Con una postilla, però, doverosa per amor di verità.
Sabato
Ari si è rotta malamente un braccino. Tra il gomito e la mano
sembrava Lombard Street a San Francisco. Fortuna che l'ho visto,
il braccino, in tutta la sua deformità solo in ospedale, quando le
hanno tolto la felpa, che se no non so se sarei stata in grado
di condurla fin là...Già lì per lì in pronto soccorso,
mi sono dovuta appoggiare alla sedia e una sbrigativa infermiera: "Eh
no cara signora, non cada mica giù che non è proprio il
momento!"
Andiamo
per gradi. La Ari cade dagli anelli al parco. Gli unici 5 minuti in
tutta la mattina in cui le avevo ingiunto di lasciarmi in
pace il tempo di inviare due sms. Già non stava bene... e quindi è
caduta male. "Signora le si è fatta male la bambina!"
Arriva un babbo, faccia di riprovazione che io ero girata di spalle
rispetto al luogo del fattaccio e non avevo sentito le urla
agghiaccianti della mia progenie...LE si è fatta male la
bambina...fa il pari con espressioni come: “Dottore, non MI
mangia niente”...Io resto un po' indecisa, Ari è abituata a
cadere, ma lui mi sollecita a portarla in ospedale per le
radiografie...Chiedo a Ari di muovere la manina. No, non la muove.
Via, all'ospedale. Chiedo agli astanti dove è: "Non lo sa? Ma è di Bergamo?" Sì, sapevo dove era l'ospedale, ma supponevo anche lo avessero trasferito come dicono da anni, almeno da quattro, quando siamo partiti per ddorf... Rinuncio alle spiegazioni, sono ancora fremente di irritazione con Ari che si è cacciata in questo guaio -ancora non so che il guaio è serio- così da vanificare ogni residua speranza di una bella passeggiata in collina.
La
strattono malamente verso la macchina, da una tovaglia strappata
ricavo una bandana per l'arto offeso. Lei piange, mi sembra più di
rabbia che di dolore...
Arrivate
nei pressi dell'ospedale chiedo a un posteggiatore se si può entrare
in macchina al pronto soccorso: "No, solo per le urgenze, le
conviene parcheggiare qui." Qui è a 400 metri minimo. Ari mi
segue, poi rallenta, è pallida, mi scivola accanto. Che faccio?
Sembro la Magnani nella Ciociara (o era la Loren?) Boh, comunque mi
faccio pena da sola.
E
come in un film degli anni '50 arrivano due prestanti carabinieri:
"Signora, ha bisogno d'aiuto!", che frase da
carabinieri...afferrano la settenne esangue e la portano al pronto
soccorso.
In
uno scantinato mal illuminato una cinquantina di disgraziati si
volgono verso di noi, uno dei due carabinieri va a cercare un medico,
aprendo tendoni verdognoli che separano la sala d'attesa con gli
studi medici...evidentemente. "Ma che è 'sta favela?” Faccio
in tempo a pensare...
Ecco,
mi fa cenno di entrare in un pertugio scuro, sono nell'ufficio
accettazione; meglio alle spalle dell'omino dell'ufficio accettazione
e mi vergogno un po' quando questo molla il paziente regolarmente in
coda “davanti” al vetro spesso dello sportello per svolgere le
mie pratiche. Tra un fornello elettrico, uguale a quello che aveva la
mia maestra!- e un ritratto di famiglia in cornice Ikea, appoggio la
borsa e cerco come richiestomi, il codice fiscale e la TESSERA
SANITARIA di Ari. Il primo celo, il due no e lo so benissimo
che è restato in Germania, ma ravano nella borsa per un tempo
bastevole a far sbottare l'omino: “Va bene così signora facciamo
senza..."
Torno
di là, nel sottoscala d'attesa, tuffo al cuore: non vedo mia figlia.
Qualcuno mi afferra il braccio: "Di là, è stesa" Eccola,
riversa su un paio di sedie mentre un ciccione enorme fasciato di
giallo le fa aria con la Gazzetta dello Sport.
I
carabinieri si sono dileguati, come i cavalieri dell'apocalisse.
Compare invece un' infermiera che fa distendere Ari su un
lettino."Grazie, le rivolgo, umile, e ora dove dobbiamo
andare?", " Da nessuna parte!" E lancia il lettino
contro un tendone, che si apre e si richiude davanti al mio sguardo
atterrito. "Sdeng!", il letto deve aver finito la sua
-breve, corsa.
Seguo
lo sdeng, in un androne allestito a studio medico. Di quelli dove ti
immagini che curino i mafiosi, o i mujaidin feriti, ricavati in
luoghi insospettabili dall'esterno. Ari chiede da bere. Cerco un
bicchiere, un contenitore...nulla di nulla. Cerco qualcuno. Siamo
rimaste sole.
"Sono
tutti dei cazzoni!" Un tipo segaligno, sguardo basso, interrompe
la nostra dualitudine, si sbraca su una sedia e si rivolge al
terminale. "Età!...cazz, lento 'sta merda di affare..."
"Età! Ho chiesto!" Sbotta. "Scusi parla a me? La
bimba ha sette anni". Grugnisce, compila e continua a
smoccolare: "Neanche una infermiera, c'è neanche un'infermiera,
fanc..."
Si
alza, prende improvvisamente con le dita la spalla della Ari: "Ahi!"
"Ahi qui? ...O qui?" "Più qui...no lì!"
"Uhm...qui, invece?" Urlo disumano...A me si accappona
la pelle. "Eh, che non la tocco più giù se no tira giù
l'ospedale..." mi fa, come compiaciuto.
In
quel momento afferra un involto sotto la scrivania, lo spallottola e
si infila un camice che sembra uscito dal culo di una gallina.
Ecco,
è l'ortopedico.
"Mamma
ho sete!", "Scusi non potremmo avere dell'acqua", "No.
Questa va in sala operatoria, niente acqua". E così scopro che
mia figlia si deve operare... Il Dottor House degli ospedali riuniti
di Bergamo si mette al telefono a reclamare un'infermiera.
La
quale si palesa poco dopo: "Dove cacchio era?" "In
bagno, il tempo di tirar giù l'acqua del water..."
"Venga
qui..." - adesso è miss eleganza che chiama- "...le
leviamo i vestiti." Sfiliamo la benda, poi la felpa e quando la
felpa non c'è più vedo il braccino di Ari e... mi stringo forte
alla sedia.
No, non svengo. Ma mi prendo un paio di minuti buoni...prima di seguire l'infermiera che inizia a spingere il lettino tra corridoi e rampe. Nelle corsie che attraversiamo a una velocità da freccia rossa ogni tanto qualcuno si affaccia: “Poverina, una bimba...” “Magari la devono amputare...”. Tiè!
Entriamo alla fine in una stanza con due letti, una famigliola -mamma papà bimba con braccino ingessato, nonna nonno- occupa quello accanto alla finestra.
Bimba
a parte, ci guardano tutti in cagnesco. Wow!
Ari
sta lanciando urla lancinanti, l'infermiera del reparto mi allunga
una supposta ammiccando, come fosse uno spinello. Chiedo dell'acqua
per umettarla, come faceva la mia mamma con me, che io alla Ari non
l'ho mai fatta, una supposta. E l'infermiera, carina, bionda con il
naso rifatto sembra la Giovanna Elmi dei tempi che furono, non ci
crede. Riconfermo. “Neanche con la febbre?” “No.”
Alla
fine, senza acqua che non serve, faccio il mio dovere di mamma, Ari
mi porge le terga fiduciosa, povero angioletto, poi, dopo il
fattaccio, mi guarda come il piccolo ebreo del ghetto di Varsavia con
le braccia alzate della celebre foto. Come hai potuto? Occhi neri
piantati nei miei. Dì, come hai potuto?
“Vedi lei che brava bimba che ha preso la supposta?” Quella che parla, dal letto lato finestra, è la signora rivolgendosi alla figlia che, secondo me, sta appunto verificando quanto la sua ostinazione sia stata ben giustificata.
Inevitabili
le presentazioni. La famiglia bivacca qui dalle 6 del mattino. Ora
sono le 13. Devono rioperare la bimba di 5 anni, non si sono
calcificate le ossa del braccio. Avevano l'appuntamento fissato, però
ogni volta che tocca a loro ecco un paziente più urgente dal pronto
soccorso. E loro sempre in attesa. La bimba non mangia da ieri sera e
quel che è peggio, non beve da ieri sera.
“Sete,
acqua, voglio acqua!” Questa è la Ari, “Acqua anche io” pigola
la cinquenne.
Anche
noi passiamo prima della sua bimba, mi dice. Ah, ecco perché quando
siamo entrati ci ha guardato come un cane le sue pulci.
Si sa
chi c'è in sala operatoria adesso? Temporeggio... “Un uomo, un
ragazzo. Incidente in motorino. Dei marocchini gli hanno tagliato la
strada..” Sguardo di disappunto“...Là in sala di attesa ci sono
i suoi parenti.”Allungo il collo per vederli...
Alle
quattro arriva mia cognata. Grande! Chiedo all'infermiera -che si
presenta dopo 10 minuti dalla chiamata, ma quando vado a cercarla in
corsia la becco al computer che ride con un paio di colleghe- se mi
conviene andare a casa e prendere il necessario per la
notte...l'infermiera tentenna poi mi conferma di sì, l'intervento in
corso è lungo e delicato. “Cosa serve?” Chiedo. Mi risponde con
espressione infastidita. I ricambi con zip centrale per la bimba,
copertina per me, che non è prevista nella fornitura, asciugamani
per il bagno, la colazione...e via così. Alcune cose sono sì
banali, altre meno. Perché semplicemente non scrivono tutto su un bel
foglietto, poi via di fotocopie da distribuire, anziché stizzirsi?
Vado, lascio la cognata straziarsi agli ululati di dolore di Ari.
Prima però chiediamo un'ulteriore dose di antidolorifico. Per
calmare la sete concedono poche gocce di acqua dalla spremitura di un
fazzoletto di carta...
Esco
dall'ospedale che mi sembra di uscire dal lager. Anche se solo la
presenza di qualcuno che condivide il mio stesso sconcerto, ha
alleggerito l'umore. Al parcheggio approfitto di questa ventata di
allegria per rampognare il parcheggiatore. Al pronto soccorso si
entra sì in macchina. “Sì però poi non c'è il parcheggio...”
Uf, non ho voglia di litigare...
Ritorno
che la situazione in stanza è quasi immutata, a parte che i vicini
si sono replicati e ora raggiungiamo un numero da colonia estiva. Un
ipad troneggia sulla sedia, con la Pimpa a tutto volume, la cinquenne
manco la guarda, la Ari invece se la sugge che è un piacere. A lei
la Pimpa è sempre piaciuta. Forse le piacerebbe ancora, ma a sette
anni è poco trendy.
“Neanche
la stanza con il televisore vi hanno dato!” la nonna, che poi è la
suocera, aizza la nuora che gira per stanza sibilando come una tigre
in gabbia.
Ari,
doppata di paracetamolo e rinciuchita dalla Pimpa, finalmente si è
assopita. Mostro l'arto
mostro alla parente e
quasi sviene pure lei.
Dalla
sala operatoria nessuna nuova.
I
parenti in attesa sono solo più numerosi. E più silenziosi di
stamane.
Alle
sette di sera la colonia se ne va, la stanza si svuota, la piccola
oggi non verrà operata.
Ari
invece sì, infatti non le servono da mangiare. Penso che sono 3
giorni che è a dieta di magro per via di una indigestione. Non
stupisce che appena si sveglia chieda cibo.
Sono
le 8, quando irrompe un'allampanata figura verdevestita con cuffia e
mascherina. Ha gli occhi gonfi e cerchiati da opossum, macchie di
rimmel nero la identificano come appartenente al genere femminile. Si
accascia letteralmente sulla sedia invasa da peluches (foche, per
l'operazione la Ari ha chiesto le sue due foche) e abbassa di
sguincio la mascherina per chiedere informazioni sulla bimba. Voce
flebile. Inquietanti macchie scure sul camice.
E
questa ubriaca di sonno deve operare mia figlia? Qualcosa nel mio
sguardo e in quello della mia solidale deve essere stato raccolto se
ci tranquillizza: “Qui prendo solo le informazioni per l'anestesia
poi le passo al nuovo team”.
Ahh!
Puro sollievo. Chiediamo dell'intervento precedente, durato più di
sei ore. Sì, era un uomo. 54 anni, tre figli. E' stato amputato ad
una gamba. No, non era in motorino. E neppure in autostrada. Sì,
alla fine l'hanno salvato, l'abbiamo salvato. Ci complimentiamo.
Quella è così stanca che sta scoppiando a piangere. Azz, sembra
davvero una puntata del Dottor House, che poi nemmeno mi piace.
Frigna
tu che frigna io, quasi ci dimentichiamo di preparare la degente. Le
sistemiamo il cappellino operatorio, che terremo come cottillon, e
l'accompagniamo fino alla porta scorrevole, la salutiamo,
lacrimuccia. Mentre ce ne andiamo in sala d'attesa, ecco il team che
arriva. In mezzo il chirurgo, tutto di fretta...sguardo basso...oh
no. Oh sì! Lui, ancora lui: l'ortopedico pazzo di stamani.
“Salve
è sua la bambina, vero?” Che intuito, il rude: “Senta la botta è
brutta, cerchiamo di assemblare la frattura senza aprirla...se invece
si deve aprire...eh, non le dico niente che vedremo poi.”
Lo
stile asciutto è lo stesso, ma nessuna parolaccia. Confronto ad oggi
sembra sia stato a un corso di savoir
faire a Eton. Mi ha
perfino degnato di uno sguardo. E ha gli occhi azzurri!
Proprio come quelli del Dottor House.
Postilla, doverosa postilla.
L'Ospedale Riuniti di Bergamo sta traslocando da una vetusta,
fatiscente sede ottocentesca a una megasupergiga
sede moderna e
funzionale. Non sappiamo se i luoghi acconci acconceranno anche il
personale medico e paramedico. Ne ha tanto bisogno!
La
mia ultima recente esperienza di ospedali in Italia, per la mia
mamma, è stata altrettanto incredibile. Però à
revers. Reparti
nuovissimi, pulitissimi. Infermieri, caposala e medici gentili
preparati e incredibilmente umani. Non li dimenticherò mai.
Mi dispiace molto per la bimba ma devo dire che le situazioni di stress ti regalano la tua prosa migliore ( ehm....allora meglio scrivere peggio e vivere senza drammi? Se lo sono domandato in molti )
RispondiEliminaPezzo geniale, chapeau
Eh...sara`pure. Chi diceva che la bella letteratura ha bisogno della sofferenza? Parallelando i blog arguti hanno bisogno dello stress...pero`, CHE STRESS!
EliminaMa quando torni quassù? Che il Vate ci organizza un bell´evento ad hoc e tu ci racconti tutto live e in tecnicolor
EliminaVeni, vidi e...tornai. E' così. Ritagliati tre giorni per mostrare l'arto mostro a Neanderthaliano addolorato. Perso l'aereo in andata e la comoda auto dell'offerta fly and drive...sbarco d'emergenza a Eindhoven, Olanda. Il resto solo una delocalizzazione del servizio di PR per la Ari. Una passeggiata in foresta, giretto al Reno. Già tempo di rientro...Incontrato qualcuno, "stata bene" con nessuno.Uf e riuf.
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