Autunno

Autunno
E' un tramonto italiano ma a me ricorda Ddorf.

25 aprile 2013

Francigena due - la vendetta.


Tre anni fa è stata Lucca-Siena.
Quest'anno Siena Lucca. 170 chilometri in otto giorni.
Bello, intenso. Non come la prima Francigena, lì oltre alla scoperta, era anche la prima volta dalla nascita di Ari che tornavo a fare qualcosa che mi piaceva PER UNA LUNGA SETTIMANA... il ricordo di quell'esperienza, i paesaggi, la compagnia è ancora inebriante come l'effetto dei prosecchini che mi scolavo, che ci scolavamo alle cinque del pomeriggio, all'arrivo tappa.
Ma anche la seconda Francigena è stata bella- anche senza prosecchini...E rigenerante. Mi ha consentito di affrontare il trasloco alleggerita... 
Poi la campagna toscana in primavera è la campagna toscana in primavera...Via, ineguagliabile. un po' di foto, il resto qui:
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                                          Fango e fiori..
                                         Casale, morbide colline, cipressi...'na noia!
                                          Bolsena. Il castello.
                                         Come pioveva...
                                         Sosta a Montalcino, a trovare Brunello grande amico del viandante...
Siena. Mattina di pasquetta. La partenza.

24 aprile 2013

Ossessioni da trasloco

"Sei ossessiva compulsiva". Chi, io? Mia cognata - santa donna ancora più santa durante i miei numerosi traslochi...mi gela così. Tiene tra le mani a mo' di indizio probante, un involucro. Una scatola, un po' délabré, che riproduce il tartan scozzese. Quello classico rosso, verde e nero.

Trova inconcepibile che serbi oggetti cotali. Io invece trovo inconcepibile il contrario. Ma non ha notato che la scatola è originale degli anni '60, con gli stampati un poco fuori registro, in helvetica spaziata come si usava in quegli anni? Scritta: "Made in England". Mitica!

Conteneva un bambolina, regalo di nostro zio giramondo, che ci portava spesso souvenir dal sapore esotico. Noi li conservavamo con dedizione. Bastava la definizione “è dello zio Piero” perchè l'oggetto acquisisse automaticamente una sua personalità definita: era estero, inconsueto, snob. Trendy, insomma...che fosse una collana, una bambolina, l'ennesimo gingillo per cucina (ricordo un affetta cipolle in vetro per evitare lacrime per il quale mia madre nutriva una vera adorazione...)

La scatola finisce nel sacco dell'immondizia, soprattutto per dare soddisfazione a mia cognata. Salvi invece la libellula in bambù vietnamita; il suiseki casereccio, da baia dei gabbiani sul Gargano -per un anno ho dormito con 'sta pietra levigata tra le cosce perché si rivestisse della particolare patina sebacea del corpo, tipica dei suiseki- i disegni della ari; tutti i suoi inviti alle feste; la collezione di Sfera, rivista patinata degli anni '80, grande epoca delle riviste patinate; gli strofinacci con le donnine degli anni '60, corpicini stilizzati e i faccioni enormi e stirati e una serie di altro pattume per molti, piccoli dettagli ad alto valore significante per me.

Non so. A me sta mania del tossing up, space clearing per liberarsi del passato, vecchio, pesante, invasivo, mi mette in crisi, mi lacera. In linea teorica sono d'accordo. A parte per tutte le manfrine buddiste, anche solo per non doversi occupare di superflue carabattole (pulire, aggiustare, movimentare...). Ma ogni volta che butto via un oggetto è una lotta interiore, con punte forse sì, assurde.


Come quando buttai una segreteria telefonica della Swatch, verde trasparente coi fili interni in evidenza, rotta da mò. Porto in discarica, me ne vado, salto in macchina e..poi mi è venuto in mente mia sorella e il suo moroso, come si divertivano a cambiare il messaggino di saluto (era il vezzo di allora, corrispondente mas o menos al profilo fb, diceva molto di te, della tua creatività, della tua disinvoltura...ci si chiamava a volte solo per ascoltare il messaggio) e poi penso al telefono Swatch come ad un simbolo di grande design democratico ed ecco che invece ora via!, giù, buttato solo per fare spazio al più convenzionale made in China...e penso al destino delle cose e degli uomini che le creano, al destino di tutto, di noi e che la conservazione, in fondo, è una forma di ribellione al tutto passa, un tentativo di trattenere un frammento di verità stabile in questo correre prendere cambiare distruggere, non fa lo stesso anche l'arte, non nasce dalla stessa pulsione a contrastare l'irrimediabile?...e allora scendo dalla macchina, rientro in discarica, mi armo di bastone e ravano nel container per ripescare la segreteria Swatch. Che ora è ancora lì, da qualche parte, chissà dove.

Speriamo solo che mia cognata non la trovi...

19 aprile 2013

16 aprile 2013

Ma che sei tornata a fare...


Giorni come oggi, mattine come stamattina...
A volte cedo alla tentazione e mi sciroppo i vari "Nove in punto", i notiziari e gli aggiornamenti di Radio24...Ecco il Polillo che dice: "No, non vogliamo aumentare le tasse, però sì manca un miliardo per le casse integrazione...", "Ma non lo prevedevate?" "Sì, certo però sarebbe stato varato il nuovo governo..." Indi? Mi chiedo io, che non ne capisco un'acca, cosa sarebbe mai cambiato nel nuovo governo, si sperava forse nella presenza del mago Otelma che i soldi li crea con la stagnola?
In mattine così, con dichiarazioni così, ti senti proprio intriso di italianità. Un bel fango misto di rassegnazione, vittimismo, rabbia sorda, scoglionamento, tirar a campare, condito di un latente pervasivo senso di colpa. Senso di colpa, sì. Che c'è sempre una vocina, in fondo in fondo che suggerisce che un po', magari poco, ma un po' è colpa tua. Potevi fare diversamente, potevi fare di più, potevi impegnarti...Il senso di colpa. Ovvero la ruota dentata -presente quella di Sant'Agnese? che fa girare il mondo.
Del resto...con il massimo rispetto per chi crede, ma ancora oggi la prima confessione dei bimbi si fa a sette anni. Sette anni...un'età in cui comincia a capire il senso del giusto e dello sbagliato legato alla consequenzialità dei propri atti. Ma il peccato? E che sottolineatura di partecipazione familiare e collettiva alla prima confessione! 
Quasi era preferibile ai tempi miei che il parroco faceva durare la confessione delle bambine il doppio di quella dei maschi. Alla richiesta del perché: "loro non sono maliziosi...e poi devono giocare al pallone".
Beata innocenza. Io svenivo in chiesa, e questo al parroco non piaceva, era indizio di qualcosa di strano, forse luciferino. Io ero timida. Sono timida. Tutti sono timidi.
Svenivo che l'odore dell'incenso mi frastornava e poi il freddo e poi quelle immagini scure e orrende dei santi decapitati, bucherellati, tagliuzzati, accecati, detettizzati...praticamente un macello.
Eppoi c'era la comunione e quando mi avvicinavo all'ostia sentivo gli occhi di tutti addosso, e avevo paura che cadesse, o che l'odore delle dita del prete, nauseabondo, mi facesse rigurgitare il sacro boccone...eppure mi avvicinavo all'altare, cric cric, le suole delle scarpe di vernice, i piedi gelidi nei calzini di cotone, duri come cartavetro... Prima della comunione c'era il segno della pace, scambiatevi un segno di pace e io avrei fatto la guerra a chiunque purché non mi toccasse. Se erano persone della famiglia temevo i sorrisetti furbi o il sorriso accennato di mio padre che interpretavo sempre allusivo... se erano estranei temevo il contatto delle loro mani sulle mie, se non c'era nessuno cui offrire la mano mi sentivo la pecora nera del sacro gregge che nessuno voleva vicina.
Odiavo la messa, la chiesa, il prete, gli oranti, i canti che erano ragli, le omelie...tutte quelle parole senza senso pronunciate senza amore.
Però mi sentivo in colpa a non andarci a messa, e scontentare le aspettative di quel cattolico anomalo di mio padre che si è disegnato una religione a sua immagine e somiglianza. Come del resto ha fatto con tutto nella sua vita. E che fortunato a riuscire in questa fantastica operazione di tailor cutting di ogni riferimento importante. Se ne fosse consapevole vivrebbe più felice.. no, correggo. Lui è felice, avrebbe solo rotto un poco meno le scatole a chi gli stava e gli sta intorno. Privilegi degli italiani di qualche generazione fa.
E noi, invece? Noi italiani di oggi s'intende. Noi qui. Tra la paura, il disagio, l'incomprensione e prospettive future lievi e incerte come ombre cinesi.
Parcheggio, sono arrivata, spengo la radio, allontana da me questo calice o straziata politica peninsulare.
Ecco. In Germania stavo meglio. Lontana dal gravame letale. A casa mia a farmi gli affari miei e a malapena sapevo chi era il cancelliere tedesco.
E tanto bastava.

11 aprile 2013

Non lo fo per scelta mia...

C'è da invidiarle, le donne sposate di una volta. Almeno loro avevano due appigli forti per mandare avanti i loro matrimoni a tutti i costi. Uno, immanente: la dipendenza economica. In un mondo dove la divisione a metà dei doveri di spuppamento dei pargoli era al di là da venire, una donna con figli manco poteva immaginarlo un lavoro.

L'altro appiglio era trascendente, religioso. Il matrimonio è sacramento sacro e l'uomo non sciolga ciò che Dio ha unito. Quindi ragazze, su la greppia e giù col groppone a testa bassa.

Che poi acclariamo: gli stessi mariti e padri erano a loro modo contenti di avere una famigliona ubertosa di bimbi e nipoti. Alla fine almeno, quando a testosterone minimo s'innalzava la vocazione patriarcale e la disponibilità a passare il proprio tempo in famiglia. Si apprezzavano le case comode e i pasti caldi e abbondanti.

Se guardo indietro, ai miei genitori, ai miei zii, lo schema era sempre quello. Ci si sposava per abbaglio di gioventù, si procreava, illo schizzava di qua e di là tra bravate di amici e accoglienti braccia clandestine per una ventina d'anni; illa piangeva, minacciava, ricattava, soprattutto si lamentava...però resisteva. Se tradiva stava bella zitta e quatta, e comunque lo faceva per vendetta mica per accrescere l'autostima o per mollare tutto e ricominciare una nuova vita. Poi, passata la boa degli anta, la seconda boa degli anta, illo si chetava; illa si ringalluzziva. Illo diventava buono, nostalgico e pure un po' piagnone; illa con tutta quella rabbia repressa in corpo, dura come il silicio e, a volte, cattiva come il peccato.

Come contropartita, a onor di verità, nessuna delle mie zie o mia madre han mai patito di deprivazioni materiali o di rivendicazioni in tal senso. Illi erano consapevoli di aver la famiglia sulle spalle, e se illo viveva nell'agio, mogli e bambini vivevano nell'agio.

Questo una volta. Fino agli anni '70 dello scorso secolo, per tentare una data. E oggi? Oggi sarebbe più o meno la stessa cosa. Sta sommamente alle donne il compito di “salvaguardare l'unione”, “difendere il matrimonio”, “credere nella coppia”, “tenere unita la famiglia”. Mica frasi a vanvera, tutte cose che si sentono in giro e si leggono sulle testate femminili, tra un consiglio per gli acquisti da zoccola di lusso e un articolo su come migliorare la propria fellatio.

Lo fanno, le donne e, a mio parere di donna matura, spesso fanno bene. Col senso di poi.
Qualcuna, poche, avrà la riconoscenza del marito.
Tutte, a differenza delle loro ave, non potranno più contare sulla solida, stolta, serenizzante certezza di doverlo fare per cause di forza maggiore.

10 aprile 2013

Welcome home.


Ieri rientro. Dopo 9 giorni, 8 di cammino sulla via Francigena Siena Viterbo, il Camino di Santiago de' noantri.
Alle cinque, ieri appunto, mi sono svegliata, camminato con lo zaino in spalla fino alla stazione fiorentina di Viterbo.
Cambiato quattro treni: Viterbo Attigliano, Attigliano Firenze, Firenze Milano, Milano Bergamo.
Alle due del pomeriggio rientro finalmente a casa. Stanca e felice.
Sistemo i cuscini del divano, raccolgo tutti i vestiti di Arianna, che sono ovunque; disfo lo zaino; organizzo le lavatrici, scopo il pavimento, annaffio le piante disidratate, cambio la lettiera ai gatti, sostituisco le lenzuola, rifaccio i letti, arieggio le stanze, passo i sanitari del bagno; leggo le comunicazioni dalla scuola, firmo e preparo i soldi per le gite di Ari; controllo i quaderni, li ripongo nel loro scomparto, sistemo la borsa per la piscina di domani; ritiro la posta, leggo le comunicazioni; passo lo straccio, vuoto la lavastoviglie, sgelo il sugo per la sera; porto i libri alla biblioteca, e il leggio alla scuola di musica; preparo la merenda, imposto la cena.
Alle quattro e mezza del pomeriggio, mi precipito a scuola per il ripescaggio della bimba. Stanca e infelice. Sono pure in ritardo...Welcome home!