Autunno

Autunno
E' un tramonto italiano ma a me ricorda Ddorf.

20 settembre 2012

Come sparare sulla croce rossa....

...parlare male degli ospedali italiani.
Con una postilla, però, doverosa per amor di verità.

Sabato Ari si è rotta malamente un braccino. Tra il gomito e la mano sembrava Lombard Street a San Francisco. Fortuna che l'ho visto, il braccino, in tutta la sua deformità solo in ospedale, quando le hanno tolto la felpa, che se no non so se sarei stata in grado di condurla fin là...Già lì per lì in pronto soccorso, mi sono dovuta appoggiare alla sedia e una sbrigativa infermiera: "Eh no cara signora, non cada mica giù che non è proprio il momento!"

Andiamo per gradi. La Ari cade dagli anelli al parco. Gli unici 5 minuti in tutta la mattina in cui le avevo ingiunto di lasciarmi in pace il tempo di inviare due sms. Già non stava bene... e quindi è caduta male. "Signora le si è fatta male la bambina!" Arriva un babbo, faccia di riprovazione che io ero girata di spalle rispetto al luogo del fattaccio e non avevo sentito le urla agghiaccianti della mia progenie...LE si è fatta male la bambina...fa il pari con espressioni come: “Dottore, non MI mangia niente”...Io resto un po' indecisa, Ari è abituata a cadere, ma lui mi sollecita a portarla in ospedale per le radiografie...Chiedo a Ari di muovere la manina. No, non la muove.


Via, all'ospedale. Chiedo agli astanti dove è: "Non lo sa? Ma è di Bergamo?" Sì, sapevo dove era l'ospedale, ma supponevo anche lo avessero trasferito come dicono da anni, almeno da quattro, quando siamo partiti per ddorf... Rinuncio alle spiegazioni, sono ancora fremente di irritazione con Ari che si è cacciata in questo guaio -ancora non so che il guaio è serio- così da vanificare ogni residua speranza di una bella passeggiata in collina.

La strattono malamente verso la macchina, da una tovaglia strappata ricavo una bandana per l'arto offeso. Lei piange, mi sembra più di rabbia che di dolore...

Arrivate nei pressi dell'ospedale chiedo a un posteggiatore se si può entrare in macchina al pronto soccorso: "No, solo per le urgenze, le conviene parcheggiare qui." Qui è a 400 metri minimo. Ari mi segue, poi rallenta, è pallida, mi scivola accanto. Che faccio? Sembro la Magnani nella Ciociara (o era la Loren?) Boh, comunque mi faccio pena da sola.

E come in un film degli anni '50 arrivano due prestanti carabinieri: "Signora, ha bisogno d'aiuto!", che frase da carabinieri...afferrano la settenne esangue e la portano al pronto soccorso.

In uno scantinato mal illuminato una cinquantina di disgraziati si volgono verso di noi, uno dei due carabinieri va a cercare un medico, aprendo tendoni verdognoli che separano la sala d'attesa con gli studi medici...evidentemente. "Ma che è 'sta favela?” Faccio in tempo a pensare...

Ecco, mi fa cenno di entrare in un pertugio scuro, sono nell'ufficio accettazione; meglio alle spalle dell'omino dell'ufficio accettazione e mi vergogno un po' quando questo molla il paziente regolarmente in coda “davanti” al vetro spesso dello sportello per svolgere le mie pratiche. Tra un fornello elettrico, uguale a quello che aveva la mia maestra!- e un ritratto di famiglia in cornice Ikea, appoggio la borsa e cerco come richiestomi, il codice fiscale e la TESSERA SANITARIA di Ari. Il primo celo, il due no e lo so benissimo che è restato in Germania, ma ravano nella borsa per un tempo bastevole a far sbottare l'omino: “Va bene così signora facciamo senza..."

Torno di là, nel sottoscala d'attesa, tuffo al cuore: non vedo mia figlia. Qualcuno mi afferra il braccio: "Di là, è stesa" Eccola, riversa su un paio di sedie mentre un ciccione enorme fasciato di giallo le fa aria con la Gazzetta dello Sport.

I carabinieri si sono dileguati, come i cavalieri dell'apocalisse. Compare invece un' infermiera che fa distendere Ari su un lettino."Grazie, le rivolgo, umile, e ora dove dobbiamo andare?", " Da nessuna parte!" E lancia il lettino contro un tendone, che si apre e si richiude davanti al mio sguardo atterrito. "Sdeng!", il letto deve aver finito la sua -breve, corsa.

Seguo lo sdeng, in un androne allestito a studio medico. Di quelli dove ti immagini che curino i mafiosi, o i mujaidin feriti, ricavati in luoghi insospettabili dall'esterno. Ari chiede da bere. Cerco un bicchiere, un contenitore...nulla di nulla. Cerco qualcuno. Siamo rimaste sole.

"Sono tutti dei cazzoni!" Un tipo segaligno, sguardo basso, interrompe la nostra dualitudine, si sbraca su una sedia e si rivolge al terminale. "Età!...cazz, lento 'sta merda di affare..." "Età! Ho chiesto!" Sbotta. "Scusi parla a me? La bimba ha sette anni". Grugnisce, compila e continua a smoccolare: "Neanche una infermiera, c'è neanche un'infermiera, fanc..."

Si alza, prende improvvisamente con le dita la spalla della Ari: "Ahi!" "Ahi qui? ...O qui?" "Più qui...no lì!" "Uhm...qui, invece?" Urlo disumano...A me si accappona la pelle. "Eh, che non la tocco più giù se no tira giù l'ospedale..." mi fa, come compiaciuto.

In quel momento afferra un involto sotto la scrivania, lo spallottola e si infila un camice che sembra uscito dal culo di una gallina.

Ecco, è l'ortopedico.

"Mamma ho sete!", "Scusi non potremmo avere dell'acqua", "No. Questa va in sala operatoria, niente acqua". E così scopro che mia figlia si deve operare... Il Dottor House degli ospedali riuniti di Bergamo si mette al telefono a reclamare un'infermiera.

La quale si palesa poco dopo: "Dove cacchio era?" "In bagno, il tempo di tirar giù l'acqua del water..."

"Venga qui..." - adesso è miss eleganza che chiama- "...le leviamo i vestiti." Sfiliamo la benda, poi la felpa e quando la felpa non c'è più vedo il braccino di Ari e... mi stringo forte alla sedia.


No, non svengo. Ma mi prendo un paio di minuti buoni...prima di seguire l'infermiera che inizia a spingere il lettino tra corridoi e rampe. Nelle corsie che attraversiamo a una velocità da freccia rossa ogni tanto qualcuno si affaccia: “Poverina, una bimba...” “Magari la devono amputare...”. Tiè!


Entriamo alla fine in una stanza con due letti, una famigliola -mamma papà bimba con braccino ingessato, nonna nonno- occupa quello accanto alla finestra.

Bimba a parte, ci guardano tutti in cagnesco. Wow!

Ari sta lanciando urla lancinanti, l'infermiera del reparto mi allunga una supposta ammiccando, come fosse uno spinello. Chiedo dell'acqua per umettarla, come faceva la mia mamma con me, che io alla Ari non l'ho mai fatta, una supposta. E l'infermiera, carina, bionda con il naso rifatto sembra la Giovanna Elmi dei tempi che furono, non ci crede. Riconfermo. “Neanche con la febbre?” “No.”

Alla fine, senza acqua che non serve, faccio il mio dovere di mamma, Ari mi porge le terga fiduciosa, povero angioletto, poi, dopo il fattaccio, mi guarda come il piccolo ebreo del ghetto di Varsavia con le braccia alzate della celebre foto. Come hai potuto? Occhi neri piantati nei miei. Dì, come hai potuto?

Vedi lei che brava bimba che ha preso la supposta?” Quella che parla, dal letto lato finestra, è la signora rivolgendosi alla figlia che, secondo me, sta appunto verificando quanto la sua ostinazione sia stata ben giustificata.

Inevitabili le presentazioni. La famiglia bivacca qui dalle 6 del mattino. Ora sono le 13. Devono rioperare la bimba di 5 anni, non si sono calcificate le ossa del braccio. Avevano l'appuntamento fissato, però ogni volta che tocca a loro ecco un paziente più urgente dal pronto soccorso. E loro sempre in attesa. La bimba non mangia da ieri sera e quel che è peggio, non beve da ieri sera.

Sete, acqua, voglio acqua!” Questa è la Ari, “Acqua anche io” pigola la cinquenne.

Anche noi passiamo prima della sua bimba, mi dice. Ah, ecco perché quando siamo entrati ci ha guardato come un cane le sue pulci.

Si sa chi c'è in sala operatoria adesso? Temporeggio... “Un uomo, un ragazzo. Incidente in motorino. Dei marocchini gli hanno tagliato la strada..” Sguardo di disappunto“...Là in sala di attesa ci sono i suoi parenti.”Allungo il collo per vederli...

Alle quattro arriva mia cognata. Grande! Chiedo all'infermiera -che si presenta dopo 10 minuti dalla chiamata, ma quando vado a cercarla in corsia la becco al computer che ride con un paio di colleghe- se mi conviene andare a casa e prendere il necessario per la notte...l'infermiera tentenna poi mi conferma di sì, l'intervento in corso è lungo e delicato. “Cosa serve?” Chiedo. Mi risponde con espressione infastidita. I ricambi con zip centrale per la bimba, copertina per me, che non è prevista nella fornitura, asciugamani per il bagno, la colazione...e via così. Alcune cose sono sì banali, altre meno. Perché semplicemente non scrivono tutto su un bel foglietto, poi via di fotocopie da distribuire, anziché stizzirsi? Vado, lascio la cognata straziarsi agli ululati di dolore di Ari. Prima però chiediamo un'ulteriore dose di antidolorifico. Per calmare la sete concedono poche gocce  di acqua dalla spremitura di un fazzoletto di carta...

Esco dall'ospedale che mi sembra di uscire dal lager. Anche se solo la presenza di qualcuno che condivide il mio stesso sconcerto, ha alleggerito l'umore. Al parcheggio approfitto di questa ventata di allegria per rampognare il parcheggiatore. Al pronto soccorso si entra sì in macchina. “Sì però poi non c'è il parcheggio...” Uf, non ho voglia di litigare...

Ritorno che la situazione in stanza è quasi immutata, a parte che i vicini si sono replicati e ora raggiungiamo un numero da colonia estiva. Un ipad troneggia sulla sedia, con la Pimpa a tutto volume, la cinquenne manco la guarda, la Ari invece se la sugge che è un piacere. A lei la Pimpa è sempre piaciuta. Forse le piacerebbe ancora, ma a sette anni è poco trendy.

Neanche la stanza con il televisore vi hanno dato!” la nonna, che poi è la suocera, aizza la nuora che gira per stanza sibilando come una tigre in gabbia.

Ari, doppata di paracetamolo e rinciuchita dalla Pimpa, finalmente si è assopita. Mostro l'arto mostro alla parente e quasi sviene pure lei.

Dalla sala operatoria nessuna nuova.

I parenti in attesa sono solo più numerosi. E più silenziosi di stamane.

Alle sette di sera la colonia se ne va, la stanza si svuota, la piccola oggi non verrà operata.

Ari invece sì, infatti non le servono da mangiare. Penso che sono 3 giorni che è a dieta di magro per via di una indigestione. Non stupisce che appena si sveglia chieda cibo.

Sono le 8, quando irrompe un'allampanata figura verdevestita con cuffia e mascherina. Ha gli occhi gonfi e cerchiati da opossum, macchie di rimmel nero la identificano come appartenente al genere femminile. Si accascia letteralmente sulla sedia invasa da peluches (foche, per l'operazione la Ari ha chiesto le sue due foche) e abbassa di sguincio la mascherina per chiedere informazioni sulla bimba. Voce flebile. Inquietanti macchie scure sul camice.

E questa ubriaca di sonno deve operare mia figlia? Qualcosa nel mio sguardo e in quello della mia solidale deve essere stato raccolto se ci tranquillizza: “Qui prendo solo le informazioni per l'anestesia poi le passo al nuovo team”.

Ahh! Puro sollievo. Chiediamo dell'intervento precedente, durato più di sei ore. Sì, era un uomo. 54 anni, tre figli. E' stato amputato ad una gamba. No, non era in motorino. E neppure in autostrada. Sì, alla fine l'hanno salvato, l'abbiamo salvato. Ci complimentiamo. Quella è così stanca che sta scoppiando a piangere. Azz, sembra davvero una puntata del Dottor House, che poi nemmeno mi piace.

Frigna tu che frigna io, quasi ci dimentichiamo di preparare la degente. Le sistemiamo il cappellino operatorio, che terremo come cottillon, e l'accompagniamo fino alla porta scorrevole, la salutiamo, lacrimuccia. Mentre ce ne andiamo in sala d'attesa, ecco il team che arriva. In mezzo il chirurgo, tutto di fretta...sguardo basso...oh no. Oh sì! Lui, ancora lui: l'ortopedico pazzo di stamani.

Salve è sua la bambina, vero?” Che intuito, il rude: “Senta la botta è brutta, cerchiamo di assemblare la frattura senza aprirla...se invece si deve aprire...eh, non le dico niente che vedremo poi.”

Lo stile asciutto è lo stesso, ma nessuna parolaccia. Confronto ad oggi sembra sia stato a un corso di savoir faire a Eton. Mi ha perfino degnato di uno sguardo. E ha gli occhi azzurri! Proprio come quelli del Dottor House.


Postilla, doverosa postilla. L'Ospedale Riuniti di Bergamo sta traslocando da una vetusta, fatiscente sede ottocentesca a una megasupergiga sede moderna e funzionale. Non sappiamo se i luoghi acconci acconceranno anche il personale medico e paramedico. Ne ha tanto bisogno!

La mia ultima recente esperienza di ospedali in Italia, per la mia mamma, è stata altrettanto incredibile. Però à revers. Reparti nuovissimi, pulitissimi. Infermieri, caposala e medici gentili preparati e incredibilmente umani. Non li dimenticherò mai.

4 commenti:

  1. Mi dispiace molto per la bimba ma devo dire che le situazioni di stress ti regalano la tua prosa migliore ( ehm....allora meglio scrivere peggio e vivere senza drammi? Se lo sono domandato in molti )
    Pezzo geniale, chapeau

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    1. Eh...sara`pure. Chi diceva che la bella letteratura ha bisogno della sofferenza? Parallelando i blog arguti hanno bisogno dello stress...pero`, CHE STRESS!

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    2. Ma quando torni quassù? Che il Vate ci organizza un bell´evento ad hoc e tu ci racconti tutto live e in tecnicolor

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    3. Veni, vidi e...tornai. E' così. Ritagliati tre giorni per mostrare l'arto mostro a Neanderthaliano addolorato. Perso l'aereo in andata e la comoda auto dell'offerta fly and drive...sbarco d'emergenza a Eindhoven, Olanda. Il resto solo una delocalizzazione del servizio di PR per la Ari. Una passeggiata in foresta, giretto al Reno. Già tempo di rientro...Incontrato qualcuno, "stata bene" con nessuno.Uf e riuf.

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