Autunno

Autunno
E' un tramonto italiano ma a me ricorda Ddorf.

28 giugno 2012

Le cose dei tedeschi che non capisco...

Continua una fortunata serie di post dedicati alle idiosincrasie, schizofrenie, assurdità varie del mondo tedesco. "Assurdità, schizofrenie, idiosincrasie" dal "nostro" punto di vista. Personale e parziale come tutti i punti di vista. Sia ben chiaro...
Ciò premesso, lo spunto è offerto da una mail di un'amica, italiana che abita in Germania, ad un'altra amica e riguarda il regalo di fine anno:

Ciao,

ci son delle volte che non capisco proprio certi genitori.
Si voleva fare il regalo di fine anno per le tre insegnanti, che hanno organizzato GRATIS anche il pernottamento della scorsa settimana.
Una mamma ha proposto 20 Euro per famiglia.
E´ successo di tutto di piu`: tutti naturalmente sconvolti per la cifra elevata.
L´asilo non chiude mai ed e´ eccellente. Paghiamo 72 Euro al mese per il cibo e basta.
E´ venuto fuori di tutto: chi vuole dare tre euro a bambino ed un fiore per uno.
Chi un buono gelato nella gelateria di zona.
Chi un balletto …da fare noi genitori????!!! La piu´ eclettica del gruppo. Che in italiano si dice SCHLERATA!

MA CHE FILM E´ QUESTO???

Ecco queste sono le cose dei tedeschi che io non capisco…

E c´e´ pure chi scrive…non dobbiamo MONETIZZARE il loro lavoro, occorre ringraziarle a voce…fantastico!
Mi chiedo se al posto di essere pagati, loro alternativi di Flingern, si accontessero di un balletto di fine anno da parte del datore di lavoro!

SURREALE o no???

A.

Surreale, davvero.

23 giugno 2012

Piccole cose che amo di lei.

In questi giorni mi prendo delle ore mie, passeggio, vado in montagna. Il tempo è bello, tempo di piena estate. E poi sono mogia, mogia assai e muovermi mi aiuta a caricarmi un po'. Girellando incontro cose inaspettate, non ci si crede che ancora oggi, ancora qui...

Tipo, alla "grotta di Lourdes" locale...


fa bella mostra di sè questo cartello:



E giusto ieri, in un paesello microscopico della val Brembana, dove mi sono fermata a bere al lavatoio:



Rende chiaro che qualcuno ancora lo usa, il lavatoio, nella sua precipua funzione... nel 2012!

Eppure sono piccoli dettagli che mi riempiono di tenera sorpresa e che me la fanno amare ancora questa nostra Italia.

La strada che non presi.

Me l'ha mandata un'amica, per ilcompleanno. Folgorante:

LA STRADA CHE NON PRESI
di Robert Frost

Due strade divergevano in un bosco giallo
e mi dispiaceva non poterle percorrere entrambe
ed essendo un solo viaggiatore, rimasi a lungo
a guardarne una fino a che potei.

Poi presi l’altra, perché era altrettanto bella,
e aveva forse l’ aspetto migliore,
perché era erbosa e meno consumata,
sebbene il passaggio le avesse rese quasi simili.
Ed entrambe quella mattina erano lì uguali,
con foglie che nessun passo aveva annerito.

Oh, misi da parte la prima per un altro giorno!
Pur sapendo come una strada porti ad un’altra,
dubitavo se mai sarei tornato indietro.

Lo racconterò con un sospiro
da qualche parte tra anni e anni:
due strade divergevano in un bosco, e io -
io presi la meno percorsa,
e quello ha fatto tutta la differenza.

20 giugno 2012

Fra poco è il mio compleanno.

Tra poco compio 47 anni. E questa è la mia mano:



17 giugno 2012

Lo Studio Milano

Ecco, invece, la mia prima esperienza da un parrucchiere a Ddorf. Il racconto risale a circa 4 anni fa. "Benderstr, Dusseldorf. Cerco un parrucchiere, domani ho un impegno mondano e la messa in piega s'impone. Cerco, cerco...eppure, l'avevo vista l'insegna tentatrice...eccola: "Lo Studio Milano". Una bella gnocca con capelli alla Renato Zero, sguardo assassino, meches violette, lancia un'occhiata di sfida dal poster affisso sulla vetrina del negozio. Gli anni '80 devono aver contribuito in modo determinante alla storia del costume di questo Paese visto che ancora oggi non c'è parrucchiere che non si fregi di poster di quegli anni...meglio, di poster dal look di quegli anni...
Entro e, in italiano, chiedo del titolare. Mi risponde, in tedesco, una signorina con due bicipidi da portapinte da festa bavarese, che il signor Carrucchio - Studio Milano eh?!- non c'è e fa lei.
Va bene, mi assetto per il lavaggio e provo l'ebrezza di un semiscorticamento che la signorina è dotata di forza belluina, coi suoi ditoni tormenta i miei bulbi piliferi, capelliferi, insomma quei cosi periformi che si innestano nella cute e che si vedono nelle demo delle pubblicità degli shampoo.

Passiamo alla messa in piega, l'aguzzina mi chiede se quello che voglio è volume; io, sventurata risposi "ya" e quindi via con delle spazzolone modello rotativa a ripassarmi il crine. Poi il phon bollente a contatto lobo auricolare, che devo gesticolare ogni volta per allontanarlo...Via e vai, vai e via, ciocca dopo ciocca dopo un tempo indefinito arriva lo spruzzo liberatore della lacca (lacca?), quelle classiche anni '60 con il flacone dorato e un ricciolo stilizzato serigrafato sopra.

Ho paura a guardarmi allo specchio, e quando lo faccio quello che vedo è devastante. L'unico modello rappresentativo che viene alla mente è Napo Orso Capo. O Marcella Bella che canta "aria" .
Peccato che io, nature, abbia i capelli lisci,appena ondulati e tutto questo ricciolame conferisce un'aria posticcia e pasticcia. Chiedo quanto devo, la kapo mantiene un certo riserbo, chissà se intuisce che non mi vedrà mai più entrare nello Studio Milano...40€ e un buono sconto per trattamenti nutrienti.

A casa la prima cosa che faccio è lavarmi la testa e scollarmi la pellicola di lacca. Poi scendo da Rossmann e mi compro un ferro per capelli, di quelli che arricciano e lisciano a seconda della piastra che innesti, a 19.90€".

16 giugno 2012

Questione di spazzole.

In tempi di crisi si fa anche così. La piega a 8 euro dal cinese. Il taglio invece dal professionista, che ti regge per almeno 2 mesi. Il mio si chiama Roberto ed è bravissimo. Non solo perchè è bravo nel suo. E' un professionista nell'entraitaiment. Le due foto acclarano.


La prima è la sua sala d'attesa. Candide e comode poltroncine,  piante grasse, riviste patinate - niente Novella 2000, ma Dove e Ad- caffè dal bar...vista sui tetti del centro, in esterno e, in interno sulle belle clienti, dal cicaleccio contenuto, e le signorine che volteggiano sorridenti....
Anche Roberto sorride, amabile, corretto, contenuto.



La seconda foto mostra un dettaglio. Le spazzole, rigorosamente in legno. Frassino, teck...con l'anima scanalata o liscia. Le solite spazzole dai soliti parrucchieri sono in materiale metalico o in lega plastica. Roberto mi spiega che il primo, il metallo, scalda troppo il capello e toglie corpo e volume. La seconda, la plastica, aumenta l'elettrostaticità e compromette la pettinabilità.
Si è provata la ceramica che si è rivelata troppo fragile per un'acconcia durata. Solo il legno è perfetto.

Ecco, questo lo chiamo un dettaglio di classe.

Pechino acconciature.

L'ho scoperto così, questo nuovo fenomeno dei parrucchieri cinesi. Mia mamma ci lascia, è mattina; usciamo dall'ospedale per andare alla "sala del commiato" più vicina, anche in questo caso una cosa che non conoscevo...vabbeh,  postea. Squilla il cellulare, comincia il carosello delle condoglianze, realizzo che tra poco la gente comincerà a venire di persona per l'estremo saluto. Io sono in camicia e jeans, gli stessi da 24 ore; so di sudore, stanchezza e umori malati.

Così vado a casa, per farmi una doccia. Durante il tragitto ospedale-parcheggio passo accanto ad un'insegna stravagante "Pechino acconciature". Pechino scritto in rosso a caratteri orientaleggianti, tipo alle favole dal mondo la storia di Alì babà. Acconciature invece è in graziato nero, con riccioli ai pendici delle "a". Entro, operazione resa facile dall'apertura a garage spalancato sulla strada. Tre ragazzi stanno lavando la testa ad altrettante signore. Chiedo se è possibile una messa in piega, certo!, quando? Non finisco la domanda che mi invitano a sedermi, un quarto operatore è magicamente comparso con vasca mobile e sgabello...Così: un cliente entra un cinese entra.

L'odore dello sciampoo alla big babble nauseante, tocco energico dello sciampista...avrei qualcosa da obiettare quando parte un massaggio divino. Cranio, spalle e ancora cranio. Quanto ne ho bisogno. Finito un ciclo l'energumeno plays it again, sento di amarlo.

Il momento magico finisce, passo all'esperto per la piega. Tatuaggio e maglietta punk, l'esperto manovra il phon come un trapano. Piega ai limiti della denuncia, ma il massaggio testè ricevuto mi fa volare oltre.

In sintesi.Dieci minuti di massaggio, dieci dipiega, otto euro (con ricevuta), tempo d'attesa 0 secondi. Poi ci si chiede perchè hanno tanto successo.

6 giugno 2012

Grazie, mamma.

Niente di aulico, di agiografico, di memorabile...ma era tutto quello che ho sentito di dire al suo funerale.

" Grazie mamma di non essere stata la "solita" mamma, che si pensava più a te guardando a un poster di Tina Turner che alla donnina del brodo Star.

Grazie mamma di aver lasciato che casa nostra si riempisse di gente, animali e cose...Forse troppe cose.

Grazie mamma che non mi hai mai fatto togliere una gonna troppo corta o una  maglia troppo scollata. E se lo hai fatto era solo perché erano le tue.

Grazie mamma per aver amato, e per avermi fatto amare, le rose, il mare, il corpo, le barzellette. Anche quelle sporche, se ben raccontate. Soprattutto quelle sporche.

Grazie mamma perché sei l'unica persona che potevo mandare a quel paese sicura che non te la saresti mai presa.

Grazie mamma per avermi dato pochi, ma solidi, consigli e tanti, tanti gesti di presenza. 

Grazie mamma per aver sempre affermato, fino agli ultimi giorni, che io e le mie sorelle eravamo i tuoi CA-PO-LA-VO-RI...E gli occhi ti brillavano. 

Grazie mamma perché mi hai dato la vita. Mi hai insegnato la morte. "

1 giugno 2012

Non c'è più

L'avevo notato proprio il primo giorno, di su e giù tra casa e l'ospedale. Un batuffolo ispido e nero sul selciato della superstrada: un piccolo riccio. Speravo fosse vivo, il primo giorno. Al secondo, non volevo quasi, ma poi  lo sguardo l'ha ritrovato, quasi casualmente. Ancora lì. Sul selciato, forse solo un po' più piccolo. Come la mia mamma, sempre più rattrappita in quel lettone d'ospedale, zeppo di cuscini. Ogni giorno, ogni viaggio su e giù per l'ospedale, il piccolo riccio si riduceva a una macchia piccina e ispida, e la mia mamma a una cosina bigia persa tra i guanciali.... E stamattina, l'ultimo viaggio su e giù per l'ospedale, non volevo quasi, poi lo sguardo l'ha ricercato, e...niente. Anche lui, come lei, non c'era più.

28 maggio 2012

I sette anni più lunghi della mia vita.

C'è stato un tempo in cui non mi accorgevo del tempo che passava. Tipo quando arrivai a Milano, per un colloquio (ai tempi in cui dopo ti assumevano, senza stage non retribuiti...). Messo il piede in metropolitana ho pensato con chiarezza: "In questa città non ci sto due mesi". Ne passarono 14 e non me ne accorsi quasi. Anche l'iscrizione all'Università; dopo il 3° esame avevo deciso di rimandare un annetto, poi rimandavo rimandavo, e a un certo punto arrivò un documento in cui mi si avvertiva che gli esami sostenuti non sarebbero più stati conteggiati ai fini dell'ottenimento della laurea...Ricordo che rimasi scioccata, ma come, l'ultimo l'ho dato poco tempo fa...
Vabbeh, due esempi come tanti. Adesso mi è capitata la foto di Ari, da un file semi dimenticato di cinque anni fa. Mi sembra tutto cambiato così tanto da allora! Stento a riconoscerla. E a riconoscermi. 

27 maggio 2012

Tragicommedia.


La vita ha, sempre, dei lati comici anche nelle situazioni più tragiche. Come ieri. Parcheggio la macchina, imbocco l'ingresso principale dell'ospedale. Ci si accede da una passerella stile lungomare della Barceloneta e c'è un grande “1” davanti. Poi si gira a sinistra, si salgono le scale, ci si imbuca in una saletta, si varca un ingresso rigorosamente vietato ai visitatori, e si è arrivati. Dei vari accessi all'unità coronarica, UCC per gli intimi, non ce ne è uno che non preveda almeno un ingresso severamente vietato con cartelli minatori. Che sia per blandire il senso di trasgressione italico? Mah. Queste cose qualche mese fa, fresca di Germania, mi mettevano di malumore. Oggi mi adatto e lascio perdere.


Dal corridoio d'attesa, con sedie scomode e tavolini inutili e una pianta a crescita stentata, una cultivar ad hoc per edifici di pubblici, si entra nello spogliatoio. Qui ci si dota di copriscarpe in plastica azzurrina. Non c'è una panca, una sedia. La ginnica operazione deve essere compiuta in posizione “stante”, in piedi. Che ancora per me, per ora non è un soverchio problema. Non era. Ieri oplà! compio l'acrobazia e argh! Il ginocchio destro batte contro lo stipite della porta. Che è smussato dappertutto tranne lì, nei 10 cm dove ha battuto.


Soffoco un guaito e procedo claudicante verso lo stand dove è ricoverata mia mamma....spero nella presenza del lettino ospiti, ma figurati...neanche le 7 e un nugolo di infermiere superefficienti ha già provveduto a sgombrare la stanzetta e a sostituirlo con una sedia in formica azzurrina. La versione Large delle sedie scolastiche. Dei tempi scolastici miei, d'accordo. Mi accascio sulla sedia, mia madre, meglio l'occhio di mia madre -il resto è coperto da mascherine e tubi e fasciature- mi scruta con curiosità: ”...utto ene?”, sembra che dica la sua voce nel tubo. Io rispondo e sono Fantozzi, voce strozzata e sorriso tirato: “Tutto (ansimo) benissimo...”.

Invece va malissimo, il ginocchio duole, ho un senso di mancamento, quanto è scomoda 'sta seggiola, se non fosse che non mi sembra luogo acconcio urlerei per richiamare una operosa infermiera, ma sono tutte in ben altre faccende intorno a ben altri pazienti affacendate...L'occhio di mia madre si è richiuso e io mi ricavo uno spazietto accanto al suo cuscino. Appoggio la testa. Solo un secondino, mi dico. Le chiappe sulla sedia, la testa sul cuscino, il corpo ad arco, nel vuoto tra i due. Così mi trova l'infermiera, un tempo imprecisato dopo. Addormentata accanto a mia madre, meglio l'occhio di mia madre che mi scruta...

Da 32 anni


"Ah bene, siete già aperti, che fortuna!” “Una fortuna che si ripete da 32 anni. Il bar apre sempre alle 5.20”. Mi rispone la barista. E non fa un plissè.

Sono le 5.40, sto per rientrare a casa, ho voglia di un cappuccio, ma intorno a me, da un lato e dall'altro della strada, solo serrande chiuse e qualche passante infreddolito in questo maggio pazzo. Pazzo...Pazzo come quasi tutti i maggio della mia vita. L'unica differenza con quasi tutti i novembre della mia vita, a maggio è la vegetazione verdeggiante e la durata delle giornate. Ma poi...freddo e pioggia, pioggia e freddo e mia madre che si lamenta che deve “tirar fuori” i piumoni dell'inverno messi via con il cambio di stagione. Mia madre. Già. E' per lei che sono qui. A quest'ora, per strada. Torno dall'ospedale dove è ricoverata da ieri. E scopro, in questo modo, che la caffetteria dell'angolo è già aperta, a quest'ora. Da 32 anni.

I due coniugi che la conducono sembrano capitani di un transatlantico. Si muovono sincronici, sicuri, pigiano tasti, azionano manopole. Lui piega meticolosamente i giornali prendendoli da una pila infinita. Uno per uno come fossero camice da stirare. Terminata una serie di cinque, la appoggia in bella mostra su uno scaffale che, s'intuisce, pensato appositamente per lo scopo. Non so quanti compratori, sospettino la cura cui è stato sottoposto il loro plico. Lei è ai comandi in plancia, dietro il bancone, aziona la macchina del caffè, sbuffo di vapore, inserimento del bricco, colmatura a livello, versa il latte nella tazza fino a un dato punto e ad una certa angolazione, poi un gesto rapido del polso solleva il coperchio del bricco tac! e candida schiuma riempie la tazza fino a sbordare...guardo incantata ogni fase della procedura.


E' un giorno strano, mi sembra che il tempo non passi mai. Accanto a me altri avventori, silenziosi afferrano il giornale, che “lui” allunga; si dispiegano al bancone, “lei” dispone le ordinazioni, sempre le stesse, immagino. Non sento richieste verbali. Forse chissà, per qualcuno è esattamente così ogni mattina, da 32 anni. Guardo l'orologio. Sono le 5.43. Rientro dall'ospedale dove mia mamma è ricoverata. Infarto. E il tempo pare bloccato.

15 maggio 2012

Si vede che sei tedesca...

La situazione descritta in una manciata di post precedenti si reitera. Sabato mattina, gita nei boschi rivolta ai bimbi delle elementari e ai genitori. Mi presento con calzoncini al ginocchio, maglietta e felpa bianche. Scarpe da trek leggere. Bastoncini, berretto in cotone "caki" -come diamine si scrive!?-
C'è un'amica di mia sorella: " ciao...ma come sei vestita, si vede proprio che quattro anni di Germania..." Io abbozzo, sorrido però ancora oggi penso a che indossassi di non acconcio alla bisogna, o di così esotico (niente sandali o calzotti bianchi, niente strati di creme total blok sul naso, niente camicia a quadrettoni svolazzante, cintura girovita...)

Il giorno prima. Una compagnetta di ari vuole venire a casa nostra, volentieri la invitiamo con la mamma e sorella treenne appresso. Appena messo il piede in casa, la mamma: "Ah questo odore, proprio come quello del pensionato a Bremen, le spezie tedesche!..." Anche in questo caso sorrido, abbozzo...poi faccio un sopralluogo in casa che la notizia mi incuriosisce. Scovo un piattino sulla madia con i rimasugli accartocciati dei pot-pourri natalizi; quattro fette di limone e arance rinsecchite, due chiodi di garofano impolverati...annunso. Niente. Mah.
Colpo di genio! Dietro la porta d'ingresso c'è un deodorante per ambienti in flacone, di quelli con i rametti morbidi, mi avvicino e leggo: "Fior di Toscana" Villoresi, Firenze. Mah!

11 maggio 2012

Così fa(cea)n tutte.

L'altro giorno al maneggio - Ari, complice il nonno, ha coronato il suo antico sogno di andare a cavallo. Gruppetto di mamme in attesa dei puzzolenti bambini, tra polvere della sabbia e le mosche. Parla la nonna: "eh...sa perché noi nonne siamo così presenti coi nipoti? Per compensare quello che non abbiamo fatto coi figli..." Eccola qui, E' da quel mo' che ne avevo il sospetto. Mai a memoria d'uomo le mamme, e i papà, si sono dedicati, prodigati, prosciugati per i loro bambini come in questa era moderna dissennata e senza valori.

Affermazione peregrina? Prove, ci sono le prove! La signora prosegue raccontando che la "sua"prima era nata che "c'era la stagione dei mercati" per cui doveva lavorare, il secondo "peggio che ci eravamo trasferiti e quindi è stato sempre con mia mamma e lo vedevo la sera prima di andare a letto"...Il terzo voleva sempre stare con mia sorella che avevamo i bambini della stessa età. La quarta è l'unica che mi sono goduta un po'...Onore al merito che quattro gravidanze e parti son quattro...La situazione non è affatto nuova. Una volta, almeno fino agli anni '70, a mio sindacabile parere valeva una e una sola regola: chiunque poteva lavorare, lavorava. Chi si occupava dei bambini? E come? Anziane, ragazze appena adolescenti, tate, istitutrici (per chi se lo poteva permettere, ma erano relativamente a buon mercato rispetto ad oggi). I collegi, i seminari, le colonie erano altre soluzioni, più praticate di adesso. Mio padre ci entrò, in un seminario, a 8 anni e tornava a casa giusto a Natale. Nessuno per questo ha mai  ritenuto i miei nonni, tutt'altro che indigenti, casi da servizi sociali.

Di bimbi lasciati in fasce a sorelle, cognate, nonne son piene le storie di famiglia. Occorre chiedere però, che non erano considerati "casi rilevanti"; nulla di eccezionale insomma. Ancora, nella mia infanzia ricordo 4 bimbi morti prematuramente. Uno, Gianbattista, cadde in una roggia. Annegato. Anche Marisa e la sorellina, due volti sorridenti e sfuocati nell'immaginetta in bianco e nero che ci donarono a scuola,  morirono annegate. A Jesolo. Presero il materassino e via...non sapevano nuotare e le correnti le portarono dove "non si toccava". Per chi è stato a Jesolo...ne devi fare di chilometri per trovare l'acqua che ti arrivi all'ombelico, figurati per giungere dove non si tocca ...
L'ultimo morì di leucemia. Era il figlio del macellaio del paese. Ancora oggi quando entro in una macelleria penso al bambino morto. ..

A parte il quarto le altre disgrazie erano, forse, evitabili con un pochino di supervisione in più...Però le mamme degli anni '60 e '70 non era mica facile schiodarle dall'ombrellone o dall'asse da stiro o dalla panchina del parco giochi... Noi ci si  muoveva da soli o in gruppo per andare a scuola, per giocare, per raggiungere l'oratorio.

Non c'erano cellulari e solo se non eri a casa per il pranzo o la cena, ecco. A quel punto partiva l'allarme collettivo. Leggere Giamburrasca è edificante. Il ragazzetto, neppure decenne, si muove nel territorio come un pesce nell'oceano. Va a pescare quando gli pare, gira il paese, compra da solo polvere da sparo...e ne combina di cotte e di crude. Nessun bambino oggi potrebbe permettersi tanto e se le facesse la famiglia sarebbe sotto osservazione stretta.
Gianburrasca viveva con un nugolo di sorelle disoccupate, madre, tata e cuoca a casa. Tutti in famiglia erano impegnati a tessere reti per far sposare in modo acconcio le ragazze. Vedi un po' tu che grandaffare per non curarsi degli spostamenti di un ragazzino.

Gianburrasca non vale, è un personaggio di fantasia? Provate a leggere gli episodi dell'adolescenza di Camilleri. Perse la vista in una sassaiola alle elementari; appena quindicenne si compromise con un mafioso locale perdendo i soldi a pocker. E le mamme, le nonne? Le mamme frignavano, si disperavano e facevano la loro vita. Mica come oggi, che ci facciamo un c...così!

 

6 maggio 2012

Pulizie di Primavera.

Eccheè sto mortorio? Via via, vai con nuovi post, nuova immagine. Intanto nuova foto, va là! il resto segue. Ma che dico scellerata! Le foto papabili giacciono in una bara d'acciao, un hard disk accessorio per i back up. Che il Pc ci ha lasciato. Pare. Ancora non ho consentito all'estrema unzione. Niente virus...Era vecchio, mi hanno detto, 4 anni. L'età classica del "coccolone", per i computer...Sarà. a me sembrava fosse ieri il nostro primo incontro, neppure gli avevo tolto la pellicolina intorno allo schermo. Pure le etichettine metallizzate, gli avevo lasciato (quelle con i loghi acer e gli arcobaleni glitterati...)... Facevano tanto mostrine da divisa ufficiale.
Nel frattempo mi sono dotata di un mini,micro,compact pc. con tastiera però che di touchscreen ne ho (già) oltremodo pieni i cabasisi...era a un buon prezzo e il perché mi è stato chiaro subito dopo la configurazione...Bile. E' di color bile...Mai visto un apparato tecnologico sfoggiare cotal livrea. Fortuna, qua in campagna, si mimetizza. Il suo nome è: "ramarro". Ramarro Bond.

4 aprile 2012

La cucina di Petronilla. Intensamente pollo.

Questa è una ricetta da guerra di resistenza, anzi da "assedio di Leningrado" (lo stadio più estremo, ça va sans dire, spetta alle ricette "da lager"...). L'hanno ispirata Spilla e Matisse, i due gatti che allietano con la loro presenza felina le nostre ore domestiche. I due non amano le scatolette. 


Al supermercato più vicino, settore macelleria, chiedo se mi concedono un vassoio di resti da affettatrice...Il tipo in camice bianco dal bancone mi lancia uno sguardo complice: "Non si potrebbe, ma glielo preparo" "Guardi che è per i gatti...", "Sì, ma non possiamo..." Vebbeh, invece me lo prepara. Pollo e tacchino, si vede che hanno più avanzi. Un chilo di roba per 3€.


A casa, scopro il cellophane e sulla sommità del mucchio occhieggiano due belle bistecche. Non riesco a provare riconoscenza, penso solo che la prossima volta rinuncerò al look benzinaia del Minnesota, che se devo muovere a pietà l'addetto del reparto macelleria (poi a me il pollo non piace, sento i cascami di pesce con cui li nutrono). 


Rimuovo le bistecche e mi metto lì a tagliuzzare in pezzi piccoli e poi a congelare, sacchettin per sacchettino...Ci sono delle parti durissime da spezzettare. E qui si entra nel clou della "ricicletta". Allora mettere sul fuoco un bel pentolone capiente di acqua, impreziosita da zucchine, carote, patata se vi piace, sedano e erbe a piacere. Ogni volta che c'è un pezzo legnoso via, lo si butta in brodo...Lasciare cuocere ad libitum, anche un due o tre ore. Schiumare.


Ed ecco bello bello un brodino leggero di pollo, perfetto per i risotti primaverili o a base di pesce. Si congelano a loro volta le dosi in esubero. Si cola bene la verdura e i pezzi di pollo...e si danno ai gatti, come alternativa alla carne cruda. 


...L'avevo detto che era una ricetta di guerra! 


    

Primavera è nell'aria e per li campi esulta. Beata lei.

Primavera a Ddorf (foto di E) :




Primavera a Badia di Susiniana, Firenze (foto di L.)

Side by side.

Ho la macchina con targa tedesca. Sono in Italia da quel mo'. Ora di re-immatricolarla. Ieri prendo tutto il mio coraggio e mi reco alla motorizzazione civile. Non frequento molto questi luoghi. Ma il ricordo della motorizzazione di Ddorf è ancora fresco. E il contrasto è scioccante.

Là un silenzio da clinica. Alberelli fuori, piegati dal vento, dentro un atrio bianco luminoso ospita il  box informazioni, circolare. Oltre all'informazione ti forniscono un numero, per l'attesa. A sinistra, nell'atrio, il caffè panificio... Ogni tanto un rumore straziante interrompe il soffice clock del cambio di numero del tabellone: proviene dal trituratarghe, un macchinario da film di fantascienza. Nel settore per pubblico ogni sportello ha la sua bella scrivania e le sedie davanti per i cittadini, come in banca per i servizi finanziari, nell'attesa che il burocrate esplichi le sue pratiche. Tutto questo, gli alberelli, l'ufficio informazioni, il caffè, il tabellone informativo,le seggioline,"là".  

Qua: camion occupano tutti i parcheggi dell'area, parcheggio fuori, l'asfalto del piazzale antistante è pieno di buche, un nugolo di bruti occupa la scalinata d'ingresso, vociando in idiomi sconosciuti, la porta d'ingresso non ha la maniglia...
All'interno, in terra bottonato nero con vistose pezze di rattoppo di linoleum color petrolio, code di persone di fronte a sportelli, separati da uno spesso vetro...le pertinenze di ogni sportello sono segnate in caratteri piccoli, facilmente leggibili solo a pochi palmi dallo sportello stesso..."C'è un ufficio informazioni?" Una voce stridula si eleva nel brusio. E' la mia; non ottiene alcuna risposta.
Applico la legge di Murphy, la "mia" coda è sicuramente la più lunga.
E lì mi metto, in coda. Un ceffo della coda accanto mi chiede brusco cosa mi serve, spiego "la rava e la fava" mi interrompe subito, dà un'occhiata agli incartamenti, si ragguaglia con un secondo ceffo sulla sua destra, mi confermano che la mia coda è giusta.
Qui si salutano tutti, a un dato punto con fare simpatico, nelle intenzioni, si sa mai abbia bisogno ancora di aiuto, dico: "ma cosa siete, un clan?", sostantivo poco acconcio, me ne rendo conto subito dopo averlo proferito, nessuno sorride. E io, finalmente, taccio.
E' il mio turno, dagli uffici dall'altra parte di questo muro di vetro spesso sale un lezzo di cicche di sigarette bagnate, escrementi di gatto, muffa...Appoggio l'incartamento sul ripiano, il tipo dall'altra parte mi allunga uno, due, tre bollettini di pagamento. Poi mi dice che devo andare in Germania, consegnare la targa e provvedere alla sua distruzione (nelle orecchie il crack crack del trituratarghe tedesco, SIII! Ho sempre desiderato schiacciare quel pulsantone rosso lucido e sentire la mia targa fare crack crack...), poi "loro" dovrebbero provvedere a fornire una targa temporanea, indi torno in Italia e per 4/5 giorni non potrò usare la macchina - sia furba, non faccia partire la pratica prima delle vacanze- pagamenti dei bollettini, documenti precedenti
l' immatricolazione tedesca, traduzione giurata del libretto e via.
Via. Esco dalla motorizzazione con un senso di liberazione. Ora inizia la car-odissea.

20 marzo 2012

Nom de Plume

L'ultima è capitata a ddorf, alla palestra fighetta del centro. Mi aveva regalato un buono per una settimana di utilizzo gratuito dei corsi e della piscina, un'amica IOL.
Finalmente, quasi allo scadere, mi presento con il mio buono e con l'accappatoio in saccoccia. Mi accoglie un tipo tutto sorriso e salamelecchi, vestito che in Italia venderebbe le spazzole della Folletto, in USA macchine wagon, in Germania, appunto, trattamenti wellness e abbonamenti palestre.  Come era vestito? Giacca terra di siena attillata, pantaloni in nuance con piega highway one, camicia bianco simplex non stirata, calzini bianco simplex, tshirt aggettante dalla camicia, bianco simplex. On the top: cravatta sono scampato da un'impiccagione sommaria, ma sto bene. Capello corto, forfora lunga. Denti, sopra sotto laterali: tutti esposti.

Faccio per procedere verso la palestra propriamente detta, il tipo si sfila dal bancone, mi blocca, mi fa assettare ad un tavolino all'ingresso e compilare un questionario sulle mie abitudini, il lavoro che svolgo,ecc, ecc...Solo in tedesco.
Vabbeh, vado un po' a caso. Alla voce professione mi viene da scrivere: Mamma d'Italia, ma mi trattengo.
Poi viene il bello. Sul formulario mi si chiede nome e cognome dell'amica che mi ha omaggiato di cotanto buono, brandisco la bic e...non me lo ricordo. Cioè non è che non me lo ricordo, so perfettamente il suo nikname, quello che usa su IOL..ma non mi sovviene il suo VERO nome.

Il tipo vede il mio imbarazzo, equivoca, immagina, immagino, che io non capisca un termine in tedesco, in un picosecondo è di nuovo nei pressi, si piega sollecito...

Vede la casella sulla quale mi sono impapinata. Come non lo sa? lo sguardo si fa guardingo, i molari e i premolari sono rientrati al buio umido delle guance, dove di solito stanno i nostri per intenderci. Sì che lo so, faccio pronta, e cerco di spiegargli la storia, che comunque non depone a favore di una forte e solida amicizia...

Poi ho il colpo di genio: gliela descrivo! Abbiamo più di 200 iscritte bla, bla,bla...Replica. Sì ma se gliela racconto capisce subito chi è. Lo capisce dopo tre parole. No, non perché sia particolarmente intelligente. E' che l'amica è un concentrato di meridione con potenza comunicativa tellurica. Difficile passi inosservata.

Me la sfango, il tipo torna ridente come una vallata trentina. Vado in palestra e me la spasso pure.  Però resta che questa questione dei nik name è delicata assai...

14 marzo 2012

Ora siamo qui.

Sì. Ora siamo qui. 
Bene, male, meglio, peggio...tutte parole. Qui si lavora, qui si fa la spesa, si parcheggia, si va per uffici; qui si cercano soluzioni nel quotidiano, si ritagliano gli spazi per una risata, con amici e compagni di un'ora, di una vita.

Qui si piantano i bulbi per l'estate, si pianta tutto per una passeggiata, qui ci si sfila il maglione per godere di questo primo sole di primavera...qui si fanno progetti per il futuro. Un futuro a tempi brevi, che il presente e l'immediato futuro sono le dimensioni del tempo che so vivere intensamente. Ora.

Il passato è irrimediabilmente lontano. Meglio, quella che ero io nel passato è irrimediabilmente un'altra. Un altro corpo, un'altra testa. Altre ambizioni, altre passioni. Lontana. E senza troppi rimpianti.

Il futuro...il futuro anche quello è, in un certo senso, un "fu". Una dimensione ben consona a me "passata", come ero. Cosa mi riserva il futuro? Una volta, pensavo, tutto. Nel futuro avrei letto tutti i libri che non avevo letto e avrei trovato il tempo per rileggere quelli cui avevo dedicato una letta distratta. Nel futuro avrei visitato quella valle nascosta, raggiunto quella cima, perfezionato quella mossa di Capoeira, chiarito quell'argomento spinoso, restaurato quel vecchio mobile, recuperato i miei giocattoli d'infanzia, mandato la lettera a un amico lontano...Nel futuro sarei dimagrita.  
Cosa mi riserva il futuro? Adesso niente che non sia frutto di quanto vivo adesso. Qui.


Tramonto sull'Albenza, ieri. Visto da casa.