Autunno

Autunno
E' un tramonto italiano ma a me ricorda Ddorf.

13 ottobre 2013

Sembra tutto un sogno.



E a ripensarci, adesso faccio quasi fatica a dire che è stato tutto vero. Un pezzo di vita vera. Io a Duesseldorf. L'Autunno, le giornate plumbee, l'aria pungente, il neon azzurro della T.Com alla finestra e quello rosso, Mediamarkt, sulla strada. L'asfalto bagnato, sempre bagnato, la bicicletta fedele posteggiata al palo della luce, all'angolo con Gerthsstrasse. 
La Ari da portare all'asilo, la mattina, a volte in macchina, a volte a piedi; il nostro percorso, pieno di foglie colorate, d'Autunno. Gli alberi elefante, il parchetto giochi, il tennis, i becchi delle oche, arancioni che sbucano dal telo blu, e starnazzano, il sentiero umido e scivoloso, il Dussel che scorre rapido sotto di noi, l'erba fradicia. La spesa al bio della scuola poi il rientro, da sola, a volte correndo, per l'Ostpark. La solitudine, d'Autunno. 
Anche, la solitudine.
Eppoi invece l'abitudine, a quel silenzio ovattato tra le persone, le cose, i fatti, i luoghi...è stato, ad un certo punto dell'esperienza di espatrio, come muoversi in una specie di zona protetta, che si allarga intorno al tuo corpo, creando una barriera di rispetto. Si ha la sensazione di essere invulnerabili, lì dentro. E di scivolare nel mondo esterno, più che esserci. Sensazioni da expat, appunto. E non sono durate pure molto. Ma il ricordo è vivido. 
La sofferenza spesso dura poco, ma ha un potere penetrativo nella nostra memoria incredibile. Il perché sarà legato all'istinto di sopravvivenza. Però. ora che le nostre esistenze sono in balia di sistemi sanitari e di altri che c'assistono e non di belve feroci ed eventi naturali imprevedibili, ora che non c'aggiriamo nella jungla schivando serpenti e piante velenose, potrebbe essere un pochetto meno incisiva, la sofferenza? 
Che poi. Che poi, tornando a Ddorf, all'Autunno a Ddorf... a ben guardare me la sono spassata pure. E soprattutto negli ultimi due anni mi muovevo con disinvoltura. 
E' bella la sensazione di muoversi per una città che non è la tua come se lo fosse, con la tranquillità che ti deriva dalla conoscenza. I quartieri centrali oramai li battevo palmo a palmo; i negozi; i luoghi riferimento. 
Certe confidenze pericolose, si prendono coi luoghi!
Il parco di notte, per esempio. Da sola anche in Novembre, in bici, la giaccona in goretex, le scarpe con la para, i pantaloni pesanti. Un look da expat matura. Il primo anno non ti vesti così, se non saltuariamente, ma poi... poi diventa una divisa. 
Quelle orrende scarpone da tedesca te le ritrovi ai piedi. E trovi che siano pure comode e...sì, ti piacciono. La macchia sui calzoni... che vuoi che sia. Stirare i vestiti ai bambini... si smette. Che a Ddorf non lo fa proprio nessuno e t'avvedi presto dell'inutilità del gesto. 
E io viaggiavo, con la mia bicicletta. D'Autunno. Di notte. Aspirando l'aria pungente del buio, buio come raramente da noi. Aggiravo la statua delle oche, la casetta delle anatre. E qui, sempre, pensavo "devo portare il pane raffermo". Non me lo sono mai ricordata di portarlo, il sacchetto del pane. In quattro anni. Ecco. Le panchine retroilluminate dal neon. Siamo quasi a metà strada. Mi ci ero pure seduta una volta, la prima, in cerca di calore. E ci ho ricavato solo il sedere bagnato. 
Che tutto è bagnato a Duesseldorf d'Autunno. 

2 commenti:

  1. Grazie. Questo non l'ho manco riletto, prima di postarlo. Che dici. Forse meglio non farlo mai?

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