Autunno

Autunno
E' un tramonto italiano ma a me ricorda Ddorf.

22 gennaio 2013

Ti sorridono i monti...

Eh si che me l'ero anche ben preparato. Il nostro bianco week end sulla neve. La Ari, dopo tre mesi di inutilizzo del braccio ha perso molto della sua baldanza fisica. Si muove con circospezione, è goffa, a volte cade. E si fa male. Senza nessun tipo di consulto sono addivenuta alla seguente conclusione: in questi mesi si è creata una cesura tra lei e il mondo circostante. E' pure cresciuta, ma non ha potuto riarrangiare quei processi naturali che ti portano a muoverti nello spazio senza urtare cose e persone. Se al tutto aggiungiamo che nell'ultima uscita sciistica con il Neanderthaliano "iddu" l'ha mollata sola a prendere lo Skilift, prima volta, e questa stramazza a terra e viene raccolta e portata al rifugio da perfetti sconosciuti...

Via, urge correre ai ripari. Due giorni in montagna, tranquille, con l'assistenza fidata di un maestro per riprendere disinvoltura e cancellare il brutto episodio. La mamma sa quello che ci vuole. Spulcio tra le offerte last minute disponibili on line...Romantici wellness resort, splendidi skipass notturni...ecco, fantastico: mamme single e bimbi gratis...uhm, è in Carinzia, dov'è la Carinzia, vicino alla Lapponia? No, in Austria, comunque a una distanza inadeguata per un solo we che tra benzina e autostrada (gasp! difficile riabituarsi alla soperchieria del pedaggio autostradale italiano)
Lunedì e martedì lo passo a scandagliare offerte e a confrontare pacchetti week end sulla neve che sembro una tedesca; il mercoledì ne ho i cabasisi colmi da italiana incostante...e qui soccorre il consiglio del vicino. Stazione sciistica assai prossima, compresenza di piste da fondo e da sci alpino, scuola bimbi qualificata. Bene. Per dormire niente di meglio del "Rifugio Trifoglio". Nemmeno “quadrifoglio”. Proprio “Trifoglio”. Un proclama di understatement.

Arrangio il pernotto per me e la minore: “Siete fortunate signora, si annuncia un we soleggiato e la neve è splendida”. Bene. Venerdì mattina stipo tutto lo stipabile nella macchina, agguanto la Ari all'uscita da scuola e via. Verso i monti sorridenti. La giornata è sfolgorante, la strada miracolosamente sgombra dal traffico. Ci fermiamo al paesello sottostante il rifugio, dal nome a dir il vero poco incoraggiante: Valtorta.
Alle 15.15 del Venerdì a Valtorta non c'è anima viva. Sentiamo risuonare tra le stradette i nostri passi sulla neve scricchiolosa. Un breve tour ci riporta alla chiesa dove abbiamo parcheggiato. C'è una lapide sul muro. Un elenco nutrito di nomi. Tutti morti a causa di una valanga che travolse il paesello. Nel 1888...

La Ari spulcia se tra i defunti c'è qualche bimbo. Le piace l'espressione di raccapriccio che riservo agli infanticidi. "No, purtroppo nessun bambino", dice, la satanassa. Poi, mentre rientriamo alla macchina: “Mamma, ci sono! E' venuta una valanga nuova e per questo non c'è nessuno nel paese!"
Lasciamo l'arcano alle spalle, si sale ancora di quota. La strada termina in uno slargo ingombro di neve. Lampioni al neon, qualche costruzione distratta, camuffata con parziali perlinature da architettura di montagna. Una di queste è il Rifugio Trifoglio. Entriamo, ci accoglie uno stanzone sporco di poltiglia nevosa, residui degli scarponi degli sciatori. Dietro al bancone, un grande oste con una papalina viola in testa. Sta servendo sambuca con la mosca a due avventori. Aspettiamo il nostro turno.

"Volete vedere prima le stanze?" Ma anche no. Dove altro andremmo, al paesello fantasma? Prendiamo le carabattole dal cofano e via. Fuori lo spiazzo si sta svuotando delle, poche, auto parcheggiate, odore di olio di freni e particolato, il sole è scivolato giù da qualche cengia, spira un vento gelido, sventola pannelli sbrindellati benauguranti un meraviglioso soggiorno. Tutto sa di precario. E di abbandono.
La nostra stanza però è calda, una buona notizia. C'è pure un balcone, rivolto verso un' area di rimessaggio. Sedie sbilenche e ricariche di birra vuote. Richiudo le tende. Non ci sono scuri.
Rubiamo una panca dal corridoio, ci serve un piano d'appoggio. Così la Ari può fare i compiti. Poi una doccia calda e il silenzio creano il miracolo. Parte una bella ronfatina.

Interrotta troppo presto da un urlo sciammannato: "Fuori di qui, fuori di qui tuttiiiii!". Proviene dalla stanza accanto, qualcuno sta redarguendo qualcun'altro. "Ma possiamo parlare qui profe!", "Fuori ho detto che devo fare la caccaaaaaa!" la risposta della profe. Seguono una fila imprecisata di improperi da una parte, la milady, e dall'altra, gli studenti.
Un poco annichilita tento una spiegazione alla bimba, sai deve essere successo qualcosa di grave, forse sono dei ragazzi disagiati, gli insegnanti si esasperano, ma chissà cosa è capitato, stasera lo scopriremo...

Stasera a cena, i nostri garruli dirimpettai siedono tutti tranquilli. Coi prof pappa e ciccia.
Intuisco che si tratta di una gita scolastica. Oggi, reduci da una ciaspolata, qualcuno dei partecipanti non ha atteso il gruppo...Ecco, forse, la ragione della sclerata pomeridiana. Per tutta cena, comunque le voci di professori e studenti si rincorrono indistinguibili. Le une e le altre martellanti un turpiloquio costante, greve. 
Sembrano tutti incuranti della presenza di Arianna.
E della mia, ça va sans dire.

La cena è ottima, ad onor del vero, e abbondante.
Dopo una breve puntata in soggiorno, un divano dai cuscini di consistenza metallica in mezzo alla sala d'ingresso, camino a pellet, tv con soli tre canali funzionanti e audio gracchiante, decidiamo di ritirarci in camera.
Si pisola qualche ora. Poi, una serrabanda più finita. Porte che sbattono, gente che strepita, bottiglie spaccate, tonfi...Ogni tanto l'urlo della profe: "basta, bastaaaaaa", sembra più per arricchire la coreografia che per altro.
Mi paleso alla porta dei vicini:"Vogliamo dormire" laconica. “Ah sì, lei è la signora, mi scusi, mi scusi". Per qualche tempo la mia epifania sembra aver sortito effetto. Ma poi entra altra gente in stanza e ricomincia la baraonda.

La mattina dopo l'oste si spertica dalle scuse. Sono ragazzi, l'ultimo giorno di gita. Uno dei LICEI PIU' BLASONATI DI MILANO...Eh, ci vuole comprensione...
No, non comprendo. Avevano a disposizione tutto il rifugio, era così difficile mantenere silenzio nelle stanze? Così penso, e taccio. Ho altro di pressante, i disagiati blasonati con espressioni facciali ancora meno pronte di ieri sera se ne stanno andando. Bene. Non avrei retto un'altra ora in loro presenza.
Affittiamo gli scarponi per Ari, chiedo anche gli occhiali: "No quelli li vendiamo, 20 euro". E allora teneteveli. Poi iscrivo Ari alla Scuola sci, 3 ore, e infine compro lo skipass. 9 euro per la bimba. Però me ne addebitano 21. Chiesta la ragione la signorina mi spiega che per accompagnare la bimba al meeting point della scuola devo prendere la seggiovia. Che costa 10 euro a/r. Due euro mi verranno restituiti alla consegna della tessera.

Sono piuttosto contrariata. Ma che senso ha che io debba portare la bimba su se la scuola è qui, davanti al mio naso? Pagando poi più del suo mattiniero? Una pista da fondo, la più tecnica che preferisco, è giusto al lato del Trifoglio...
Hiiii, afferro la manina di mia figlia, alla seggiovia fanno dei numeri prima di farci sedere e schiaffarmi gli sci, i miei lunghi da fondo e quelli corti della ari e tutte le racchette in braccio...
Ho lo zaino per cui solo la parte retrostrante dei glutei aderisce ai sedili...in compenso con le mani bloccate non riesco a tirare la sbarra dei pedali verso di noi...quando ci tenta la ari, le nostre gambe penzolanti nel vuoto, lancio un ululato...Con accorgimenti da contorsionista mi libero una mano e abbasso la sbarra. E l'istinto materno prevale sulle vertigini.

Scendiamo dalla seggiovia mentre fosche nubi si assiepano all'orizzonte, chiediamo del meeting point. Ci segnalano una lontana bandierina rossa, minuscola, da qui. I 5 minuti 5 di percorrenza proclamati alla reception della scuola sono tali solo se indossi gli sci e sei un emulo di Gustav Thoni. Senza, sono almeno 20 minuti. Affondando time to time.

Arriviamo che la selezione l'hanno già belle che fatta, la Ari deve aspettare il primo gruppo che scende e la selezione la farà sciando. Io con la mia tutina da fondista, in questa mattina gelida, sto rischiando seriamente una congestione.
Mollo la Ari al suo destino, ha una faccia che sembra pronta per il processo di Norimberga.
Due ore di sci racchettando come l'indemoniato di Gerasa, mi bastano a malapena a calmare la rabbia e a rimettere in circolo il sangue. Prova ne è che a due giorni di distanza non mi ricordo nulla dell'anello. Se era facile, difficile, lungo, ben segnato. Nulla.

Mezz'ora prima della fine della lezione di Ari, riparo verso una casetta bianca: Centro Fondo. Entro per chiedere informazioni, ma è impossibile. All'ingresso due code. A ds per il bagno, a sin per il bar. Al bar, zaffata di umidi afrori di traspirazione umana, si può stare solo se consumi. Prendo un the, mi stringo a un tavolo, due ragazzini stralunati dividono una sedia, sotto il tavolo un terzo ragazzetto, di nascosto dai baristi, mangia avidamente una banana...
Il clangore degli scarponi sul pavimento è assordante, i materiali fonoassorbenti qui non sono giunti, esco e imbocco una scalinata che prima non avevo notato, dopo un paio di corridoi, sbuco in un locale luminoso, tutto rivestito di legno, una stufa in centro al locale, panchine intorno e qualche persona seduta. 

Eccolo, il Centro Fondo! Mi rincuoro, un buon vecchio centro per fondisti è una sicurezza, sta alla montagna come il bar del paese, la tabaccheria alla fermata della corriera...mi avvicino alla stufa, chiedo informazioni sul comprensorio a un paio di signori âgée. Si approssima un altro vecchietto, sorrido affabile e lui: “Signora, 1 euro.” “Come? Ma..per cosa?” “Per stare qui.” Mi sento come re Carlo tornato dalla guerra, che sfrontato, questo è troppo...Mancano solo 10 minuti all'appuntamento, afferro il mio zaino e me ne vado. Non mi vedono più quelli, rimugino.

Eccomi alla bandierina rossa della scuola, che poi è uno stendardo alto minimo 3 metri. Indosso un pile e una tuta in cotone. Che mi svolazza sugli stinchi. Nudi: ho i calzini da trekking corti. Srotolo un vecchio Kway. Ancora 8 minuti. Da qualche tempo nevica. A raffiche. 5 minuti e ho le mani completamente intirizzite, la faccia invece non la sento proprio. 
La Ari è l'ultima ad arrivare. E piange.
Curve sotto il vento, ci incamminiamo verso il dado grigio della seggiovia. “Casa, voglio tornare a casa...” pigola. E' stato tutto orrendo, pare. Le si sono gelate le mani, lei era la più lenta, gli altri bambini la prendevano in giro, poi senza occhiali non vedeva niente, la maestra non le lasciava nemmeno soffiare il naso...”La mamma ha una sorpresa per te”, interrompo la litania, “chiudi gli occhi!”. Ma già, non vede un accidente povera, pieni di lacrimoni come sono. Apro la bustina di zucchero che ho preso al bar, gliela verso in bocca, ma un po' le dita rattrappite dal freddo un po' il vento se ne disperde la maggior parte... qualche cristallo si cementa con il muco del nasetto...lei allunga la lingua, risucchia e... mi guarda disgustata.

Il cotone si è indurito e i miei calzoni forgiati dal vento hanno assunto una forma alla zuava, quando raggiungiamo la seggiovia sembriamo profughe dall'assedio di Stalingrado. Tanto che impietosiamo gli operatori, notori aguzzini, che stavolta caricano me e la ragazza su un sedile, gli sci sul seguente, e mi tirano pure giù la sbarra, prima che il trabiccolo s'involi verso l'abisso.

Caldo e cibo e coccole, le tre C del Mantegazza, ecco quello di cui abbiamo urgente bisogno, io e la Ari. Caracolliamo verso la porta del Trifoglio, faccio per varcarla e...qui scatta il momento più delirante di tutto il delirante we. Mi scontro naso a naso con un tipo abbronzato, atletico, sorridente, in immacolato maglione bianco... il mio moroso di Milano di quando avevo 20 anni! Lui:“Noo, di, ma sei davvero tu?”...”Ma...ma cosa ti è successo?”

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