si rovinava la cipria, in cambio di un gelato, la signora.
27 giugno 2013
Straniamento. Ancora.
" ...sennò lo straniamento non ti passa più."
E' notte, sto ridiscendendo da un monte qua vicino. Ripenso al post dell'amica inviato ieri. Mi sa che c'ha ragione. C'ha preso, come spesso. Straniamento. Sto vivendo ancora in quel tunnel che è lo straniamento da expat.
Quando ci sei dentro, per proseguire con le metafore mondane, mica te ne dai conto. Però in troppe situazioni normali mi sento ancora lontana, sfasata. Non può essere sempre colpa del pre-mestruo, il caldo, il freddo, il trasloco, lo stress...
Oggi, per esempio. A una riunione di lavoro. Come tante altre prima. Sempre le stesse dinamiche da PMI italiana (ci si incontra agenzia e cliente con due obiettivi diversi; gli interlocutori, da una parte e dall'altra, non si sono nemmeno coordinati tra loro; si parlucchia del più e del meno; poi si va a pranzo e qui via libera alla conversazione frivola; si rientra per finire l'incontro e definire gli avanzamenti e ci si rende conto che il problema vero è un altro, ed è stato completamente inesploso, e allora è già tardi, ma ci vorrebbe il responsabile Veneto, la signorina Carla o almeno la Luigia - le donne si chiamano tutte per nome che valgono di meno, a livello gerarchico, ma sono indispensabili a livello operativo - ci vorrebbe qualcuno che però non è mai lì; si tergiversa una mezzora e poi si tutti a casa, "ci siamo intesi comunque!?" seguono sguardi d'intesa, cenni rassicuranti... No, non ci siamo intesi affatto, ma in qualche modo si farà, come sempre...)
Beh. Le dinamiche erano note, voglio dire, un contesto normale e, potenzialmente almeno, "normalizzante". Invece alla riunione ero altrove. Come assistessi una recita. Anche se lo scenario, una volta rientrata dal bagno dove mi sono sciacquata il viso, fosse cambiato, e avessi ritrovato dei taglialegna intorno a un tronco d'albero invece che aziendali intorno a un tavolo levigato, credo non c'avrei visto nulla di strano.
Sarebbe andato bene comunque...
"Attenta, qui ci sono i sassi, vuoi una mano?". Già, qua c'è il punto delicato della discesa dal monte. Quello che mi avvisa e mi precede con la torcia, è il compagno d'avventure di questa strana estate. L'insegnante di yoga.
Non so bene come sia iniziata, forse con qualche meditazione random in pausa pranzo.
Da qualche tempo, e adesso che è scoppiata l'estate piuttosto spesso, si va in notturna. A vedere la luna, a passeggiare sul monte o a fare il bagno nelle pozze. Mi arriva un sms, con le indicazioni operative: orari, luogo d'incontro, meta, durata dell'escursione, eventuale attrezzatura. "Ok" e via.
E in questi momenti così "altri", anomali gli orari, le condizioni di luce, la durata, anomala la compagnia - in fondo mica lo conosco l'insegnante, con quello sguardo folle e ascetico da santo di El greco poi...- in questi momenti così strani, ecco: qui, anche solo per pochi minuti, mi sento perfettamente centrata.
E' notte, sto ridiscendendo da un monte qua vicino. Ripenso al post dell'amica inviato ieri. Mi sa che c'ha ragione. C'ha preso, come spesso. Straniamento. Sto vivendo ancora in quel tunnel che è lo straniamento da expat.
Quando ci sei dentro, per proseguire con le metafore mondane, mica te ne dai conto. Però in troppe situazioni normali mi sento ancora lontana, sfasata. Non può essere sempre colpa del pre-mestruo, il caldo, il freddo, il trasloco, lo stress...
Oggi, per esempio. A una riunione di lavoro. Come tante altre prima. Sempre le stesse dinamiche da PMI italiana (ci si incontra agenzia e cliente con due obiettivi diversi; gli interlocutori, da una parte e dall'altra, non si sono nemmeno coordinati tra loro; si parlucchia del più e del meno; poi si va a pranzo e qui via libera alla conversazione frivola; si rientra per finire l'incontro e definire gli avanzamenti e ci si rende conto che il problema vero è un altro, ed è stato completamente inesploso, e allora è già tardi, ma ci vorrebbe il responsabile Veneto, la signorina Carla o almeno la Luigia - le donne si chiamano tutte per nome che valgono di meno, a livello gerarchico, ma sono indispensabili a livello operativo - ci vorrebbe qualcuno che però non è mai lì; si tergiversa una mezzora e poi si tutti a casa, "ci siamo intesi comunque!?" seguono sguardi d'intesa, cenni rassicuranti... No, non ci siamo intesi affatto, ma in qualche modo si farà, come sempre...)
Beh. Le dinamiche erano note, voglio dire, un contesto normale e, potenzialmente almeno, "normalizzante". Invece alla riunione ero altrove. Come assistessi una recita. Anche se lo scenario, una volta rientrata dal bagno dove mi sono sciacquata il viso, fosse cambiato, e avessi ritrovato dei taglialegna intorno a un tronco d'albero invece che aziendali intorno a un tavolo levigato, credo non c'avrei visto nulla di strano.
Sarebbe andato bene comunque...
"Attenta, qui ci sono i sassi, vuoi una mano?". Già, qua c'è il punto delicato della discesa dal monte. Quello che mi avvisa e mi precede con la torcia, è il compagno d'avventure di questa strana estate. L'insegnante di yoga.
Non so bene come sia iniziata, forse con qualche meditazione random in pausa pranzo.
Da qualche tempo, e adesso che è scoppiata l'estate piuttosto spesso, si va in notturna. A vedere la luna, a passeggiare sul monte o a fare il bagno nelle pozze. Mi arriva un sms, con le indicazioni operative: orari, luogo d'incontro, meta, durata dell'escursione, eventuale attrezzatura. "Ok" e via.
E in questi momenti così "altri", anomali gli orari, le condizioni di luce, la durata, anomala la compagnia - in fondo mica lo conosco l'insegnante, con quello sguardo folle e ascetico da santo di El greco poi...- in questi momenti così strani, ecco: qui, anche solo per pochi minuti, mi sento perfettamente centrata.
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ma chi me l'ha fatto fare...,
vita vera
25 giugno 2013
Poi ci sono le belle coppie.
"Ne conosci di belle?". Coppie, Si parla di coppie. Sono anni che non ci si vede. Io e Ale. Ma dopo pochi minuti mi sembra che ci stiamo dicendo le stesse cose di anni e anni fa. E trattengo uno sbadiglio.
Lui, Ale è un lui, è sconfortato. Punta alla qualità della relazione che latita
- ma va?, dopo un po' di tempo insieme; le ragazze -ragazze...qua si parla di 40enni, via, donne ormai frolle! - sono noiose, diventano noiose, poco interessanti. E lui si stufa - eccerto!..
Poi "nessuno deve sacrificarsi per un altro", no che no. Non è giusto. Le scelte sono individuali e parapa, parapa, parapa.
Tutte stupidate. Penso. Per non dire peggio. Tutte stronzate. E diciamolo!
La qualità della relazione la raggiungi se la vuoi raggiungere, dipende da te come dall'altro. E ha bisogno di tempo e fiducia nel progetto di coppia. Se no è solo un eufemismo per definire quel momento attrattivo e iperbolico dell'innamoramento. Che sta all'inizio. Poi chiuso, chiuso per tutti.
Se ci si circonda di ragazze poco interessanti è perché si ha bisogno di attenzione, ed evidentemente piacciono persone cui si piace. Non necessariamente interessanti.
Infine il sacrificio, di uno, di due, è conditio sine qua non per il formarsi di una coppia e di una famiglia. Punto e basta.
Quello che ho testé scritto mica glielo dico, all'Ale. Che c'arrivi da solo. Se mai c'arriverà. Ma sì, che c'arriva. Quando parla della nipotina è lì che gli si dilatano le pupille...dopo un altro paio di atrocità sentimentali su vittime più o meno consenzienti, alla prima bortola interessante come un tralcio d'edera, capitolerà e ci farà un figlio. Due.
Che non è tutto lì nella vita, ma quasi...Almen per la maggior parte di noi.
Però di belle coppie, tornando alla domanda iniziale, ne conosco. E neppure poche, ad onor del vero. Le differenze tra una bella coppia e una coppia sono tre: complicità, sesso, socialità.
La coppia "normodotata" condivide i progetti comuni, ma diffonde allegria come la tromba all'adunata le note del silenzio. Scopa poco, quasi niente. Poi, di fronte agli altri tende a chiudersi. Lui, lei, rigidi e sussiegosi.
Certo, quisquilie di fronte alla "coppia nevrotica" che è sempre sul punto di rottura. Da 20 anni. Amici, parenti, figli...tutti lì a sorbirsi lo spettacolo dei loro psicodrammi. Più o meno gli stessi, lo stesso pathos. La separazione? Impossibile. Se ne dicono di ogni, i figli vivono tra scatti d'ira e parolacce, però lasciarsi questo mai.
Succede la coppia nevrotica. Spesso. Fortuna non a tutti. Penso ai figli, che sono innocenti spettatori. Innocenti almen finché son piccoli.
Non so invece quali siano gli ingredienti concreti di una bella coppia. La complementarietà? Aiuta, certo. La conoscenza profonda e di lunga data? Questa la riconosci quasi sempre: tra i due si sente una accettazione totale, come solo tra "famigli". Ma non basta, la conoscenza. Anzi. Per mantenere accesa la fiaccola dell'attrazione, per esempio, è pure controproducente.
Forse ci vuole un poco di pazzia...oppure il contrario, l'accettazione dell'abitudine come parte "normale" della vita.
Quello che so è che con le belle coppie si sta bene.
Lui, Ale è un lui, è sconfortato. Punta alla qualità della relazione che latita
- ma va?, dopo un po' di tempo insieme; le ragazze -ragazze...qua si parla di 40enni, via, donne ormai frolle! - sono noiose, diventano noiose, poco interessanti. E lui si stufa - eccerto!..
Poi "nessuno deve sacrificarsi per un altro", no che no. Non è giusto. Le scelte sono individuali e parapa, parapa, parapa.
Tutte stupidate. Penso. Per non dire peggio. Tutte stronzate. E diciamolo!
La qualità della relazione la raggiungi se la vuoi raggiungere, dipende da te come dall'altro. E ha bisogno di tempo e fiducia nel progetto di coppia. Se no è solo un eufemismo per definire quel momento attrattivo e iperbolico dell'innamoramento. Che sta all'inizio. Poi chiuso, chiuso per tutti.
Se ci si circonda di ragazze poco interessanti è perché si ha bisogno di attenzione, ed evidentemente piacciono persone cui si piace. Non necessariamente interessanti.
Infine il sacrificio, di uno, di due, è conditio sine qua non per il formarsi di una coppia e di una famiglia. Punto e basta.
Quello che ho testé scritto mica glielo dico, all'Ale. Che c'arrivi da solo. Se mai c'arriverà. Ma sì, che c'arriva. Quando parla della nipotina è lì che gli si dilatano le pupille...dopo un altro paio di atrocità sentimentali su vittime più o meno consenzienti, alla prima bortola interessante come un tralcio d'edera, capitolerà e ci farà un figlio. Due.
Che non è tutto lì nella vita, ma quasi...Almen per la maggior parte di noi.
Però di belle coppie, tornando alla domanda iniziale, ne conosco. E neppure poche, ad onor del vero. Le differenze tra una bella coppia e una coppia sono tre: complicità, sesso, socialità.
La coppia "normodotata" condivide i progetti comuni, ma diffonde allegria come la tromba all'adunata le note del silenzio. Scopa poco, quasi niente. Poi, di fronte agli altri tende a chiudersi. Lui, lei, rigidi e sussiegosi.
Certo, quisquilie di fronte alla "coppia nevrotica" che è sempre sul punto di rottura. Da 20 anni. Amici, parenti, figli...tutti lì a sorbirsi lo spettacolo dei loro psicodrammi. Più o meno gli stessi, lo stesso pathos. La separazione? Impossibile. Se ne dicono di ogni, i figli vivono tra scatti d'ira e parolacce, però lasciarsi questo mai.
Succede la coppia nevrotica. Spesso. Fortuna non a tutti. Penso ai figli, che sono innocenti spettatori. Innocenti almen finché son piccoli.
Non so invece quali siano gli ingredienti concreti di una bella coppia. La complementarietà? Aiuta, certo. La conoscenza profonda e di lunga data? Questa la riconosci quasi sempre: tra i due si sente una accettazione totale, come solo tra "famigli". Ma non basta, la conoscenza. Anzi. Per mantenere accesa la fiaccola dell'attrazione, per esempio, è pure controproducente.
Forse ci vuole un poco di pazzia...oppure il contrario, l'accettazione dell'abitudine come parte "normale" della vita.
Quello che so è che con le belle coppie si sta bene.
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