Autunno

Autunno
E' un tramonto italiano ma a me ricorda Ddorf.

16 febbraio 2012

Cerco lavoro.

 Cerco lavoro. Chiamo gli interlocutori coi quali ho già lavorato bene (leggi: preventivi accettabili e pagamenti più o meno regolari) e dico che passo per un caffè, così per aggiornarsi. 

 L'imbarazzo è percepibile già al telefono (caffè? ma chi ha tempo per un caffè, abbiamo poi la macchinetta? vorrà mica le tazzine...) 
Ma sono una delle poche donne del settore, per di più di una certa età. Poi mica se lo ricordano se sono legata a qualche cliente o a qualche fornitore, per tema di scontentarlo e per tutte le cose sopra...capitolano. Dopo un paio di procrastinamenti si concedono per la mezzoretta del caffè. Rassegnati. 

 Arrivo, bella giuliva. Entro, come va e stretta di mano. Si sta dove si sta, in genere all'ingresso, col cappotto, fissi e impalati come i supporti delle gondole. 
Parliamo del più e del meno. Meglio: parlo del più e del meno. Lui, è sempre un lui, non ricorda mai esattamente quando abbiamo lavorato insieme: sì certo, abbiamo collaborato ma...ah eri in Germania, ma pensa, per vacanza? abbiamo lavorato anche da lì? davvero?...


Il cicaleccio intanto può infastidire i lavoranti, silenti, piegati sui loro computer con aria grave, che non hanno mosso un muscolo facciale da quando sono entrata. 
Quindi ci si sposta in sala riunioni. E ci si siede. Finalmente.

 Loro, i miei interlocutori, allo scadere del quarto d'ora soffrono visivamente. E' l'ora della fase due. Chiedo dell'agenzia, di quel progetto per le esigenze di comunicazione interna, e verso i clienti acquisiti di cui si parlava anni fa...fatto qualcosa? 

 Naturalmente no, non si ha tempo per pensarci, sì lo diciamo sempre, ma...poi siamo qui. Però l'interesse si è stimolato, adesso il boss chiama un paio di scagnozzi fedeli, gli impone di mollare la tastiera. Ecco, ti presento...e mi introduce con le stesse parole che ho usato prima per ricordare a lui chi cacchio fossi.


 Fase tre. Il caffè della macchinetta, schifoso, che ho bevuto solo io, è terminato (gli altri se lo portano da casa, nel thermos). Riprendo il cappello, mi sistemo la sciarpa -il cappotto l'ho tenuto addosso, mica dare l'impressione di essere invadente. E poi la sala riunioni è gelida, serve quasi esclusivamente per depositarci il materiale di presentazione. 


 La fase tre esige la sintesi: sono qui, disposta a collaborazioni a tempo o a progetto. Fine. Sono pronta a sollevarmi dalla sedia e chiudere la visita. A quel punto il boss si scuote, fa un gesto tipo "sta bona lì stai", esce dalla sala e rientra accompagnato con la "piupina" di turno. La piupina, e non il piupino che  in genere è una donna, ha l'aria sciapa, ma l'occhio vigile. La piupina appoggia sul tavolo un oggetto, il prodotto e comincia a sciorinare i pochi dati a disposizione affinché io quantifichi il preventivo. Urgentissimo. Ovvio. 


 Datemi un paio d'ore, faccio orante, va bene ma lascia il numero di telefono, sono ragionevolmente certa che l'avete...ah sì! l'abbiamo, hai ragione (e finalmente il capo ha la conferma che è vero, c'eravamo già visti) 


Bene, ci sentiamo, guarda che è urgentissimo! E via, si corre "a fare truciolo". 

2 commenti:

  1. Esco ora da una maratona di colloqui di lavoro, hai tutta la mia comprensione. Preferisco andare dal dentista che alle interview...una moderna forma di tortura

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  2. Faticoso, sì. Se si mantiene un certo distacco i colloqui sono però un'esperienza sociologica. La cosa interessante, alle "nostre bande" è che mai più capiterà di confrontarsi su temi generali con le persone con cui hai avuto il colloquio. Se ci lavorerai. Due piani completamente diversi. Come se...ci si vergognasse di essersi esposti così, con le proprie idee. A Milano è tutto diverso. Ed è solo a 40 chilometri da qui.

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