Che poi anche a voler rinverdire anni
dorati...ieri si rientra dalla Liguria sonnolenta alle 12. Di notte.
Con accelerato Ventimiglia-Bergamo carrozze fatiscenti, luci a
intermittenza, finestrini bloccati, che però, assicurano i
fedelissimi della tratta, è più affidabile dell'intercity il doppio
più costoso e non ti obbliga a prenotazioni antelucane per usufruire
di una tariffa “umana” (ps: trenitalia non riconosce la mia carta
di credito tedesca e così ogni volta per spostarci by train è tutto
un pellegrinaggio alla stazione durante le ore morte, in anticipo e
pagando pure il biglietto del parcheggio, non aggiungo altro che si
vede che sono due anni che sono rientrata se no scleravo solo a
pensarlo, un iter simile per prendere un biglietto...).
Malgrado raccomandazioni scritte e orali agli operai frequentanti, il portone dal giardino è inapribile. Giro del condominio per
raggiungere l'apertura retrostante, e rintracciare le chiavi atte
alla bisogna, quelle di cortesia messe a disposizione.
Finalmente entro in casa mia, una puzza
di solventi e cemento fresco, apro dall'interno il portone del
giardino. Oppone resistenza. Spingo decisa. Sento un “ouch”
soffocato. E' la Ari che collassando di sonno si è addormentata sul
pianerottolo e ora è rotolata a terra. Recupero il cadaverino, lo
assetto a nanna prodigando bacini consolatori. Ma quella è frolla di
sonno e non favella. Indi faccio per riporre pesto e salsa di noci
-originale eh?!- nel frigo...e il frigo è fresco come salamoia, a
temperatura ambiente, 27° ca. Pigio i pulsanti, brigo...nulla.
Mannaggia all'aggeggio. Non è nuovissimo, ma manco vetusto...poi mi
viene il dubbio.
Forse è un problema di prese. Infatti
è un problema di prese. Nell'appartamento “giuntato” funzionano,
in questo dove sta attaccato il frigo no. Cerca una prolunga. Niente prolunghe...vado nei garage,
provo quella del tagliaerba. Rien à faire. Finalmente trovo una
povera cosa, di un metro scarso ma sufficiente, spostando a viva forza
il frigorifero, ad avvicinarlo a una presa funzionante. Con il cavo a
mezz'aria.
Ecco, frigo riattivato. Il pesto è al
sicuro. Il sugo di cozze congelato, invece, va buttato. E il burro. E
gli yogurt. E i Philadelphia - ma perché si scrive così con il doppio ph?- e il succo di frutta...e più o meno
tutto quello che c'è dentro.
Intanto che seleziono e butto, macino
rabbia. Che può essere successo? Coloro i quali si sono recati qui
per finire i lavori hanno disinnescato la corrente, poi l'hanno
riattivata, ma non in modo completo -troppa fatica tirare su tre
levette- così, random. Alle 1.30 invio un sms iroso
all'architetto, sperando non sia già spaparanzato in qualche
località balneare, lontano dagli strali delle clienti.
Poi vado a letto. E comincio a
grattarmi come una rognosa. Ecco. La polvere di cemento. L'ultima
delle mie cause allergiche. Ritorna all'attacco. Coi lavori in corso, quegli
sbadati hanno lasciato in giro cose e oggetti e
passatoie e stracci intrisi..e io mi scortico viva per il prurito.
Che è peculiare, intenso, non lascia tregua, e ti sembra di stare in
un letto di ortiche. Alle tre sono sveglia. Alle quattro anche. Alle
cinque sento i galli, nulla confronto ai conciliaboli dei gabbiani al
mare, alle sei, finalmente mi assopisco, non prima di recarmi a
chiudere le ante della finestra di Ari, che è sensibile alla luce
del sole. Alle 9.6 minuti suona il cellulare. L'elettricista avvisato
dall'architetto! Penso, speranzosa e mi precipito a rispondere...no.
Un vecchio amico, vecchio ammiratore che si fa vivo (è luglio, le
mogli e i pargoli sono in vacanza) e dopo i convenevoli di rito, cosa
fai tu, cosa faccio io, i ragazzi, i bei tempi andati, azzarda un
invito a due: “Ci sarà un bel posticino dalle parti tue dove
mangiare qualcosa insieme?” Rispondo che sembro Gambero Rosso
online: alla terza salita dalla città c'è la Trattoria del moro,
alla quarta la Trattoria dei sapori, a destra però, in basso alla
collina, sempre a destra il Civico 21 specializzato in pesce, menù a
mezzogiorno un po' più caro, ma adeguato al locale...e via
discorrendo. Tutto con l'entusiasmo di un tacchino vicino a Natale.
Tasso di allusività erotica, stesso identico.
Dopo poco mi blocca, va bene, taglia
corto, decideremo quando definiremo il giorno. Il giorno? Per le
chiusure? Faccio io mentre, andando a controllare il frigo rischio
l'osso del collo inciampando nel filo penzolante che lo collega alla
nuova presa...
”Il giorno che ci vediamo, intendevo.
Ma forse ti ho disturbato, vero? Via, ti lascio che ti sento
distratta...”
“No, no, figurati un piacere.
Ciao Gian, Gian...- e mi
impapino.
“Gianfredo, sono
Gianfredo, ti ricordi, tanti anni fa, dalla Gaia a Milano?”
“Sì, sì, scusa...”
Sono tanto rinciuchita che solo la
sera, cioè adesso mi sovvengono i passaggi della telefonata.
Definirli surreali è eufemistico.
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