Autunno

Autunno
E' un tramonto italiano ma a me ricorda Ddorf.

3 giugno 2013

Battesimo all'italiana. Stile classico.

La mitica 500, e i bimbi non ne uscivano più.

Tutti coi vestiti belli. 
Che per le donne vuole dire soprattutto attuali. E se l'attualità reclama scollature abissali, trasparenze da lingerie e spacchi altissimi, fa uguale. Che ormai in Chiesa ci entra anche lady Gaga. Per gli uomini giacca e cravatta o maglioncino e camicia inamidata. Capelli irrigiditi dalla piega, bambini in tenute paralizzanti. Le bambine si muovono nelle scarpette rigide come le cinesine sugli zoccoli. Quelle con i piedi fasciati.
Tanto non si cammina. In Chiesa si arriva in macchina. E in Chiesa si sta. 1 ora e 48 minuti. Contato bene. 
Il prete ce l'ha con la massa dei credenti eventuali, legati cioè ad un evento meramente celebrativo. Quindi ce l'ha con noi, o una buona parte di noi, deduco. Deduco correttamente. La sua vendetta si palesa messa facendo: farci soffrire per meritarci una qualche forma di grazia. Gli strumenti a sua disposizione: il buio, il freddo, gli inni cantati come ragli, la bruttezza vistosa delle assistenti, dei chierichetti e, soprattutto, prolungare la liturgia oltre ogni limite, ogni fase della liturgia. Il singolo rito viene evidenziato e raccontato, come in un post su Facebook. "Ecco adesso è il momento dell'ektenia, che vuole dire apertura, delle orecchie e della bocca...". "Slacciate bene le vestine che l'olio va dato sul torso e non sul gozzo, come fanno certi per non sporcare i preziosi corredini...". 
Poi, come alabarda spaziale si abbatte su di noi la tortura delle torture: la predica. Infinita e truce. Predica sul Corpus Domini, quindi morte e sacrificio e dolore ed espiazione (se ne batte il belino dei due neonati, della vita in rigoglio e di cose leggiadre e piene di speranza...) 
Il corpo è sofferenza. Che a fermarsi alle sete e ai lustrini del gregge accorso non sembra, ma a scrutare bene i visi...i tacchi stritolano i piedi, le cravatte serrano i colli, le cinture asfissiano, la navata è gelida, i bambini piangono e reclamano un pascolo per scorrazzare, le mamme negano poi cedono.
I padri cedono se sono le mamme ad accompagnarli, se no negano.

Ogni volta che c'è una accelerata di ritmo, o una parvenza di, il carnefice officiante se ne incorre e rampogna. " Scambiatevi TUTTI un segno di pace, mica solo i soliti noti. Sporgetevi, sporgetevi pure ai banchi retrostanti, che è dal gesto che si vede il buon cristiano..."
La messa finisce, nessuno osa lasciare il proprio banco. Siamo più che rassegnati, asserviti. E' lui, infatti, che autorizza a riaprire il portone della navata centrale. Bontà sua. E' un aguzzino, ma ha carisma. 
Finalmente fuori, finalmente aria, finalmente sole. 
Prossima meta, l'aperitivo a casa dei genitori. L'abitazione è a 300 metri dal piazzale della Chiesa, ma non si compromettono le toilettes delle signore prima dell'entrée al ristorante...
Quindi tutti in macchina, nel caos di richiami e sgommate rischiano la vita un vecchio zio e un paio di pargoli. A casa degli invitanti si stappa il primo prosecchino e si beve il terzo caffè della giornata. Per tonicizzare i bimbetti niente di meglio della Coca Cola original; poi scalciano come i cavalli del Palio.
Fine della sgranchita, si rimonta in macchina, le signore hanno provveduto a rinnovare trucco, cambiare calze smagliate, aggiustarsi le chiome. Gli uomini a sganciare il primo buco della cintura.


...E siamo solo ai primi.
Al ristorante, lotta per il parcheggio più prossimo all'ingresso, foto all'ingresso, insieme a una decina di gruppi ugualmente allestiti quivi convenuti per festeggiare matrimoni, battesimi, cresime et similia. 
Camminare come i trampolieri, anche se per pochi metri, affatica quel che serve a stimolare un certo languorino. Un bicchiere di bianco, dalla bottiglia immersa nel ghiaccio, e via con gli antipasti. I primi tre si ricordano bene, che sono quelli che spengono la fame. Gli altri ti fioccano nel piatto come le granate in trincea. Basta che ti distrai un attimo e fiong!, ecco l'orzotto coi gamberetti, vai in bagno, torni e sul tuo piatto si è creato un ecomondo, i commensali - gli altri- ti guardano beffardi. Tra loro c'è chi sapeva, chi qui c'era già stato, chi ha cronometrato il round del cameriere per calcolare esattamente la gittata e rifiutare al momento opportuno, allontanando il target, il piatto cioè...
Al nono antipasto concedo un quarto d'ora d'aria alla Ari, è spenta come la Carfagna dopo l'insediamento del governo Monti. Nei portici, comode poltrone in vimini ospitano i caracollanti convenuti, solo qualche ragazzotta ben in carne si ostina a fotografare e farsi fotografare negli angoli idilliaci dell'agriturismo. Che è idilliaco. Ulivi, viti e bianco, bianco dappertutto. Bianchi i fiori, le tovaglie, i cuscini, le candele e le lanterne, appese agli ulivi e ai vasi di agrumi con nastri di raso. Bianchi.
Non so perché tutto 'sto candore mi irrita. L'erba rasa, coi filetti che sembrano piantati uno ad uno, sui quali spuntano le famigliole con gli abiti lustri, le macchine lustre, i bambini, immobili per non sporcarsi, incastonati sulle poltrone a guardare gli ipad...
Penso, per un attimo a un corrispettivo tedesco. Uhm..il decor sarebbe più ricco, con un taglio kitsch, quasi certamente. Il bianco puro, no, non l'avrebbero retto. Minimo una spruzzata di grigio argento e verde salvia. Ad essere sobri. Una statuetta di qualche animale agreste, qua e là, per bene che vada almeno una mucca, in scala 1/1 e uno stormo di papere. Due oche. Gli immancabili vecchietti, in coppia, sulle panchine. 
Però nel giardino senz'altro sarebbero sorte le sandkasten. E magari un paio di tappeti elastici. Altalene e corde per arrampicare, presenze certe da loro come gli aumenti delle tasse a settembre da noi. Probabile una teleferica. Nel porticato poi, gabbie di conigli in visione, e pure le scuderie coi mansueti equini dentro. I bambini si sarebbero svagati,di più e meglio. Gli adulti però avrebbero mangiato e bevuto peggio. 


Stanca solo a leggerlo, il menù.
Sì, che nella fattoria del Bianconiglio si mangia meravigliosamente bene. Troppo. Ma bene.
Il cameriere ci richiama al tavolo, con lo stesso tono perentorio del prete di stamane e una cofana fumante in mano. Lasciamo malvolentieri i cuscinotti sui quali giacevamo come dugonghi spiaggiati. Risotto al prosecco - peccato la panna, tagliolini ai funghi, notevoli, ravioli alla bresciana, che sarà mai il distinguo con quelli d'altrove. Dopo i primi, riposino lungo. Il pomeriggio si accorcia, le luci s'indorano, osiamo un vai e torna alla macchina. Ma il cameriere richiama, l'alzata dai cuscini stavolta è da veri duri, come da un campo di battaglia dopo la sconfitta, i sopravvissuti si guardano e si contano tra i lamenti e le urla soffocate dei caduti addormentati.
Polenta, patate al forno e arrosto agli agrumi e rosmarino. Salto il turno, mi sto impratichendo, per dedicarmi alla tagliata. Perfetta come raramente. Segue il riposone, è quasi l'imbrunire e al nostro rientro in sala, parmigiano e noci. Finalmente, librandosi come l'angelo liberatore, arriva il carrello del dessert. Caffè. Sambuca. Ammazzacaffè. E' finita, questa sporca guerra è proprio finita. Lasciamo il tavolo, con la stessa repulsione affettuosa del soldato che saluta la branda della caserma dove ha passato la naia. Ci stiracchiamo. Il giorno è stato risucchiato. Ci accoglie una sera fresca di poche lucciole. Resta giusto il tempo di rientrare in autostrada, beccare le ultime code dai laghi, preparare la cartella alla bimba e via, a nanna. 
Ah, benvenuto tra noi,Tommaso.





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