Autunno

Autunno
E' un tramonto italiano ma a me ricorda Ddorf.

24 settembre 2012

Logica ribelle...

Domenica porto la Ari a vedere Ribelle, The Brave.
Bello vero?
Bellissimo.
Hai visto che è tutto sul dialogo tra la bambina e la sua mamma?
Sì, e ho capito tutto.
..tutto cosa?
Cosa bisogna fare!
???
Se io presempio oggi voglio mangiare 14 merendine e lo voglio, lo voglio, lo voglio...ecco me le mangio anche se tu dici di no...costo quel che costo.

Domenica prossima NON la porto al cinema.

20 settembre 2012

Come sparare sulla croce rossa....

...parlare male degli ospedali italiani.
Con una postilla, però, doverosa per amor di verità.

Sabato Ari si è rotta malamente un braccino. Tra il gomito e la mano sembrava Lombard Street a San Francisco. Fortuna che l'ho visto, il braccino, in tutta la sua deformità solo in ospedale, quando le hanno tolto la felpa, che se no non so se sarei stata in grado di condurla fin là...Già lì per lì in pronto soccorso, mi sono dovuta appoggiare alla sedia e una sbrigativa infermiera: "Eh no cara signora, non cada mica giù che non è proprio il momento!"

Andiamo per gradi. La Ari cade dagli anelli al parco. Gli unici 5 minuti in tutta la mattina in cui le avevo ingiunto di lasciarmi in pace il tempo di inviare due sms. Già non stava bene... e quindi è caduta male. "Signora le si è fatta male la bambina!" Arriva un babbo, faccia di riprovazione che io ero girata di spalle rispetto al luogo del fattaccio e non avevo sentito le urla agghiaccianti della mia progenie...LE si è fatta male la bambina...fa il pari con espressioni come: “Dottore, non MI mangia niente”...Io resto un po' indecisa, Ari è abituata a cadere, ma lui mi sollecita a portarla in ospedale per le radiografie...Chiedo a Ari di muovere la manina. No, non la muove.


Via, all'ospedale. Chiedo agli astanti dove è: "Non lo sa? Ma è di Bergamo?" Sì, sapevo dove era l'ospedale, ma supponevo anche lo avessero trasferito come dicono da anni, almeno da quattro, quando siamo partiti per ddorf... Rinuncio alle spiegazioni, sono ancora fremente di irritazione con Ari che si è cacciata in questo guaio -ancora non so che il guaio è serio- così da vanificare ogni residua speranza di una bella passeggiata in collina.

La strattono malamente verso la macchina, da una tovaglia strappata ricavo una bandana per l'arto offeso. Lei piange, mi sembra più di rabbia che di dolore...

Arrivate nei pressi dell'ospedale chiedo a un posteggiatore se si può entrare in macchina al pronto soccorso: "No, solo per le urgenze, le conviene parcheggiare qui." Qui è a 400 metri minimo. Ari mi segue, poi rallenta, è pallida, mi scivola accanto. Che faccio? Sembro la Magnani nella Ciociara (o era la Loren?) Boh, comunque mi faccio pena da sola.

E come in un film degli anni '50 arrivano due prestanti carabinieri: "Signora, ha bisogno d'aiuto!", che frase da carabinieri...afferrano la settenne esangue e la portano al pronto soccorso.

In uno scantinato mal illuminato una cinquantina di disgraziati si volgono verso di noi, uno dei due carabinieri va a cercare un medico, aprendo tendoni verdognoli che separano la sala d'attesa con gli studi medici...evidentemente. "Ma che è 'sta favela?” Faccio in tempo a pensare...

Ecco, mi fa cenno di entrare in un pertugio scuro, sono nell'ufficio accettazione; meglio alle spalle dell'omino dell'ufficio accettazione e mi vergogno un po' quando questo molla il paziente regolarmente in coda “davanti” al vetro spesso dello sportello per svolgere le mie pratiche. Tra un fornello elettrico, uguale a quello che aveva la mia maestra!- e un ritratto di famiglia in cornice Ikea, appoggio la borsa e cerco come richiestomi, il codice fiscale e la TESSERA SANITARIA di Ari. Il primo celo, il due no e lo so benissimo che è restato in Germania, ma ravano nella borsa per un tempo bastevole a far sbottare l'omino: “Va bene così signora facciamo senza..."

Torno di là, nel sottoscala d'attesa, tuffo al cuore: non vedo mia figlia. Qualcuno mi afferra il braccio: "Di là, è stesa" Eccola, riversa su un paio di sedie mentre un ciccione enorme fasciato di giallo le fa aria con la Gazzetta dello Sport.

I carabinieri si sono dileguati, come i cavalieri dell'apocalisse. Compare invece un' infermiera che fa distendere Ari su un lettino."Grazie, le rivolgo, umile, e ora dove dobbiamo andare?", " Da nessuna parte!" E lancia il lettino contro un tendone, che si apre e si richiude davanti al mio sguardo atterrito. "Sdeng!", il letto deve aver finito la sua -breve, corsa.

Seguo lo sdeng, in un androne allestito a studio medico. Di quelli dove ti immagini che curino i mafiosi, o i mujaidin feriti, ricavati in luoghi insospettabili dall'esterno. Ari chiede da bere. Cerco un bicchiere, un contenitore...nulla di nulla. Cerco qualcuno. Siamo rimaste sole.

"Sono tutti dei cazzoni!" Un tipo segaligno, sguardo basso, interrompe la nostra dualitudine, si sbraca su una sedia e si rivolge al terminale. "Età!...cazz, lento 'sta merda di affare..." "Età! Ho chiesto!" Sbotta. "Scusi parla a me? La bimba ha sette anni". Grugnisce, compila e continua a smoccolare: "Neanche una infermiera, c'è neanche un'infermiera, fanc..."

Si alza, prende improvvisamente con le dita la spalla della Ari: "Ahi!" "Ahi qui? ...O qui?" "Più qui...no lì!" "Uhm...qui, invece?" Urlo disumano...A me si accappona la pelle. "Eh, che non la tocco più giù se no tira giù l'ospedale..." mi fa, come compiaciuto.

In quel momento afferra un involto sotto la scrivania, lo spallottola e si infila un camice che sembra uscito dal culo di una gallina.

Ecco, è l'ortopedico.

"Mamma ho sete!", "Scusi non potremmo avere dell'acqua", "No. Questa va in sala operatoria, niente acqua". E così scopro che mia figlia si deve operare... Il Dottor House degli ospedali riuniti di Bergamo si mette al telefono a reclamare un'infermiera.

La quale si palesa poco dopo: "Dove cacchio era?" "In bagno, il tempo di tirar giù l'acqua del water..."

"Venga qui..." - adesso è miss eleganza che chiama- "...le leviamo i vestiti." Sfiliamo la benda, poi la felpa e quando la felpa non c'è più vedo il braccino di Ari e... mi stringo forte alla sedia.


No, non svengo. Ma mi prendo un paio di minuti buoni...prima di seguire l'infermiera che inizia a spingere il lettino tra corridoi e rampe. Nelle corsie che attraversiamo a una velocità da freccia rossa ogni tanto qualcuno si affaccia: “Poverina, una bimba...” “Magari la devono amputare...”. Tiè!


Entriamo alla fine in una stanza con due letti, una famigliola -mamma papà bimba con braccino ingessato, nonna nonno- occupa quello accanto alla finestra.

Bimba a parte, ci guardano tutti in cagnesco. Wow!

Ari sta lanciando urla lancinanti, l'infermiera del reparto mi allunga una supposta ammiccando, come fosse uno spinello. Chiedo dell'acqua per umettarla, come faceva la mia mamma con me, che io alla Ari non l'ho mai fatta, una supposta. E l'infermiera, carina, bionda con il naso rifatto sembra la Giovanna Elmi dei tempi che furono, non ci crede. Riconfermo. “Neanche con la febbre?” “No.”

Alla fine, senza acqua che non serve, faccio il mio dovere di mamma, Ari mi porge le terga fiduciosa, povero angioletto, poi, dopo il fattaccio, mi guarda come il piccolo ebreo del ghetto di Varsavia con le braccia alzate della celebre foto. Come hai potuto? Occhi neri piantati nei miei. Dì, come hai potuto?

Vedi lei che brava bimba che ha preso la supposta?” Quella che parla, dal letto lato finestra, è la signora rivolgendosi alla figlia che, secondo me, sta appunto verificando quanto la sua ostinazione sia stata ben giustificata.

Inevitabili le presentazioni. La famiglia bivacca qui dalle 6 del mattino. Ora sono le 13. Devono rioperare la bimba di 5 anni, non si sono calcificate le ossa del braccio. Avevano l'appuntamento fissato, però ogni volta che tocca a loro ecco un paziente più urgente dal pronto soccorso. E loro sempre in attesa. La bimba non mangia da ieri sera e quel che è peggio, non beve da ieri sera.

Sete, acqua, voglio acqua!” Questa è la Ari, “Acqua anche io” pigola la cinquenne.

Anche noi passiamo prima della sua bimba, mi dice. Ah, ecco perché quando siamo entrati ci ha guardato come un cane le sue pulci.

Si sa chi c'è in sala operatoria adesso? Temporeggio... “Un uomo, un ragazzo. Incidente in motorino. Dei marocchini gli hanno tagliato la strada..” Sguardo di disappunto“...Là in sala di attesa ci sono i suoi parenti.”Allungo il collo per vederli...

Alle quattro arriva mia cognata. Grande! Chiedo all'infermiera -che si presenta dopo 10 minuti dalla chiamata, ma quando vado a cercarla in corsia la becco al computer che ride con un paio di colleghe- se mi conviene andare a casa e prendere il necessario per la notte...l'infermiera tentenna poi mi conferma di sì, l'intervento in corso è lungo e delicato. “Cosa serve?” Chiedo. Mi risponde con espressione infastidita. I ricambi con zip centrale per la bimba, copertina per me, che non è prevista nella fornitura, asciugamani per il bagno, la colazione...e via così. Alcune cose sono sì banali, altre meno. Perché semplicemente non scrivono tutto su un bel foglietto, poi via di fotocopie da distribuire, anziché stizzirsi? Vado, lascio la cognata straziarsi agli ululati di dolore di Ari. Prima però chiediamo un'ulteriore dose di antidolorifico. Per calmare la sete concedono poche gocce  di acqua dalla spremitura di un fazzoletto di carta...

Esco dall'ospedale che mi sembra di uscire dal lager. Anche se solo la presenza di qualcuno che condivide il mio stesso sconcerto, ha alleggerito l'umore. Al parcheggio approfitto di questa ventata di allegria per rampognare il parcheggiatore. Al pronto soccorso si entra sì in macchina. “Sì però poi non c'è il parcheggio...” Uf, non ho voglia di litigare...

Ritorno che la situazione in stanza è quasi immutata, a parte che i vicini si sono replicati e ora raggiungiamo un numero da colonia estiva. Un ipad troneggia sulla sedia, con la Pimpa a tutto volume, la cinquenne manco la guarda, la Ari invece se la sugge che è un piacere. A lei la Pimpa è sempre piaciuta. Forse le piacerebbe ancora, ma a sette anni è poco trendy.

Neanche la stanza con il televisore vi hanno dato!” la nonna, che poi è la suocera, aizza la nuora che gira per stanza sibilando come una tigre in gabbia.

Ari, doppata di paracetamolo e rinciuchita dalla Pimpa, finalmente si è assopita. Mostro l'arto mostro alla parente e quasi sviene pure lei.

Dalla sala operatoria nessuna nuova.

I parenti in attesa sono solo più numerosi. E più silenziosi di stamane.

Alle sette di sera la colonia se ne va, la stanza si svuota, la piccola oggi non verrà operata.

Ari invece sì, infatti non le servono da mangiare. Penso che sono 3 giorni che è a dieta di magro per via di una indigestione. Non stupisce che appena si sveglia chieda cibo.

Sono le 8, quando irrompe un'allampanata figura verdevestita con cuffia e mascherina. Ha gli occhi gonfi e cerchiati da opossum, macchie di rimmel nero la identificano come appartenente al genere femminile. Si accascia letteralmente sulla sedia invasa da peluches (foche, per l'operazione la Ari ha chiesto le sue due foche) e abbassa di sguincio la mascherina per chiedere informazioni sulla bimba. Voce flebile. Inquietanti macchie scure sul camice.

E questa ubriaca di sonno deve operare mia figlia? Qualcosa nel mio sguardo e in quello della mia solidale deve essere stato raccolto se ci tranquillizza: “Qui prendo solo le informazioni per l'anestesia poi le passo al nuovo team”.

Ahh! Puro sollievo. Chiediamo dell'intervento precedente, durato più di sei ore. Sì, era un uomo. 54 anni, tre figli. E' stato amputato ad una gamba. No, non era in motorino. E neppure in autostrada. Sì, alla fine l'hanno salvato, l'abbiamo salvato. Ci complimentiamo. Quella è così stanca che sta scoppiando a piangere. Azz, sembra davvero una puntata del Dottor House, che poi nemmeno mi piace.

Frigna tu che frigna io, quasi ci dimentichiamo di preparare la degente. Le sistemiamo il cappellino operatorio, che terremo come cottillon, e l'accompagniamo fino alla porta scorrevole, la salutiamo, lacrimuccia. Mentre ce ne andiamo in sala d'attesa, ecco il team che arriva. In mezzo il chirurgo, tutto di fretta...sguardo basso...oh no. Oh sì! Lui, ancora lui: l'ortopedico pazzo di stamani.

Salve è sua la bambina, vero?” Che intuito, il rude: “Senta la botta è brutta, cerchiamo di assemblare la frattura senza aprirla...se invece si deve aprire...eh, non le dico niente che vedremo poi.”

Lo stile asciutto è lo stesso, ma nessuna parolaccia. Confronto ad oggi sembra sia stato a un corso di savoir faire a Eton. Mi ha perfino degnato di uno sguardo. E ha gli occhi azzurri! Proprio come quelli del Dottor House.


Postilla, doverosa postilla. L'Ospedale Riuniti di Bergamo sta traslocando da una vetusta, fatiscente sede ottocentesca a una megasupergiga sede moderna e funzionale. Non sappiamo se i luoghi acconci acconceranno anche il personale medico e paramedico. Ne ha tanto bisogno!

La mia ultima recente esperienza di ospedali in Italia, per la mia mamma, è stata altrettanto incredibile. Però à revers. Reparti nuovissimi, pulitissimi. Infermieri, caposala e medici gentili preparati e incredibilmente umani. Non li dimenticherò mai.

14 settembre 2012

Le lingue non le conosco bene, ma le capisco...

Post fresco fresco, di stasera a cena. Come la frutta appena colta dall'albero, ha ancora tutte le vitamine.
Allora, parliamo con Ari di alcune intense espressioni tedesche, come "Quatsch", stupidate, "Doch", al contrario...e Ari esordisce con l'affermazione all'oggetto:
"Ehi, mi pare pretenziosa, dico..."

E lei: "Non pretendo niente -che sembra Scout, la protagonista di "Il buio oltre la siepe"...
"E' che, vedi mamma, io le lingue non le so tutte bene, come il tedesco o l'italiano.." -eh, la candida arroganza della gioventù- "...ma le capisco!"
"?" -che sta per sguardo interrogativo, il mio.
"Ti spiego. Per esempio l'inglese è involante, tutto I am, you love...il tedesco inveceee.. ruvido. Sì, ruvido!"
"Ti spiace se lo scrivo?"
"No, è il tuo mestiere..."
Dice, con nonchalance ("Ma pensa, penso, mia figlia sa che scrivo per guadag...cioè per lavor...coiè per raggranellare quattro palanche...")

"E l'italiano?" Chiedo.
"L'Italiano morbido... No. piatto. No, meglio piano. Scrivi: piano."
"...lo Spagnolo?".
 "Lo Spagnolo è Staffico.
"Come?..."
"Staffico, c'è sempre la "s", come il serpente. E' la stessa cosa."

Eh sì. Conoscere le lingue è capirle. Capire le lingue, non sempre è conoscerle.

12 settembre 2012

Questa sono io...

...E ora come allora non so bene dove andare. Sotto la tenda, per nascondermi dalla pittrice e dai miei no, che nessuno, stavolta, mi verrebbe a cercare. Ne sono sicura (qualche sicurezza in più, dai tempi di questo ritratto l'ho acquisita).

Allora, ancora, si facevano i ritratti di posa, io ero timida, mi ricordo bene che cercavo di nascondermi anche se la signora  pittrice  sembrava una tipa a posto, gentile, composta, bionda e anziana. Me la ricordo così, un ricordo insieme confuso e preciso come i ricordi d'infanzia, come i sogni...sbucai dalla tenda del salotto e lei disse, rivolgendosi ai miei: "Sta bene con la tenda sulla testa, la dipingo come fosse un copricapo esotico..." O giù di lì... Così fece, e fece bene che io non ne potevo più. Poi non so che questo è uno di quegli oggetti che sai che c'è, ma non te ne curi mai. Però adesso, mio padre mi ha chiesto di prenderlo. E io non l'ho, ancora, preso, che mi sembra che questo ritratto e il luogo che lo ha ospitato per più di 40 anni siano una cosa sola. Adesso va così. E lui, il ritratto di quella bambina timida e chiarocrinuta, è ancora qui:, in compagnia di poche suppellettili, polvere e silenzio:





10 settembre 2012

Vista da un bicchiere di vino (mezzo vuoto e mezzo pieno...)

 Campo ligure.

Bar Alba, Ponente Ligure.

Ps: quest'anno in ogni bar, ristorante dove sono andata con Ari abbiamo speso sempre 25.00euro in due. Con fattura, senza fattura -sempre richiesta, ecchec...le tasse sono inique ma almeno le paghiamo iniquamente in due- con sconto mica sconto...però 25 e fissa lì. Che sia il nuovo prezzo politico dei tempi di crisi?

8 settembre 2012

Un'estate al mare...

Ecco la spiaggia che si chiama(va) west point. Di cui si è già scritto. Con la crisi di spiagge di sabbia che c'è in Liguria, ci si aspetterebbe una tutela accorta...invece no. Negli anni è stata adibita a discarica del materiale di risulta proveniente dai lavori della ferrovia; cantiere per la costruzione del porto turistico, attualmente bloccato; alfin verrà rasa al suolo da una megadiscoteca sul mare, così dicono quest'anno, gestita da russi facoltosi...

Intanto, tra palme bruciate e sentieri tra transenne divelte, noi siamo tornate a west point e al suo fascino da Scampia on the beach. Nota di costume: i tedeschi ne vanno pazzi.


L'accogliente cartello di benvenuto, con quel tocco di combusto in stile locale... 


Il tavolo, capiente, ricavato dal materiale a km0, della spiaggia.


 Sabbia, finalmente sabbia fine per i piedi martoriati dai ciottoli liguri...


Chiare fresche dolci acque...alla spiaggia c'è pure una fonte, che un ammirevole ingegno ha provveduto a rendere fruibile. Flaconi ecochic a disposizione dei bagnanti, sempre a provenienza km 0


Dotte conversazioni a "puccio" nel mare...




6 settembre 2012

Grazie a voi, ci siamo noi.

Questo post è dedicato a quelle donne che, grazie alle loro storture emotive diventano super-mamme. Cioè: tendono a fare figli e a farne tanti.

Perché diciamolo subito: se sei una normodotata emotiva nella vita al massimo ne reggi uno, di figlio. Due se la fortuna ti ha arriso e hai un compagno supportivo e sveglio e  buonlavoromunito e tu, al contrario, hai un lavoricchio così così che a lasciarlo per qualche anno non ti strappi le vesti.

In -quasi- tutti i casi contrari, via, francamente la vita in famiglia e per la famiglia è una vita da border line.
Invece, per fortuna nostra -se no molti di noi non sarebbero qua a parlarne, il mondo è pieno di persone alla ricerca di una compensazione, una consolazione, una missione. Qualcosa di così necessitante da non lasciare spazio ad ansie e angosce. E che c'è di più necessitante di un figlio? Due figli, tre figli. Meglio: quattro.

Sul red carpet del sacrificio muliebre una vera star è: la sciroccata.

La sciroccata è sempre volta all'interpretazione aperta e positiva. Cangiante come il colore del mare, trova comunque giustificazione per ogni tipo di comportamento in ogni tipo di situazione. Comportamento suo, dei figli, dell'uomo con cui li fa. Il quale, è un esempio, se ne va con una, ma poi torna, e la sciroccata lascia la porta aperta, poi se ne va di nuovo e trova un'altra e lei diventa amica della coppia, poi lui ha un altro figlio, da un'altra però, e lei l'accetta che occorre evitare di creare ulteriori conflittualità ai ragazzi, poi è lei che incappa in un nuovo compagno e come privarlo della gioia di essere padre ci fa subito un altro figlio e...via così. Le sciroccate se la raccontano sempre. Pure bene, un giusto mix tra approccio sorprendente e ingenuità. Sono le Marilyn Monroe del panorama "donne sull'orlo di un esaurimento di nervi".
Dio, un po' irritano per la loro assenza direzionale, poi ti chiedi se non hanno ragione quando affermano: "Ma come puoi dirigere la vita che è tanto più grande e forte di noi..."

Aspetto fisico: da insignificanti a carine, tendenzialmente magre, cultura medio alta, grande compliance, ottime ascoltatrici, divoratrici di libri d'argomento psicologico.

Le oblate. Il nome l'ha suggerito un'amica a proposito di una nostra comune amica. Per oblazione si intende la rinuncia a sé per dedicare ogni energia a uno scopo altro.

 Le oblate si dedicano anima e corpo alla loro famiglia. Si riconoscono fisicamente per il loro aspetto vistosamente rinunciato. O sono eccessivamente magre o eccessivamente grasse. Niente smalto, poco trucco, tacchi niet!, vestito sciatto...e difficilmente cambiano look. A vederle ti aspetti come minimo una certa sciatteria anche nel resto delle loro vite e che so, compagni psicotici, brutti, case raccogliticce. Invece no, affatto. E il contrasto è proprio qui. Le loro case sono curate, sprizzano gusto e creatività. Le oblate dedicano tempo e attenzione maniacali alla scelta di tutto ciò che riguarda i figli, la famiglia.

Se avevano un' attività professionale, l'hanno interrotta, ma sono colte...preparate. Le oblate sono cattoliche, naturalmente, ma anche no. Che la categoria è trasversale. Interessanti i loro mariti...Più gradevoli, anche esteticamente, delle mogli a conoscerli viene spontaneo chiederti: "Ma come ha fatto a finire con questa qua..."
La risposta è lì che ci guarda: tutta la dedizione femminile al loro servizio, e senza nessun rischio di sciopero!
Va detto che le oblate passano dall'essere cortesissime ad attacchi di aggressività verbale. Sclerano, magari per un nonnulla, poi si chetano, muovendosi con fare intimidito come i pappagalli sul trespolo. Che tutta 'sta dedizione un po' costa...

La terza categoria è rappresentata dalle stercorare.

Queste mangiano merda dalla mattina alla sera. E il bello è che non se ne accorgono. Ad essere giusti, tutti, o almeno tutte, in una situazione di coppia con figli qualche palata di cacca ce la ingoiamo. Non c'è verso. Ma il mondo si divide in due: chi capisce la differenza con il cioccolato e chi no. Le stercorare no. Non la capiscono. Vengono strattonate dai loro mariti e dai figli e loro niente. Lì. Ferme. Incuranti. A continuare a stirar camicie e spignattar brasati, prendere a scuola i bambini...
Le stercorare non hanno entusiasmi, passioni, vivacità. Stanno, incolori. In genere non è facile costruirci dei rapporti amicali che...non gliene frega nulla, a meno che non stiano cercando un uomo. Con la loro capacità di farsi martoriare, a fronte di una buona dose di dedizione e la totale assenza di atteggiamento critico, spesso hanno fortuna. Sono compagne buone a tutto.

Le donne delle tre categorie hanno una caratteristica in comune: si accontentano. La sciroccata se la racconta, l'oblata sublima, la stercorara ingolla...

A dimostrazione che la vita non sempre è nelle mani di ambiziosi incontentabili.



5 settembre 2012

Mi vogliono tutta ciccia e brufoli...


Che fare quando al ristorante ti propongono una focaccia ligure alla Nutella come dolce della casa? Si assaggia. Si guaisce dal piacere e...s'ingrassa.



2 settembre 2012

Una prorompente, nuova femminilità.

Quello è l'incoraggiante sottotitolo di un libro. Il titolo è: "Menopausa Naturalmente". Autrice Ulrike Raiser. Chissà perché 'ste cose le scrivono, quasi sempre, le tedesche. Allora, la premessa dell'opuscolo è: donne mature, con la menopausa vivete un cambiamento, non una perdita. Dovete solo trovare un modo nuovo di "veicolare l'energia incontenibile che sussurra dentro noi".
E noi pronte!

A maggior sostegno della gagliarda tesi, si sciorinano citazioni storiche. Che seguono sempre lo stesso schema. Una rusatina veloce nei miti nel mondo Maya, Incas, Apache...una qualunque di quelle civiltà millenarie, gloriose e...ormai spacciate. Poi: ta tam! Parallelismo con il mito greco, che il repêchage nei miti greci è un grande classico. Ed ecco che a rappresentare la terza faccia della femminilità, dopo Demetra, la madre e Persefone, la giovinetta, c'è Ecate. Che non ricordo bene, ma secondo me era vecchia, cozza e portava sfiga. Qui, Ulrike ce la indora così: "..dopo la luminosità accecante del mattino, Persefone, e il calore divampante del meriggio, Demetra, l'imbrunire placa le passioni e l'irruenza, che lasciano il posto a un fresco sollievo e ad una serena notte illuminata dalla luna...Ecate."
Bene. Con una premessa così ben congegnata ci ringalluzzaimo un poco e ci accingiamo a leggere il resto. Dal momento che tutto è normale e sereno e saggio: "la prima cosa da fare è non angosciarci".
E chi s'angoscia, se non m'angosci tu....
"...In fondo si tratta di un passaggio che la Natura ha predisposto per il nostro corpo..."
See, bona quella, la Natura dico. Con tutte le sole che tira...
"Più temete la menopausa e più ingigantite nella vostra mente i cambiamenti che avverranno..."
Uhm e doppio uhm...
"...Ripensate ai figli, se tutte noi avessimo dato retta ai racconti mostruosi del parto, probabilmente nessuna di noi sarebbe mamma!"
Epperò poi l'abbiamo capito che i racconti mostruosi nascono perchè il parto è un dolore mostruoso! Uhm, doppio uhm e triplo uhm con triplo avvitamento carpiato.
"..In alcune tribù africane e in alcune zone indiane e arabe la menopausa permette alla donna, che viene considerata più pura perchè libera dal ciclo mestruale, di avere più prestigio sociale e di partecipare ai riti propiziatori.."

Ecco. Ci sarebbe a questo punto da scaraventare il libro nel caminetto. Anzi nei flutti, che siamo al mare. Sì perché chissene se nel Burundi occidentale, o nella Micronesia, o nella Kamchakta le donne Inuit hanno fatto pace con la menopausa!

Se non fosse che con questi riferimenti antropologici bislacchi ci tediano a noi donne occidentali fin dai tempi delle gravidanze. Per ogni fase della femminilità, la pubertà, la gravidanza, il parto, e persino per le coliche dei bambini c'è sempre un manipolo di ricercatrici, pronte a scovare qualche tribù Mursi, Samburu, Pigmea...dove, incredibilmente, le donne partoriscono in poche ore, inneggiando canti gregoriani, subito pronte dopo la recisione coi denti del cordone ombelicale, a dissodare i campi per piantare radici; i loro bimbi NON piangono e NON soffrono le coliche dei tre mesi (l'unica malattia infantile che i piccoli Mursi, Samburu, Pigmei non patiscono)... e adesso salta pure fuori che dopo una vita al top, con la menopausa si apre loro una carriera brillante come assistenti ai riti propiziatori. Fortunelle...

Loro. Noi invece qui a sgobbare e in quanto "donne affermate nel mondo del lavoro, più cariche di responsabilità e dello stress che ne consegue..." soffriamo di più i naturali cambiamenti del nostro corpo. Oltre al danno, anche le beffe.

L'opuscoletto comincia ad irritarmi assai che io veggo una velata presa per i fondelli: se patisci la menopausa, visto che è una fase naturale ed è dimostrato che ci sono donne al mondo che non la mettono giù così dura, la colpa è un po' tua...

L'amena lettura prosegue con l'elencazione dei "disturbi" e dei rimedi fitoterapici atti a contrastarli. I "disturbi"...più che disturbi patologie belle e buone. Leggi qui:
"Vampate, insonnia, obesità, cistite, vaginite atrofica e sintomi urinari, sbalzi d'umore, depressione, distrazione, osteoporosi, malattie articolari degenerative, ipertensione, malattie cardiovascolari e cancro al seno..." Tanto per chiudere in bellezza.

PS: Comunque visto che in menopausa non ci sono ancora e non mi voglio angosciare, che poi quando arriva bastona ancora più duramente, ripongo il libretto sullo scaffale più alto della casa. E lì lo mollo, in funzione apotropaica, come farebbe appunto una donna Mursi, Samburu, Inuit, Pigmea.




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30 agosto 2012

Alle Eseleien!

Tutte asinate. Traduzione del titolo del post. A volte il tedesco è così simile all'italiano, nelle espressioni colloquiali. Come Stapazieren, che vuole dire sì, proprio strapazzare.
Il titolo è ripreso da "Le mie prigioni", del Pellico, che ho testé terminato, e da dove si recupera che i luoghi comuni no, non sono affatto "Alle Eseleien". Almeno a giudicare dalla loro pervicacia.
Il primo è già citato, il clima orrendo non appena si varca l'arco alpino per il Nord. Che non è che non sia vero, per carità, ma considerando quanto si può patire in val padana andrebbe quantomeno relativizzato. Infatti, malgrado gli auspici nefasti, nei capitoli dedicati agli anni dello Spielberg nel libro non si accenna mai a una particolare durezza del clima moravo.
Altri luoghi comuni, e comuni ancora oggi (la vicenda si svolge nel 1820/29) : la cosa di cui si lamenta di più il nostro, una volta ingabbiato in Moravia è, bada ben, la qualità del CIBO!
Il confronto è sempre con altre galere, patrie ma pur sempre galere, mica coi manicaretti piemontesi di casa Pellico. Allo Spielberg, dimora infausta, Silvio preferisce lasciarsi morire di fame piuttosto che ingoiare tal "indigesta vivanda". Anche altrove: "Schiller mi ripeteva: -Si faccia d'animo, procuri d'avvezzarsi a questi cibi; se no le accadrà, come è accaduto ad altri...di morir di languore."
E la seconda? La mancanza del CAFFE'! Quello della Zanze, ai Piombi di Venezia gli aguzzava anche un certo qual altro appetito.
Di contro è ammirevole il rigore e il "rispetto delle regole e dei regolamenti". Così serenamente accettati che nessuno se la prende con altri se questi adempie al suo dovere esecutivo (non sfugge ad occhio avvezzo che nelle due carceri precedenti, a Milano e a Venezia, al contrario, dei regolamenti se ne facevano un baffo un po' tutti o almeno si concedevano eccezioni vistose. Per esempio la figlia quindicenne dello sbirro veneziano si lasciava andare ad amplessi -nel senso di abbracci- piuttosto prolungati con Pellico e senza che alcuno trovasse nulla da dire.
Silvio conosce il tedesco e apprezza la lingua, la compostezza, l'importanza del silenzio: "In silenzio, puoi fare tutto." Nel suo caso si trattava di comunicare con gli altri carbonari, mica spassarsela. Però interessante quanto, mutatis mutandis, certi stereotipi ritornino nelle esperienze di expat moderni, come la cometa di Halley nel sistema terrestre.
L'ultimo luogo comune è la bruttezza della val padana: "Da quella parte l'entrata in Italia non è dilettosa all'occhio, ed anzi si scende da bellissime montagne del paese tedesco a pianura itala per lungo tratto ... inamena cosicché i viaggiatori che non conoscono ancora la nostra penisola ed ivi passano, ridono della magnifica idea che s'erano fatta."
E ancora: "La bruttezza di quel suolo contribuiva a rendermi più triste..."  
Che dopo 10 anni di galera, e a duro regime, provar tristezza per un paesaggio...Proprio di una bruttezza senza appello.

Mala tempora currunt...

Niente ti dà più il senso del tempo che passa, meglio, di te che sei passata, della corte di un pretendente azonale. Acclaro. Ad ogni età corrisponde una zona, una fascia di erotizzazione. La fascia comprende persone più giovani e più vecchie di te, oltre a quelle coeve, ma, perversioni a parte, esclude "naturalmente" quelle troppo giovani, coloro che, banalmente, potrebbero essere i tuoi fratelli più piccoli o i tuoi figli, e quelle over. Cioè, sempre banalizzando, quelle in cui è facile riconoscere i tuoi genitori e i loro coetanei.
Insomma quest'estate, nelle rare occasioni mondane, questo mi è occorso. Un giovane alla ricerca di emozioni forti, e pettegolezzo facile, che mi è piombato una sera in tenda, e la corte palpitante di un paio di "umarell", di quelli cui mi devo sforzare a dare del tu, per intenderci, tanto li percepisco maturi, anziani, "altri" rispetto ai candidati del mio -presunto- aerale erotico.
Tralasciando le manovre di "smarcamento", quello che rimane è un senso di imbarazzo e di spiazzamento. In tutti e tre i casi è mancato il lancio del guanto, l'accendersi della miccia, insomma: uno sguardo, una parola, un gesto di complicità da parte mia. Quindi sai che palle.
E per i due "dentiera felix" subentra pure un certo avvilimento. Com'è che esemplari di specie così diversa mi ritengano partner papabile?  Poi un'occhiatina allo specchio, stamattina, ha dato la risposta. Panzotta aggettante, palpebra appesantita, capello tritinta (castano fulvo naturale, aperol o pel di carota, bianco stanco). Fine dei dubbi: mi ritengono papabile perché sono entrata nella loro fascia erotica. Che poi io non mi ci ritrovi ancora, questo è un problema mio.
...Sto meditando, seriamente, una dieta feroce e un botulino party, tanto per rimandare un poco la bevuta dell'amaro calice.

28 agosto 2012

"Condotto in climi orrendi..."

Questa poi. Premessa, succinta. Sono al mare, siamo al mare, con la Ari. Da una settimana (ma solo oggi mi sono recata all'urbe più vicina per comprare una chiavetta e collegarmi. Che qui nel "pagus" non se ne rintracciavano). Da una settimana, la sera, sola soletta a fare la guardia alla settenne dormiente mi sollazzo con letture amene. "Le mie prigioni" del buon vecchio Pellico nazionale, in questi dorati arresti domiciliari cadono a pennello. Sono al punto in cui dopo la permanenza a Milano, il nostro viene trasferito a Venezia, ai Piombi. Dopo la sentenza, atterrito apprende che lo trasferiranno allo Spielberg. E così commenta: "Essere costretto da sventura ad abbandonare la Patria è sempre doloroso, ma abbandonarla incatenato, condotto in climi orrendi, destinato a languire per anni tra sgherri è cosa sì straziante che non v'ha termini per accennarla!"
Ora. Il buon Silvio ci aveva testè descritto il martirio del caldo e dei miasmi e dei nugoli di zanzare che gli s'appiccicavano al corpo giorno e notte. A Venezia. Ma peggio di così, climaticamente parlando, cosa poteva mai aspettarsi in Moravia?
Eh, il classico vecchio luogo comune del clima salubre di casetta nostra...duro a morire!
 

17 agosto 2012

Bagno Bemi.




A Luglio sono passata in Versilia a trovare mia zia, e in quell'occasione mi sono ritrovata al bagno dove andavo da piccola. Bagno Bemi. Stessa insegna, con il carattere a palloncino degli anni '70, stesse cabine azzurre, stesso odore nelle cabine. Un misto tra effluvi di legno, di salsedine e di vernice, quelle con base oleosa, che per recuperare i pennelli occorre l'acqua ragia, per intenderci.

Un odore che mi ha riportato con prepotenza alle estati della mia infanzia. Nella cabina dove provvedevo a cambiarmi, complice la memoria olfattiva, mi sono ritrovata bambina, con mia cugina accanto -il suo corpo adolescente, ambrato, prorompente, dal profumo penetrante - che mi diceva: "controlla che nessuno sta spiando, lì, dove c'è il buco". Tra un'asse bianca e quella azzurra c'era una fessura e oltre la fessura, effettivamente, un occhio spalancato.

Effettivamente qualcuno spiava.

E' che a volte mia cugina si arrabbiava, e con la mano chiudeva la fessura, a volte invece si divertiva a provocare. Nuda, si prendeva i seni pieni, alti e sodi tra le palme e li faceva saltare come due caprioli...la sua risata roca e profonda accompagnava il numero da streap tease. Forse per quello l'occhio, la volta che lo spiai a spiare, si ostinava a fissare nella cabina, malgrado fosse stato "sgamato".

Il ricordo era così vivo che mi sono ritrovata a cercare la fessura, che non c'era. Ovvio. Poi il bagno Bemi è molto più di allora un luogo per famiglie. tanti bimbi, molti vecchi, qualche mamma post gravidanza, pochi papà, nessun giovane, estendendo la qualifica anche, come si usa ora, ai quarantenni.

O forse lo era anche allora, un bagno per famiglie, ma allora le maglie dei controlli sugli adolescenti erano più lasse, le mamme inamovibili dai loro ombrelloni e i padri, meno gravati di impegni familiari e facilitati dalla congiuntura economica ad accumulare ricchezza, più liberi di provare la loro versione di "amici miei".

Uscita dalla cabina, mi avvicino all'ombrellone e incontro un viso noto. "Ciao!", mi fa. Rispondo cordiale, ma poi metto a fuoco. Certo! Quella stronza della Monica! Un paio d'anni più di me, ricciolina, capricciosa e scostante. Si divertiva a darmi appuntamenti e ad invitarmi a giocare con lei e le sue amichette per poi darmi buca. Sempre a ridicolizzare quello che dicevo, forte della maggiore età e della posizione al comando della sua piccola gang.

Devo aver cambiato espressione perchè lei mi restituisce uno sguardo perplesso. Oggi quella stronza della Monica è una signora di 50anni, un bel fisico malgrado le plurime gravidanze. Ha i tratti tirati, causa le notti insonni ad assistere prima il padre, poi la madre anziana...Mia cugina non c'è più, morta giovane, lei e la sua risata roca, inimitabile. La vita ci rende tutti uguali, penso, come i ciottoli sulla rena del mare. Di provenienza diversa, sotto il lavorio delle onde si levigano, si riducono ad una misura sola. Così che a vederli sembrano tutti della stessa provenienza.

E' sui ciottoli della rena del bagno Bemi che una mia parente ritrae con la sua bic, dal suo ombrellone le persone al mare. Ogni ciottolo un ritratto.

Un bel gesto, per restituire un' identità ad ogni ciottolo...
Ad ognuno di noi? 



14 agosto 2012

Benvenuto tra noi, Ino!

E'il 53°. O almeno penso...che contare i grandi è facile, i piccoli più difficile che migrano facilmente da una casa dei nonni all'altra. Noi di case dei nonni, per ora, con stanze dedicate ai nipoti ne abbiamo due. In Italia "la stanza del figlio" spesso resta uno spazio cristallizzato nel tempo. Non che venga murata, come facevano i Tuareg quando si sposavano, con la stanza della prima notte. Andava così: dopo la prima notte veniva chiusa e mai più utilizzata. Sorgeva nella parte centrale della casa, accanto al luogo di consumo dei pasti, il tinello via!, sempre sotto gli occhi del clan familiare. Come il centro della ruota, un punto virtuale, intorno al quale gira tutto il sistema...

Ino

Le stanze dei figli in Italia, dopo che questi sono adulti e via di casa, passano un periodo di utilizzo a singhiozzo da parte degli stessi,  o magari da parte di qualche ospite...poi rinascono a nuova vita con l'arrivo dei nipoti. Il lay out si rinfresca un po', di solito per giustapposizione di carabattole; nell'armadio insieme ai cappotti passati trovano posto i vestitini; le Barbie vecchie di 20 anni e passa, con i capelli tagliati rozzamente e strinati e le orecchie grigie di polvere, siedono accanto alle nuove, modello escort, e tra loro, sono certa, le criticano rimpiangendo i bei vecchi tempi e la meglio gioventù di una volta.

Nella stanza di noi tre sorelle, ex stanza di noi tre sorelle, uno stanzone con due finestre di cui una sovradimensionata - tirava sempre un'arietta!- da qualche anno troneggia un castello in plastica di gran formato, con tanto di torretta, scivolo, fire-place, portone d'ingresso. Per una cosa così, all'età di mia figlia, avrei dato tutto. Ma quando ero piccola io mio padre trovava "immorale" spendere troppi soldi per i regali dei bambini. Niente casa della Barbie, ordunque, e quando chiesi una bambola antica con le parti esposte in porcellana, mi rifilarono la riproduzione della Marisa Berenson di Barry Lindon...in plastica e boccoloni color rame in puro nylon 100%.

Però avevo anch'io la passione di mia figlia. Collezionare peluches. E di quelli  ne avevo tanti. E li volevo ogni notte con me, tutti nel letto e mia madre doveva rimboccare bene le coperte per contenerli,,, "Prenderai le pulci...", mi diceva. Le pulci non le presi, le pulci snobbano l'acrilico, però forse parte delle mie numerose allergie nascono da lì...

Amavo i peluches, li amo meno da quando devo provvedere a quelli di Ari. Che la sua sembra una passione senza limiti. "Ino", così si chiama il panda della foto è stato acquistato in un negozio del mercato equo e solidale, dove sono entrata per comprare il caffè. Niente l'aveva allettata in edicola, che non è facile con tutte le offerte che ci sono per i bimbi e le bimbe al giorno d'oggi! Lì invece, al negozio dell'equo, ha visto "Ino" e con motivazioni arzigogolate, ma inoppugnabili per una settenne mi ha fatto scucire il contante necessario (2.50€, no non mi sono svenata)..."Panda ha bisogno di compagnia!" - Panda è alto 80 cm, Ino 3, Panda ha già una amichetta Panda che si chiama Giovanna, se ben ricordo, ed è in ottimi rapporti d'amicizia con Trogly, il mammuth comprato al museo di Neanderthal- "Lo pulirò ogni sera mamma, con il mio spazzolino -argh!- ti prego mamma, ti supplico, ti scongiuro!"

E così, abbiam pure Ino. Che si chiama così per via del velo di Ino, dall' Odissea, letta in pillole alla Ari nella versione di Geronimo Stilton. Dove Ulisse è un topastro moro, con coda nerboruta e Penelope una topina dall'aria soave. Più della storia l'hanno colpita i nomi: "Che brutti mamma, Pe-ne-lo-pe, Te-le-ma co, sembrano i nomi, non so di una roba come di un telefono!..."

Beh, non ha tutti torti, ho pensato. Passi per Elena, Calipso, Circe...ma Antino.o?! Nausica.a? e poi "Feaci", "Scheria", "Proci". Sgraziati assai. Ino poi in realtà era una dea. Ma...nessuno è perfetto.






Insegna invitante.


Standing ovation.

12 agosto 2012

Il Grande Gatsby come Little Tony.

All'ultimo book crossing ho pescato un'edizione pocket del capolavoro di F.S. Fitzgerald. E me lo sono riletto, che quest'estate va così. Dopo L'Educazione Sentimentale e dopo Anna Karenina, cui va il mio personale Palmares per l'incip più intrigante e al passo con i tempi. Con tutti i tempi:
"Tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a suo modo"
...(scopro testè su google che non sono originale. Già nel 2010 era citato tra i migliori incipit della letteratura di tutti i tempi, fonte: Wordpress)

Bene, l'incipit di The Great Gatsby  nella traduzione della Great Fernanda* è il seguente:
"Negli anni più vulnerabili della mia giovinezza, mio padre mi diede un consiglio che non mi è mai più uscito di mente: Quando ti viene voglia di criticare qualcuno, ricordati che non tutti a questo mondo hanno i vantaggi che hai avuto tu".
Che all'inizio colpisce positivamente...Adesso riscrivendolo, e dopo aver riletto il tutto, suona pure buona per un  personaggio di Verdone: "Magda, ricordalo ad Antongiulio, che non tutti hanno avuto i vantaggi che ha avuto lui, capito Magdaaa!

* Fernanda Pivano, una grande davvero.

Il terzo ripescaggio dell'estate perplette. E assai. Ricordo che mi piaceva. O forse mi piaceva perchè avevo una cotta romantica per quel bel figaccione di Scott che, fortuna, illumina con un convincente primo piano di profilo in b/n anche questa edizione economica Mondadori.

Ecco un paio di passaggi dal libro, forse rendono l'idea del mio spiazzamento:

(A uno dei lussuosi ricevimenti di G.G.)
Mi guardai intorno: quasi tutte le donne rimaste litigavano con uomini che si diceva fossero i mariti...Uno degli uomini parlava con intensità a una giovane attrice e la moglie, dopo aver tentato di affrontare la situazione con un sorriso dignitoso e indifferente, ebbe un collasso e decise di ricorrere ad attacchi latrali: gli compariva improvvisamente davanti a intervalli come un diamante sprizzante collera e gli sibilava all'orecchio:"L'hai giurato".
(perchè si diceva fossero i mariti, e se anche non si diceva? la donna ebbe un collasso? diamante sprizzante collera? Boh! Ma quanto dura la conversazione del tale con l'attrice mentre la moglie prima sorride, poi ha un collasso, poi decide di ripresentarsi ecc,ecc?)

(Incontro tra Daisy, Gatsby e il marito di lei, Tom)
"Chi vuole andare in città?" Chiese Daisy con insistenza, Gli occhi di Gatsby volarono verso di lei. "Ah" esclamò. "Come sembri fresco."
I loro occhi si incontrarono e rimasero a fissarsi soli nel vuoto..."Hai sempre un'aria così fresca" ripetè. Gli aveva detto che lo amava e Tom se ne accorse. Fu sbalordito.
("Fresco" è un complimento per un uomo? O è una frase in codice per suggerire che lei lo amava? Oppure è lo sguardo "soli nel vuoto" a dare quel significato a 'sta frase da escort sciroppata? Boh...lo dicevo che perplette...)

(Dialogo tra Nick e Gatsby)
"Daisy ha una voce indiscreta" dissi. "E' piena di..." Esitai." Ha una voce piena di monete" Disse Gatsby improvvisamente. Era proprio così. Non l'avevo mai capito prima.
(Una voce indiscreta è piena di monete? Ma che c'azzecca?)

E via di questo passo, fino alla tragedia finale che però non fa piangere nessuno.

Prima di quella c'è agio di scoprire come ci si combinava per andare alle cene galanti nella east coast del 1915: Comincia la sfilata il cantagallo del libro, Nick. Quell'essere discreto che tramanda ai posteri tutti i cazzacci di Gatsby, senza giudicare niente e nessuno come gli ha insegnato papà negli anni vulnerabili (see, va là, va là...)
 "Vestito di flanella bianca feci la traversata dal mio al suo prato..."  Flanella, bianca. In pigiama praticamente.
E queste, invece, sono un paio di tenutine del grande Gatsby:
"Un'ora dopo si aprì nervosamente il portone e Gatsby vestito di flanella bianca con la camicia color argento e la cravatta color oro entrò di corsa."
"Gatsby si fermò.Quel suo vestito rosa sgargiante creava una macchia vivace di colore sui gradini bianchi..."

Camicia argento, cravatta oro? Smoking rosa sgargiante? E noi che abbiamo sempre pensato che Little Tony fosse un tamarro.

11 agosto 2012

Dubbio da emigrante.

Nel libro dell'autrice svedese, la Ekman, quando la protagonista intravede farsi la barba il ceffo che sarà suo marito, lo descrive così: "Lei era contenta che non si fosse accorto della sua presenza perchè stava a torso nudo. Nel'aria fredda della sera. Sembra proprio uno di quei venditori ambulanti di trappole per topi, pensò Hillevi. Un italiano. E la cinghia dei pantaloni era stretta al massimo intorno alla vita sottile. La parte libera penzolava e dondolava..."
Ora, a parte l'attenta ricostruzione del look nazional popolare, che è giunto indenne fino a noi e furoreggia di estate in estate in tutto il suo virile fulgore... (domani mattina avrò un vis à vis coi miei vicini di casa TUTTI così acconciati)...E va bene che in Penisola si pativa la fame...ma tanto da arrampicarsi fino a Uppsala, in Svezia, a fare gli ambulanti per vendere trappole per topi?

10 agosto 2012

Questo è per Reiner.

Che ho imparato di più dei tedeschi e della Germania in quei pochi incontri con lui che in 4 anni di soggiorno in Germania. Reiner V. l'ho incontrato per caso, cercando casa, la terza  a Dusseldorf. Essendo la terza esperienza di ricerca case, mi sono affidata con fiducia al giornale locale, all'inserto del sabato, se ben ricordo il giorno, ricco di annunci von Privat, senza foto, intermediari e indirizzi Internet. Solo l'indirizzo reale e la data dell' appuntamento, collettivo, ad ora fissata.

Quello dove ho incontrato Reiner V. era, appunto, un appartamento scovato tramite questi annunci. Una bella casa Atbau, dagli alti soffitti in una zona storica di Ddorf, Burgmuller Str. Mi piacque subito. L'appartamento, intendo. La luce autunnale filtrava dalle ampie finestre verticali del soggiorno, una rarità che di solito sono orizzontali, drappeggiando un impapabile mantello dorato intorno ad una distinta signora altezzosamente seduta sulla poltrona; del tutto intenzionata a starsene così, almeno apparentemente, per l'eternità. Simbolo in carne e ossa della meritata pace domestica.

Il Reiner dal sorriso accogliente e dignitoso era il padrone di casa, meglio, l'affittuario in procinto di lasciare l'appartamento per una nuova magione.

L'appartamento era perfetto, nella zona perfetta della città. Costava un po'oltre le aspettative, ma visto che me n'ero innamorata sollecitai sovvenzioni familiari. Si sa che per la casa dei figlioli i genitori italiani sono malleabili.
...Invece non se ne fece nulla. No, non che la famiglia rifiutò la sovvenzione, anzi. C'era un'altra coppia in lizza, senza figli e "autoctona" cosa che a parità di solvibilità, li avvantaggiava. E poi che dico! Neanderthal proprio non ne voleva sapere!
- Si chiama Neanderthal mica per nulla, a lui basterebbe una caverna con un paio di letti a castello che c'è spazio pure per gli ospiti, figurati se è sensibile all'appeal di un appartamento Altbau dalle pareti candide e la luce morbida...
Adesso scrivo così, con leggerezza, ma piansi calde lacrime per la rabbia e il rammarico di non poterci abitare...
Poi un nuovo appartamento e una vita da organizzarci intorno richiesero tutte le energie, rimboccai le maniche e inghiottii le lacrime.

Con Reiner ci messaggiammo per un po' di tempo, cose tipo: "Mi spiace, eh anche a me, però non era detto che sarebbe stata vostra, eh lo so appunto, è stato comunque un piacere incontrarci, molto anche per me, arrivederci, arrivederci..." Poi le comunicazioni si spensero.

Ma alla fine c'incontrammo,"per fatal combinazion, perché insieme riparammo dalla pioggia in un porton..."
Così, papale papale. Pioveva, in Altstadt, non avevo l'ombrello, corsi sotto l'androne di un portone. Mi voltai e c'era un signore, accanto a me, il signore si voltò verso di me ed era ...Reiner. Un incontro fortuito e simpatico. In attesa che spiovesse, non ricordo se lui o io, lanciammo l'idea di incontrarci per bere un caffè, un caffè italiano, in un locale dove lo facevano propriamente.

Sembrava cosa fatta, invece il tempo passò, che non sa fare nulla di così bene, e ci perdemmo di nuovo di vista. E ancora, una sera ci ritrovammo, di nuovo senza preavviso, quasi vis à vis, ad una cena da Mercurio, un'associazione professionale italo -tedesca.

Da allora ci siamo incontrati per il famoso caffè quattro o cinque volte.Sempre con congruo anticipo, che Reiner è un avvocato molto impegnato, sempre in centro, sempre per un'oretta e sempre ad ora...caffè. Le 11 o le 14, al massimo.

Argomenti di conversazione con Reiner: suppellettili di casa sua che io ricordavo benissimo nella loro esatta collocazione; il denaro e la sua importanza nella vita e nelle relazioni: l'educazione dei ragazzi; la guerra mondiale, la seconda; viaggi e vacanze. Soprattutto si parlava di soldi e non ne ho mai parlato così serenamente con nessuno.
E' stato quasi liberatorio. I soldi nelle parole di Reiner apparivano come semplici portatori di opportunità e dignità.

A Reiner devo qualcosa per la conoscenza del mondo tedesco. A volte, se c'era tempo, ci accompagnavamo per riprendere la bici-la mia o l'auto -la sua. Un giorno in particolare arrivammo ad un passaggio pedonale. C'era l'alt, ma io sapevo che quella strada era chiusa al traffico veicolare, causa lavori per la nuova metropolitana, così feci per attraversare le strisce. Stavo per spiccare il passo quando sentii un tocco leggero sulla spalla.Una lieve stretta, quasi un impulso, con il pollice e l'indice
Fermi tutti! Il Reiner mi aveva toccato. E siccome non l'aveva mai fatto, e mai più lo fece, mi paralizzai immediatamente. Il mio sguardo interrogativo sollecitò la spiegazione, a bassa voce, all'orecchio...Vedi chi c'è dall'altra parte? Quattro o cinque persone stavano pazientemente aspettando il verde, uhm...non capivo, vedi che c'è una signora in bicicletta? Si...E dietro di lei un bimbo, in bici che la segue...Ah, sì!...Ecco, lei starà insegnando al bimbo a seguire le regole della strada. E noi l'aiutiamo.

In un attimo mi parve che davvero tutti, tra quelli della rive gauche e quelli della rive droite di quella maledetta strada senza macchine, tutti davvero avessero avuto lo stesso pensiero di Reiner e, per questo si erano bloccati. Tutti, tranne me. L'italiana gaglioffa.

Sono arrossita fino alla radice dei capelli, per la seconda volta nella mia vita.

Grazie Reiner, per il caffè.





9 agosto 2012

Anche le nordiche lo vogliono azzurro.

Eh, sotto sotto...tutte uguali siamo. Chi crede che le donne oltralpe, tedesche certo, ma pure scandinave abbiano in mente un modello maschile differente dal solito standard, vista la loro prestanza fisica e la capacità di fare tutto da sole, beh, si sbaglia di grosso.

Anzi. Si fa appello ad un modello, sempre sia possibile, ancora più utopico del Principe Azzurro, modello archetipo semplice, semplice. Prevede infatti "solo" una donna di classe sociale inferiore - il copione di solito impone una tapina caduta in disgrazia ma che possa vantare acconci natali- dotata di grazia e bellezza, da una parte. Dall'altra un principe, o equipollente, economicamente ben strutturato, in scacco psicologico con la figura genitoriale e quindi sensibile a una donna che gli restituisca, almen lei, un'immagine "premiante".

Con questi semplici ingredienti si confezionano frittate letterarie, più o meno riuscite, dal 3000 a.C.

Ora veniamo a noi. Lo schema di cui sopra oggi subisce nuovi radicali interventi. Ma sotto sotto...azzurro ci cova.
Gli interventi correttivi rispetto alla tradizione: alla voce pulzella, basta con la dolcezza melassosa, l'atteggiamento speranzoso e rassegnato, la vocina flebile, lo sguardo innocente e sottomesso. Cenerentola up to date è testosteronica. Volitiva, capace, caparbia. Sfida il destino e la vita. Il volto è serio e l'espressione determinata. Resta bella, via, diciamo almeno un tipo. Magra è SEMPRE magra.Magra lo era anche Cenerentola, per patimento e per evitare malintesi mostrando un corpo troppo prosperoso. Le nuove eroine lo sono ...perchè sono eroi!

Le nuove Cenerentole non arrivano vergini all'altare dell'amore, ma arrapate come valchirie (e le aspettative prestazionali schizzano alle stelle) e sono pure ambiziosette assai. Cenerentola, al contrario, aveva l'aria poco esigente su tutti i fronti...un bacetto, una bottarella riproduttiva, la grembialina nuova, una gabbietta comoda per gli amici uccellini e via giuliva a canticchiare canzoncine con le rime...

Restano invece, della Cenerentola che fu: la conflittualità con le altre donne, anche le nuove si comportano con le consessuate come belve contro belve; la scelta del campione premiante o maschio alfa che dir si voglia; l'aspirazione al salto sociale attraverso l'impegolamento del principe che le solleva, oggi come ieri,di ogni preoccupazione economica, ça va sans dire...

Tutte frottole? Varda qui per esempio, Kerstin Ekman, svedese, autrice de "La voce del Torrente". Il libro è del 2000 ma la storia è ambientata nel 1916 in Svezia. Hillevi fa la levatrice e per seguire il suo amante segreto e futuro marito, un pastore luterano, lascia Uppsala e si arrampica nello sperduto paesetto lappone di Roback. Il pastore è timido e titubante, e la Hillevi dopo un paio di rusatelle poco sapide lo molla lì per il ben più virile mercante del villaggio che parla poco ma...

Il personaggio ha dell'incredibile. E', fin dal primo apparire, descritto nei suoi attributi più maschili, buon cacciatore, odore pungente, muscoli sodi, vello scuro ("sembrava un italiano"), voce profonda e grave, ottima manualità, capacità di reggere l'alcool, intraprendenza e destrezza erotica...Lui approfitta di una festa collettiva, agguanta la levatrice, se la porta sotto le fresche frasche e...vai con il tagadà.

L'autrice tiene subito a sottolineare quanto il nostro sia differente dal timido pastore, dalle natiche fredde, in durata e fantasia amatoria...

Il mercante però non è solo l'Holmes di Roback... Nooo, bada ben è dolcissimo e premuroso e pensa a tutto lui PURE A CUCINARE e quando la Hillevi lo avvisa che la gran abbuffata sotto le stelle ha lasciato qualcosa nella pancina, LE LASCIA LIBERA SCELTA tra il matrimonio riparatore, quando e quanto vuole lei e l'aborto qualora lo ritenesse opportuno. Il mercante è ricco e stimato, scopa come un riccio ed è FEDELISSIMO...a conti fatti, la ragazza concede la sua mano, callosetta e dalle unghie tagliate corte per via della professione. E lui tocca il cielo con un dito. Ovvio.

Vabbeh, raccontata così il gioco è fin troppo palese, nella prosa letteraria, 410 pagine di artifici retorici, è un po' più tra le righe...ma il concetto di cui sopra è chiaro. Neanche il Principe Azzurro basta più come una volta, quello d'antan in fondo ci metteva poco più del distintivo, e aveva una moglie dedita e riconoscente. Oltre che di bellezza angelica. Adesso deve fare dei numeri da dio greco per ottenere i favori di banali ragazzotte in carriera, pure un pò legnosette e decisamente pretenziose...

Vedi anche: La Papessa di  Donna Woolfolk Cross...

8 agosto 2012

Eh, l'amore sì l'amore.

Io sono orfana. E mio papà è vedovo. Non si sa come se la caverà,. Tutto troppo recente, e lui, al contrario, decisamente "up". Però qualche pulsione da riconfigurazione "single" la sta dimostrando. Ieri mi ha fatto assaggiare un piatto che ha definito testualmente "una delle sue nuove sperimentazioni". Patate e zucchine e cipollotto soffritto, mica cucina molecolare! Ma è la presentazione che conta.
E, sempre ieri, qualcuno, anzi qualcuna lo ha chiamato, al telefono.
Il tono di voce iniziale di mio padre era sorpreso. Poi composto, come trattenuto, ma, nel corso della telefonata si è fatto via via più rilassato, fluido. Pure qualche risatina, ammiccamenti; la chiusa mi ha stupito. Calda, partecipe. Vera.
E durante tutta la durata della conversazione non ha mai chiesto all'interlocutrice "come era il tempo lì"...Il che, per chi conosce bene mio padre, è un indizio assai sospetto.