Autunno

Autunno
E' un tramonto italiano ma a me ricorda Ddorf.

8 novembre 2013

Ich gehe mit meiner Laterne und meine Laterne mit mir...


Chissà perché non ho ricordi dell'estate. La prima estate in Germania. Solo dell'autunno. Sarà che ad agosto, era agosto quando siamo arrivate, l'estate è finita o sta finendo a Ddorf.
Come sia, il primo autunno invece lo ricordo bene.
E soprattutto ricordo il mio primo San Martin. Ci spiegano al Kiga di Ari che si festeggia San Martin...meglio, non spiegano nulla, ci ritroviamo un bel dì a seguire una piccola processione tra i frustoli di verde e parco stretti tra la tangenziale e la collina buia della foresta demaniale della città.
Davanti due trombette e un tamburo, dietro bimbe e bimbi e genitori e insegnanti, silenziosi e compunti, e infine la macchina della polizia, a passo d'uomo, con le spie luminose accese.
Si parte. Pioviggina. Nessuno fa un plissè. “San Martin, Saan Martin”...i bimbi belano, a fil di voce, canzoncine meste, le maestre canticchiano, a fil di voce, le stesse canzoncine meste, le trombe straziano, il tamburo lacera i timpani, tump, tump,
“Che è successo a San Martin?” Chiede la mia cucciola preoccupata, allora neppure treenne.
Eh, che è successo... cose brutte, che i santi morivano male una volta...
Sto inventando. In realtà di San Martino ho dei ricordi di un ragazzone sano, tirato a lucido, sul suo cavallo, che preso da improvviso raptus di generosità dona il suo mantello, anzi una parte del suo mantello, ad un anziano mendicante. 
Già...che lì per lì non rinuncia a impressionare il vecchio e le folle - qualcuno deve pur averlo visto per tramandarne le gesta- e zac! Ne taglia un lembo con la sua bella spada.
Uhm...e se il tutto fosse partito da lì? Dall'esigenza tracotante di provare il taglio dello spadone sulla flanellona color porpora, per provare se era davvero micidiale come gli aveva assicurato il fabbro: “la provi, taglia come un grissino il tonno!”.
Però, via, non so nulla del dopo, che magari a seguito di una qualche delusione amorosa, il tapino si è rivolto al cristianesimo e si è impelagato in qualche gruppo catacombaro, rimettendoci poi le penne nei modi folkloristici e truculenti che si usavan allora.
Del resto il corteo e le musiche sono così lugubri da lasciare poco adito a dubbi...morto male, deve essere morto male.
Finalmente finisce, i genitori e i bimbi sono visibilmente sollevati dall'idea di non dover più esibirsi, rientriamo nel piazzale del Kiga e lì si distribuiscono dolcetti e affini...Ah. Dolcetti. Chiedo del perché dei dolcetti e mi si dice che a) è usanza per questa allegra tradizione renana! 
b) la commemorazione riguarda proprio l'episodio del mantello. San Martin è morto bene. Almen lui.

Però. Penso, vedi mo' che atmosfera diversa, per un evento collettivo lieto, o che dovrebbe essere tale...tutto si svolge in silenzio. Questo penso mentre la macchina della polizia vede bene di innestare la sirena, andando in strada e ci lascia tutti lì. Sotto l'acqua. Fradici. Sul piazzale nero e bagnato di pioggia a biascicar dolcetti.  

31 ottobre 2013

Il vento fa il suo giro. A casa del moroso vecchio.

Ciolghilo, ciolghilo...
Lo ciolgo, siora, lo ciolgo. Le rispondo in veneto reinventato. Ora come allora. Ora come allora sono nella cucina, mentre mi verso il caffè dalla caffettiera piccola; il tavolo rotondo, le pentole in rame appese, l'orologio, alla finestra la vista sulle viti, ormai quasi spoglie di foglie.
Non vi hanno costruito case qui fuori, fortunati.
Sì semo fortunadi. I dise...
La collezione di caffettiere, pulitissime, compongono una piccola San Giminiano, nel pensile a giorno, davanti al piano del gas dove mi sto versando il caffè -ha cambiato le tazzine, preferivo le vecchie, avevano le pareti più sottili.
Lo sguardo dalla tazzina bollente va ora all'angolo sinistro del piano. Lì c'era sempre un piatto, coperto da un tovagliolo spesso. Palacinche, fette di strudel dalla pasta grossa. Ecco cosa mi aspettava. Sotto quel tovagliolo. Adesso non c'è nessun piatto. Solo scatole bianche di medicine con la striscia del logo colorata. Compongono un domino infantile, sembra, se uno le guarda da lontano, incuriosito dalla forma regolare degli involucri.
Sono in questa cucina silenziosa. Ancora qui.
Aspettiamo la Manu. Poi vado.
Sì, spera qui che le farà piaser.
Aspetto.
Aspetta.
E intanto parliamo delle persone che ci hanno accompagnato. Una lista di morti. C'è un momento della vita che ti tocca parlare di chi non c'è più, condividere le morti di persone care con persone care. Questo momento è arrivato. Meglio viverlo che evitarlo. Come tanti altri momenti ineluttabili della vita. Che è così. Se certi passaggi li eviti, a parte averci il fisico per farlo, poi è come se ci ritornassi sempre. Chi non ha avuto figli sembra non pensare ad altro. Chi è restato all'adolescenza sembra non tentare altro che lasciarla.
Così noi si parla dei morti. Di quello che ci ricordiamo di loro. Si rievoca la Dari, lo Stanco. Il Vladi invece c'è. Il Vladi mi era sempre sembrato più acuto. O forse solo più duttile.
Poi la nonna. La mitica nonna. “Voglio la ricetta del Gulash.”
Ecco me che chiedo perentoriamente, come fosse diritto acquisito, una ricetta della nonna. E' che proprio in quel momento le mie papille gustative hanno avuto un'impennata memoriale. Si ricordano esattamente il sapore degli gnocchi al Gulash che assaporavano qui, in questa casa, in questa cucina, negli stessi piatti ci scommetto, 20 anni fa. 25 anni fa.
E' arrivata la Manu, baci e bacetti, ma io non demordo. E pretendo carta e penna per gli appunti mentre la siora sciorina gli ingredienti del Gulash. Tra questi l'ingrediente segreto. Non si ricorda subito il nome, ma ha ancora il barattolo dove lo conserva seccato. Maggiorana. Sì, è lei. Tanta. Se ne deve mettere tanta. E a metà cottura, che il sugo prenda bene. Per una frazione d'oro, il tempo sembra essersi fermato. Io rido, lei ride, ridiamo. Maggiorana! Ecco che sera!
Se podria far insieme, 'na volta.
Certo!
Poi si rabbuia.
Non ha più appetito. E questo la costerna più di ogni altra cosa del bruto mal che le hanno scoperto, nella pancia.
Ma mi non chiedo saver.
E io neppure vorrei sapere.
La mancanza d'appetito. Più dei capelli, radi sulla bella testa, più del colorito pallido del viso e dei cali di memoria. E' questo che le dà il senso del distacco da quella che era prima. Per il resto...per il resto è lei, la figura alta, dritta, dalle ossa forti, le mani grandi, lei che vaga per la cucina accavallando le cose da fare.
Gli occhi chiari da bionda che rimbalzano rapidi da una parte all'altra e che peccato che nessuno dei tre figli abbia preso i suoi oci ciari da bionda naturale.
Via è tempo. E' tempo di lasciare il tempo che si è fermato. Anche se sono già a tavola le due si alzano per seguirmi all'uscita. Mi assistono mentre lascio il parcheggio sotto casa. E mi salutano dalla porta d'ingresso e dalla finestra, con la mano.
Hanno lo stesso gesto, quando salutano, la madre e la figlia.

Non lo avevo mai notato.  

21 ottobre 2013

Largo ai Glücksbringer!

Uhm...Mica tanto vero. Che l'Italia è più superstiziosa della Germania. Non è stato così per il passato e, a detta di molti, non lo è per il presente. 
La riflessione nasce da un gatto nero che attraversa la strada. E da qualcuno che, non credendo, precauzionalmente si ferma. Io, segnatamente. 
Un'amica commenta: da quando sono in Germania ho dimenticato tutti i nostri gesti anti-iella. Gettare il sale a parte...
Il sale in Germania non porta né bene né male. Il gatto nero porta male. Passare sotto una scala porta male. Così come, a revers lato fortuna portano bene, lì come qui: i quadrifogli, le coccinelle, i ferri di cavallo. 
Pure la monetina, le 5 lire vecchie in Italia, il pfennig - Glueckpfennig, in Germania.
Poi ci sono alcune differenze. Si tocca legno - auf Holz klopfen- e non il ferro per scacciare un pensiero molesto o la scarica di sfortuna. Il venerdì da evitare è il 13. Il 17 invece non se lo fila nessuno. 
Sui gesti apotropaici, scacciaguai, c'è una lunga tradizione. Si tirano le orecchie, per mimare la "levata di capo", ma non durante i Compleanni...
Si stringono forte forte i pollici nei palmi, il dito medio eretto è ubiquo, niente corna però, e sul gesto dell'ombrello ci sono versioni contrastanti. 
Secondo qualcuno è relativamente diffuso per influsso degli italiani. 
Una differenza importante, con conseguenze rilevantissime nella vita di tutti i giorni è quella che riguarda i cocci. Da noi rompere uno specchio sono 7 anni di guai. In Germania, invece, Scherben bringen glück, i cocci portano fortuna. E per questo infestano ogni angolo di città, parco, fiume, e la rottura delle bottiglie in mille cocci celebra qualsiasi festa popolare degna di questo nome.
Quante gomme di biciclette squarciate e ginocchia di bimbi tagliate, in nome della superstizione! 

13 ottobre 2013

Sembra tutto un sogno.



E a ripensarci, adesso faccio quasi fatica a dire che è stato tutto vero. Un pezzo di vita vera. Io a Duesseldorf. L'Autunno, le giornate plumbee, l'aria pungente, il neon azzurro della T.Com alla finestra e quello rosso, Mediamarkt, sulla strada. L'asfalto bagnato, sempre bagnato, la bicicletta fedele posteggiata al palo della luce, all'angolo con Gerthsstrasse. 
La Ari da portare all'asilo, la mattina, a volte in macchina, a volte a piedi; il nostro percorso, pieno di foglie colorate, d'Autunno. Gli alberi elefante, il parchetto giochi, il tennis, i becchi delle oche, arancioni che sbucano dal telo blu, e starnazzano, il sentiero umido e scivoloso, il Dussel che scorre rapido sotto di noi, l'erba fradicia. La spesa al bio della scuola poi il rientro, da sola, a volte correndo, per l'Ostpark. La solitudine, d'Autunno. 
Anche, la solitudine.
Eppoi invece l'abitudine, a quel silenzio ovattato tra le persone, le cose, i fatti, i luoghi...è stato, ad un certo punto dell'esperienza di espatrio, come muoversi in una specie di zona protetta, che si allarga intorno al tuo corpo, creando una barriera di rispetto. Si ha la sensazione di essere invulnerabili, lì dentro. E di scivolare nel mondo esterno, più che esserci. Sensazioni da expat, appunto. E non sono durate pure molto. Ma il ricordo è vivido. 
La sofferenza spesso dura poco, ma ha un potere penetrativo nella nostra memoria incredibile. Il perché sarà legato all'istinto di sopravvivenza. Però. ora che le nostre esistenze sono in balia di sistemi sanitari e di altri che c'assistono e non di belve feroci ed eventi naturali imprevedibili, ora che non c'aggiriamo nella jungla schivando serpenti e piante velenose, potrebbe essere un pochetto meno incisiva, la sofferenza? 
Che poi. Che poi, tornando a Ddorf, all'Autunno a Ddorf... a ben guardare me la sono spassata pure. E soprattutto negli ultimi due anni mi muovevo con disinvoltura. 
E' bella la sensazione di muoversi per una città che non è la tua come se lo fosse, con la tranquillità che ti deriva dalla conoscenza. I quartieri centrali oramai li battevo palmo a palmo; i negozi; i luoghi riferimento. 
Certe confidenze pericolose, si prendono coi luoghi!
Il parco di notte, per esempio. Da sola anche in Novembre, in bici, la giaccona in goretex, le scarpe con la para, i pantaloni pesanti. Un look da expat matura. Il primo anno non ti vesti così, se non saltuariamente, ma poi... poi diventa una divisa. 
Quelle orrende scarpone da tedesca te le ritrovi ai piedi. E trovi che siano pure comode e...sì, ti piacciono. La macchia sui calzoni... che vuoi che sia. Stirare i vestiti ai bambini... si smette. Che a Ddorf non lo fa proprio nessuno e t'avvedi presto dell'inutilità del gesto. 
E io viaggiavo, con la mia bicicletta. D'Autunno. Di notte. Aspirando l'aria pungente del buio, buio come raramente da noi. Aggiravo la statua delle oche, la casetta delle anatre. E qui, sempre, pensavo "devo portare il pane raffermo". Non me lo sono mai ricordata di portarlo, il sacchetto del pane. In quattro anni. Ecco. Le panchine retroilluminate dal neon. Siamo quasi a metà strada. Mi ci ero pure seduta una volta, la prima, in cerca di calore. E ci ho ricavato solo il sedere bagnato. 
Che tutto è bagnato a Duesseldorf d'Autunno. 

10 ottobre 2013

Sì, scrivo meno.

Come entrare nella casa delle vacanze, dopo il periodo di chiusura. Tutto è familiare, e, insieme, estraneo. L'odore di chiuso o di umido. La tazzina del caffè, chissà perché non la si è notata quando si è varcato l'uscio, abbandonata sul tavolino. La Bialetti, a proposito, la mitica Bialetti...dov'è? Eccola sullo scaffale, chissà se ci siamo ricordati di svuotarla dall'ultima volta che...no. No. 
Il caffè è ammuffito, l'acqua ferma ha reso la caldaietta un ambiente palustre, buono per i girini. E la guarnizione? Andata. Di già, via un'altra. Da quando le fanno in Cina le guarnizioni non tengono proprio più niente. Notato? Le gomme -delle suole, delle guarnizioni, delle borse, borsette, delle giacche, persino degli elastici dei calzini, dei calzoni - da qualche tempo non valgono più nulla. Non resistono. Una volta serbavo le scarpe da tennis intonse della Ari. Per i cuginetti. Ora quando il numero sale, le regalo subito. Non vale la pena tenerle. Appena le metti, dopo un paio d'anni di fermo, si disfano. Letteralmente.

E così anche per il Blog. Questo Blog. Nasceva con contenuti misti, ma legati all'esperienza dell'espatrio, prima. E del rientro in Italia, dopo. Certo, di fatto era un bello zibaldone. ma è la vita che è così. Ci se ne rende conto quando si rileggono le mail, i messaggi inviati e ricevuti in una giornata. C'è di tutto. Con tutte le sfumature emotive legate a quel momento e a quella persona specifica. 
E così era questo Blog. E ora? 
Ora. 
Ora mi siedo sul divano, sposto il lenzuolo messo a suo tempo per proteggerlo. Che bella la vista dalla finestra. Un caffè, ci vorrebbe un caffè. La Bialetti è proprio inutilizzabile? Via, un giro di prova, con tanta miscela, poi si butta e...poi si vede. Magari al secondo giro il caffè è bevibile.
E i contenuti? del Blog, dico. E i contenuti...leghiamoli alla vita e poi vediamo. Si fa un giro di prova, al massimo si butta via qualcosa, il titolo per esempio e poi...e poi si beve. Pardon, si vede.

22 settembre 2013

Dottore, non MI mangia nulla...

"Uhm, per NOI sarebbe meglio al mercoledì, che martedì c'è atletica..."
"...E venerdì? VI va bene?"
"Aspetta che controllo l'orario provvisorio, NOI si è impegnate il lunedì...NOI, via! La Ari. Scusa Ilona, uso il noi proprio da mammette italiane."
"Ah, no, fai bene certo, NOI che sei tu che la devi accompagnare e riprendere, preparare i libri, eccetera.."
Scoppio a ridere. 
Certo, per una tedesca, la Ilona è l'insegnante di tedesco di Ari, quel noi ha un significato operativo. Visto che si occupa la stessa casella nel Termin Kalender si condividono le sorti...
Ma per le mamme italiane la sfumatura è affatto diversa. Il NOI nasce dalla confusione tra mamma e bimbo. Nel senso psicofisico di fusione-con. 
Tutto comincia nella prima infanzia, per ovvie ragioni di gestazione ed esogestazione. 
Poi si prosegue con le pappe, le visite, l'asilo nido. C'è totale sovrapposizione emotiva. Se il bimbo piange la mamma è depressa. Se non mangia, la mamma piange. 
E il "Dottore non MI mangia nulla" è frase idiomatica, sintomatica, di pragmatica.
Liberarsene, da questa-confusione, ci vuole un certo impegno.

16 settembre 2013

Champagne, per brindare a un incontro...

Questo era un periodo nel quale mi sono sentita bella e corteggiata, come mai.
Almeno a quanto ricordo. A quasi 50 anni, e una bella trippetta che me li ricorda tutti qui davanti...mica male.
Chissà. Probabilmente l'estate, la Ari delocalizzata per tempi più prolungati e conseguentemente, la maggiore possibilità di uscire ed incontrare, approfondire. Comunque sia essere corteggiate è bello. E' stato bello.
Da mogli, per i nostri mariti, ad andare bene si diventa trasparenti. O color grigio canna di fucile. Il colore della personificazione dei DOVERI familiari. Mi sto un poco impratichendo con il mondo della rappresentazione maschile. Una donna corrisponde a una aspirazione, a uno stato emotivo, a un riferimento morale...in un certo senso. E' divertente, un poco come giocare a paperdoll. Mi piacevano le bambole di carta. Le cambiavi, ed erano un'altra persona. Ecco, noi per loro personifichiamo aspetti della vita diversi. - E forse per noi è uguale...-
Le loro personificazioni sono semplici e molto identificabili. Quasi macchiettistiche. Così nette che le sovrapposizioni non sono possibili.
I colori vivaci non appartengono alle mogli. Supporti nel concreto, compagne di abitudini, ma non di gioco.
In questo periodo glorioso però, ho riscoperto ruoli meno pubblicizzati di quelli standard – mogli, amanti, figlie- ma divertenti e appaganti per una donna che non cerca per forza erotismo. L'amica confidente (ai tempi c'era, l'Etera), la donna che racconta (presente Sherazade?), la saggia matura, l'aspirazione irraggiungibile...non è vero che gli uomini vogliono sempre sesso. E' vero che per loro il sesso è uno strumento per impadronirsi di qualcosa che desiderano.
Del resto si parla di potenza o impotenza sessuale. Ci arrivo pure io che di psicologia...poi gli psicologi han sempre certe facce da depravati che davvero mi chiedo... 
Via, si divaga. Che poi, lo scopo del post è tutto in quell'”era” dell'incipit.
Era. E ora non è più. Finito come il caldo estivo. Bye-bye!
E' stato bello.

(E questo, il lasciar andare le cose quando non sono più o non devono più essere , è una cosa proprio bella dell'età matura!)

10 settembre 2013

Incontri

La curiosità è l'unico sentimento veramente disinteressato che possiamo provare per l'altro. Non l'ho detta io. Qualcuno, che ora non ricordo. Condivido. Gli incontri casuali con persone che non conosci e mai o raramente avrai occasioni di rincontrare sono tra le cose più belle della vita. Anche in queste "vacanze", una settimana al mare, dolcezza melanconica di settembre, gli incontri sono stati densi.

Uno

Il pittore di marine. In una stanzuccia azzurra, proprio di fronte al mare azzurro, dipinge azzurre marine di quel kitsch, azzurro, senza tempo.

Due
L'uomo con la barba. "Venite a Settembre. Lanciamo ancora i palloni. Come nel '700". L'uomo che ci invita a ritornare ha la barba bianca. I calzoni corti. La camicia a quadri, aperta. Manca un bottone. Con lui una donna grassoccia, coi sandali ai piedi, l'accento straniero. Come si chiama la sagra? La Madonna di Bellissimi. Se volete la trovate. E noi l'abbiamo trovata. Bellissima.

Tre
L'uomo della Beks, ovvero il compagno d'ombrellone perfetto. 
Oggi si sta al mare. Tutto il giorno. Leggo Maigret. Leggere Maigret al mare, sotto il sole è pericoloso. Dopo al massimo un paio di pagine, il nostro beve una birra. Il romanzo di oggi poi è ambientato in una Parigi torrida, in piena estate. E Maigret tracanna birre come un Concorde benzina. Poi, in spiaggia, quel richiamo continuo: "Becks! Becks! Becks vieni qui!". Becks è un cagnone nero. Sempre dentro e fuori l'acqua. Per rinfrescarsi. "Mica ce l'ha una Becks, la birra intendo? Sa, magari per associazione d'idee...". Il tipo, il padrone del cane, non si scompone: "No. Qui no. Però ho la sacca...magari domani posso infilarci un paio di panetti di ghiaccio...". "Allora le birre le porto io". E' fatta. L'indomani il sole è alto e crudo. Ma io bevo Becks, sotto l'ombrellone. Col tipo. Alla faccia di Maigret. Prosit!

29 agosto 2013

Sic stantibus rebus.

Allora, vediamola così. 
(Questa riflessione parte da uno sfogo di un'amica sulla falsità degli amici. E dalla  risposta di un'altra amica, enunciante la regola aurea del comportamento leale tra esseri umani: "Non fare agli altri quello che non vorresti gli altri facessero a te". Bene. Punto. Osservo che la proposizione è facile. L'applicazione flessibile. In genere, ci si riferisce scrupolosamente alla stessa per quanto riguarda i comportamenti degli altri verso di noi. La prima parte invece...)
Vediamola così. Vediamola alla voce tradimento. Quello che tutti non vorremmo mai, ma che non sempre riusciamo ad evitare. Conosco poche persone che non hanno mai tradito un compagno/una compagna nella loro vita. E io NON sono tra queste, tanto per essere schietti. 
Poi: c'è chi l'ha fatto per fatal combinazione. Chi "tanto la relazione era comunque finita." Chi per provocazione, chi per insoddisfazione. Chi per "è solo un'avventura l'amore è un'altra cosa. Chi perché si deve provare tutto, chi perché non sa dire di no, chi per sentirsi uomo/per sentirsi donna. Chi perché gli è scoppiata la cinquantenite, chi vive la seconda adolescenza astrale. Chi perché lei/lui non mi desidera, chi perché "noi ci scegliamo ogni giorno", chi è una coppia aperta...
Non è detto che chi tradisce sia per questo un cattivo compagno, una cattiva compagna. O peggiore di chi non l'ha mai fatto. Anzi, qui sta il bello. Tra coloro che rinfacciano la loro vita proba c'è n'è di certi che ti fan immediatamente pensare: peccato, gli avrebbe fatto pure bene. Che come diceva Tomaso d'Aquino: "c'è chi praticando virtù scende e chi peccando sale".

16 agosto 2013

La cucina di Petronilla - Composta di cipolle rosse e senape renana.

Per questa ricetta, sempre di rimasuglio, s'intende, mi sono "appoggiata" a Giallo Zafferano. Una potenza della buona cucina peninsulare, con tutorial anche per gratuggiare il parmigiano...
A mio sindacabilissimo parere la ricetta della composta di cipolle di Tropea di Giallo Zafferano è una chiavica.
Secondo loro, o chi per loro, basta aggiungere aceto balsamico, quello dolciastro che conosciamo tutti, miele e zucchero. Et voilà.
Allora...Già le cipolle sono belle dolcette così. Se poi le caramelliamo con tutto 'sto dolciastro. 
La mia ricetta prevede: un buon quarto di Fresia del Piemonte. Una sana cucchiata di senape di Ddorf extra sharf  (bene che me ne sia rimasta una tinozzina, e bello che ancora oggi a chi ci si reca al mercato centrale basta allungare la tinozzina vuota all'apposito stand e zac! Rieccotela piena, e a un prezzo calmierato!)
Via, dall'inizio: tagliate a fettine sottili 300gr di cipolle di Tropea. Mettetele in una capiente casseruola dove avrete aggiunto un cucchiaio di olio al peperoncino (correttivo mio) e un bicchiere di acqua con aggiunta di ca. 20cc. di aceto balsamico. Lasciate ben rosolare le cipolle, indi aggiungete il vino (se non Fresia altro "tosto") e dopo una mezz'oretta, la cucchiaiata di senape forte.
Lasciate sul fuoco a sobbollire finchè la pazienza vi accompagna, indi, se non sono collassate, date un colpo di minipimer alla composta. Se gradite una texture più omogenea aggiungete qualche fettina sottile di mela (anche selvatica, fa da addensante naturale e il sapore ben si armonizza).
Se no, lasciatela grumolosa e aggiungete una grattatina di noce moscata, due foglie di alloro, sale qb. Ultima sobbollita e via. Potete travasare nei vasetti, sterilizzati e a chiusura ermetica (i classici 4 stagioni nazionali)
Vedremo come si accompagnerà ai formaggi questo autunno...ma, così a naso, farà la sua bella figura!

La cucina di Petronilla - il burro chiarificato


Ma chi me l'ha fatto fare...E' il 30 di luglio, giorno più giorno meno e al rientro dalle vacanze, in Liguria, sai che esotismo, mi ritrovo il frigorifero staccato. Faccende di muratori.
Butto via tutto. Quasi tutto. Se il fine olfatto non m'inganna non è molto che l'alimentazione è sospesa. Il burro, per esempio. Piemontese dell'Occelli. Ancora compatto. Emana un buon odore. Il burro non lo butto via (le cozze, invece sì).
Il burro lo chiarifico. Le ricette per chiarificare il burro, per togliere acqua e caseina, sono plurime. La mia è semplice semplice e non necessita di bagnomarie. Si prende una casseruola a fondo spesso, adeguata alla quantità di burro, si pone sul fuoco alla fiamma più parca possibile, magari con retina e distanziatore e...quivi la si lascia a sobbollire lievemente.
Quando si forma sulla superficie del burro fuso una patina bianca la si rimuove. Il processo, per 300gr di burro dura circa 20 minuti. A un certo punto il liquido si fa chiaro, traslucido (non marron che se no non va bene e occorre buttare via tutto)
Ecco, qui spegnete il gas. Poi avete due opzioni. O ci buttate dentro, così "olè!" un rametto di rosmarino e/o salvia e/o uno spicchio di aglio... Oppure lasciate raffreddare quel che basta per mettere in friser dopo il travaso negli appositi contenitori.
Il burro chiarificato non aromatizzato è notevole per tutte le ricette esotiche, e pure per le autoctone a base di pesce, per esempio. Quello aromatizzato fa la sua bella figura su tartine (ma chi le fa più le tartine!) o sul pane la mattina, nelle colazioni salate. In entrambi i casi il vantaggio è che dura mesi e mesi. 

7 agosto 2013

Elogio della Pina...

Una così, uno così, tutti la vorremmo, lo vorremmo. Si sta parlando della Pina, la mitica moglie di Fantozzi. La Pina incarna la moglie allo stato puro.

Poi, c'è la fusione.

La Pina è mite, la Pina è asessuata, la Pina è parca nelle pretese, generosa nel dare. Si accontenta sempre, instancabile nel pulire, accudire, seguire, accondiscendere, accettare. Si illumina se il marito è felice. Si spegne se il marito è triste. Si attiva se il marito urla. Piange se il marito l'accusa. La Pina...L'elogio alla Pina nasce che stasera rientro a casa e sento dei singhiozzi fin dal giardino. La mia nipotona piange, pensa cuore di zia!...No. La nipotona sta ridendo sguaitamente, spaparanzata sul divano davanti a “Fantozzi va in Pensione”.

Ovvio che salgo in casa di mia sorella e mi aggrego anche io alla visione, anzi, anche noi. Nella composizione “famiglia bislacca classica”: io, mia sorella e la nipote allungata tra le due, coi piedi sulle cosce di una e la testa sull'altra. A lei va così. Le andava a un anno, le va adesso che svetta agli 1.75 e ha il 42 di piede.
La Pina è una grande incassatrice. Sa di non essere granché e davvero ritiene premiante la sua posizione di Moglie, ai tempi dei Fantozzi il ruolo aveva una sua valenza giuridica, e di moglie del ragionier Fantozzi. Decoro e parsimonia sono regole cui si attiene con fervore buddista. Ogni tanto Fantozzi ha pietà per lei... ed è interessante... quasi lei si vergogna di sentirlo parlare “umanamente”. Preferisce le imprecazioni del marito, padrone e orgoglioso, piuttosto che il parlare lucido di un uomo consapevole della propria pochezza.

Che la speranza è l'ultima a morire e lei di speranze ci ha intessuto la sua esistenza (figlia trasparente di un uomo finito).

Tutti, tutte vorremmo avere una Pina al nostro fianco. Sempre pronta a ri-prenderci, sempre rassegnata a lasciarci andare, per rincorrere le nostre lucciole.

Purtroppo, di Pine ce ne sono restate pochissime. Come le farfalle, silenziosamente, si stanno estinguendo.


6 agosto 2013

Via, la sbagliata sono io.


La prima nota stonata è subito, all'inizio.
“Vai, vediamo dove s'incontrano d'estate le sciure di Bergamo!”. Dico io.
”Ma non so dove s'incontrano, mica qui!”.
Ma come. All'alba dei miei 50 anni do' per acclarato che le sciure in questione siamo, sono, gente come noi.

Chi mi risponde però “ manco per 'a capa!”, pur essendo abbondantemente in età sciuracompatibile.

Via, acclariamo. Accetto l'invito di un'amica e, dopo la sessione di yoga, ieri salgo in Città Alta con lei e un'amica di lei. Agli spalti. A Torino hanno i Murazzi, noi gli spalti delle mura venete dove si sono allestiti appositi chiringitos estivi. Accetto con entusiasmo la proposta. Anche se, come reso chiaro nell'incipit, mi sento da subito fuori luogo.

Uno. L'età media delle persone del “nostro” Chiringuito è alta. Più alta che alticcia, che alla linea ci tengono -quasi- tutti.

Il fatto che mi colpisce non è questo. E' che tutti si comportano come se avessero almeno vent'anni di meno...(Io no. Ma forse non ce la facevo a comportarmi adeguatamente nemmeno 20 anni fa, quindi non vale.)

Tutto un “fare finta che” , che non sei allestito per l'occasione, che non t'interessa di essere visto, che sei lì ma saresti altrove, che sei fidanzato, ma è una storia strana...Tutto un nonsoché che mi sembra faticosissimo...e soprattutto inutile. I binari della vita e della morte ci hanno inchiavardato più o meno tutti allo stesso modo. Ma come fai a scimmiottare leggerezze post adolescenziali, senza nemmeno bere adeguatamente, che per mantenersi sottili e agili come giunchi un poco di attenzione è necessaria?...beh, sarà abitudine, allenamento, recita... loro riescono.

In una sera vedo sfilare personaggi e personagge che pensavo esiliate nei libri di Fiztgerald e nella Grande Bellezza di Sorrentino:


“Ci penso ogni tanto a fare figli, ma sinceramente, nella brutta società in cui viviamo...”.

La ragazzetta che esprime questo pensiero denso ha quasi 40 anni. Fare figli, lei forse non lo sa che sembra pure sincera, alla sua età o è una sfiga o è un miracolo. Mica tanto un'opzione gestibile...

Poi passa una nonna avvizzita che mi sembra completamente nuda. E' pazza, penso.


Le mie compari: “Oh, hai visto che fisico spaziale che sfoggia la Mary?” “Sai che ha quasi 60 anni?” “Io l'incontro in palestra e, Dio! Vorrei arrivare alla sua età così!”.

Io sono certissima, se la menopausa non mi gioca brutti scherzi, di non voler arrivare a 60 anni a girare per un bar di vecchiardi mezza nuda contando sullo sguardo avviluppante degli avventori.

Poi è la volta di un'emula di Romina Power da giovane, ora si è inquartata mica male, che è stata 5 anni ad Amsterdam. Quando si avvicina per parlarci mi ricorda la strega di Flingern Nord, a Duesseldorf...


Che un po' è così, ad una certa età le magre si rinsecchiscono, e sono graziose giusto tenute a una certa distanza; le grasse sono grasse e non sembrano giovani nemmeno a una certa distanza (Forse recuperano nude, che Botero ci ha fatto i soldi sulle ciccione bambine gonfiate...)

Lo Spritz ad ogni modo è impeccabile. Aperol e prosecco di Valdobbiadene. A 4 euro il bicchierozzo. Esulto... dal bancone del bar raggiungo il mio tavolo. Mi interrogano. Parlo. Che non ho bisogno di essere incalzata in questo... I miei argomenti: come sentirsi vecchi e laidi vicino a un corpo molto più giovane...il tenero sentimento della nonnitudine...come insegnare la moralità ai nostri figli.


E' colpa del buon Spritz, e del fatto che anche stasera niente cena...I pensieri testé espressi sono i miei rovelli filosofici del momento. Del tutto personali che qui nessuno rimpalla. L'apettativa di nipoti a breve poi...scatena un vero e proprio balletto scaramantico “vade retro satan!”


Boh, via.

Succede che sì, mi sono divertita ma, ad una certa, me ne vo' volentieri. Misfit caratteriale. Comportamentale.
Ho capito perché anche noi porelle, non giovani, mai state trendy, non più belle, possiamo comunque piacere.
Perché smettiamo di voler essere giovani. E entriamo nella categoria, rassicurante, dei:
“Dio, com'è umana lei...”


1 agosto 2013

Dimmi come IKEA e ti dirò chi sei.

Come tutti vado all'Ikea. 
Molto meno di quanto dovrei (c'è sempre qualche pezzo di Ribba mancante per casa ), molto più di quanto vorrei. 
Acclaro. L'Ikea l'apprezzo. Dai, impossibile non apprezzarla. Ha cominciato con un principio da Magna Charta della democrazia moderna: "Tutti hanno diritto a un buon design a un prezzo compatibile con uno stipendio normale". E bravo Ingvar Kamprad. Ha scopiazzato i Salone del Mobile di Milano per qualche anno ma, presto, ha assoldato buoni designer proponendogli la sfida: facile fare il designer di nicchia. Prova a farlo per le case di tutti in tutto il mondo... 
Dell'Ikea ammiro l'innovazione, sempre attualissima basta guardare la palette di colori, e la tradizione nordica di grafica pulita, di comunicazione diretta - mai spocchiosa, mai banale, pop e non popolare nel senso retrivo. 
Di Ikea ammiro il sito, veramente completo, pure con i configuratori, il semaforo per la disponibilità della merce in magazzino...e l'attenzione al testo, sempre localizzato. Preferiscono lasciare worldwide le immagini, con signore biondissime ancora piuttosto improbabili alle nostre latitudini, piuttosto che le headline delle campagne. 
Poi, che sollucchero! A pagina 90 del catalogo 2013 ecco qui: "Il caos è subdolo...". Subdolo...in un catalogo per le masse un aggettivo cotanto. Solo in Topolino e nella Settimana Enigmistica trovano posto parole così desuete (di solito in bocca a Paperone, che è anziano... ci sta!).

Quindi GRANDE IKEA! 
Però. Però poi ogni volta che ci vado, sempre con qualcuno che se no mi demotivo, mi viene uno scoramento...innanzitutto alla presentazione dei settings non ci casco. Come nelle pubblicità, quello che fa belli i mobili sono le location (sempre con i soffitti altissimi, la vista splendida, i pavimenti ed i rivestimenti curati e pregiati) l'accostamento gradevole con altri pezzi e la grande attenzione per i tessili e le palette dei colori. 

Poi. Poi c'è il fatto che ad ogni visita sono 200euro. Anche se non hai trovato il pezzo così conveniente che cercavi. Già che "balini" lì, le candele, i tovaglioli, un paio di lenzuola, due vasetti, il piumino, il cuscino, la sedia da esterno, la panchetta e un bel Lack per l'angolo dell'ingresso li compri...e sono 200euro ogni volta, poco più poco meno.

Che in questo periodo di ristrutturazione non rappresentano mica paglia...
Ma poi. Poi, poi c'è la cosa più grave: l'acquisto di qualcosa di seriale e per questo non avente valore intrinseco percepito. E' terribile, ma disfarsi dei mobili Ikea è facilissimo. Non stimolano nessuna affezione particolare, sono come dei replicanti di gradevole aspetto con una data di scadenza incisa nel patrimonio genetico. "Lo cambio quando voglio, tanto è Ikea!"

Nessuno chiede soldi per un mobile Ikea usato, a meno che sia praticamente nuovo. 
Per tutto quello sopra si esce, io esco, dalle casse blu e gialle scontenti e paganti. Non si compra un mobile in effetti, ma una soluzione a un problema funzionale afferente all'abitabilità del tuo comparto domestico.

Tutto il contrario del design, se ci si pensa. Tornando a bomba ecco perché ogni volta che lascio le casse Ikea sono molto più triste di quando varco l'ingresso.

Io sono triste. Ma mica vale mica per tutti...Mia sorella, per esempio. Prima di giungere all'Ikea sembrava la Santanchè il giorno in cui le hanno condannato per diffamazione il fidanzatino. Urticante, acida, maldisposta. Ha urlato con tutti gli automobilisti che abbiamo incocciato per strada; guidasse come Thierry Sabine... macchè, giusto per far tracimare un po' di bile cattiva dal fegato, avrebbe detto nonna mia...

Però, dopo l'acquisto di un buon 500euro di carabattole, sembrava la Teresa del Bernini durante l'estasi. E lì ho capito il potere taumaturgico dello shopping, che tanto ha fatto scrivere nella letteratura femminile (e nelle barzellette della Settimana Enigmistica). E mi ha fatto capire che l'Ikea è meglio del prozac, meglio dell'ideologia nazista: promette ordine e pulizia e per chi ha necessità estrema che tutto sia a posto, una seduta di shopping all'Ikea, con tutti i contenitori di cose e cosine, fa più che bene. E' la promessa concretizzata di ordine nella vita. 
Ho capito (e tre) che la fugacità dei mobili Ikea per qualcuno non rappresenta un minus, tutt'altro. Consente di rinnovare la casa costantemente. Compro, butto, ricompro, con un effetto stira e ammira del proprio spazio domestico. E di noi stessi per logica conseguenza. Sempre nuovi, sempre belli, sempre giusti.

Ho capito tanto di chi, in fondo, non ho mai capito per nulla, in una giornata all'Ikea. 

29 luglio 2013

Giusto orgoglio e buon giudizio.

"La felicità nel matrimonio è unicamente una questione di fortuna. Per quanto due si conoscano bene e per quanto simili possano essere, questo non favorisce minimamente la loro felicità. Continueranno dopo a scoprirsi sempre più diversi, tanto da avere la loro parte di seccature ed è meglio conoscere il meno possibile i difetti della persona con la quale si deve trascorrere tutta la vita."

Da "Orgoglio e Pregiudizio" ecco in sintesi cosa si pensava nel secolo scorso nelle faccende di cuore. La ricetta per un buon matrimonio, al contrario della nostra, non prevedeva affatto un lungo corteggiamento e compromissioni graduali della coppia (il bacio, la cena, il sesso, le vacanze, gli amici, l'acquisto della casa...) prima di arrivare al grande passo. Era chiaro, tanto, che era il percorso che faceva la coppia. Mica il contrario!

Le famiglie tentavano di  mettere le toppe a quanto c'era di rattoppabile, favorendo unioni tra simili anche nella speranza che un territorio comune rendesse più comodo l'atterraggio una volta finito l'amore...dettava regole chiare di comportamento, i ruoli, definiva gli spazi  "privati" nelle case in comune, stanze nelle quali un coniuge non poteva mettere il naso; un poco di repressione sessuale ringalluzziva i corpi e coadiuvava le unioni chimicamente non combacianti. Il desiderio prematrimoniale dava la miccia e via... Poi tanto era un terno al lotto.

Come ora del resto. Ma forse la ricetta della nonna era meglio. Certe cose venivano messe a fuoco e si cercavano prima gli interventi correttivi.
Oggi invece si naviga nell'incoscienza più romantica.

23 luglio 2013

"Tu non dire che fai la scuola in Italia"

Speriamo di farcela. A non trasformare il post nell`ennesima, inutile lamentatio materna per le manchevolezze paterne.
Ieri primo giorno di Camp estivo di Ari. A Duesseldorf. Dopo concilaboli con l`insegnante  di tedesco che insisteva per la condivisione collettiva e ludica dell`apprendimento, una programmazione certosina con il Neandertaliano, corse per prenotare un posto in tempo, finalmente siamo riusciti ad iscriverla. 
Vai tu, vado io, ad accompagnarla al kiga siamo qui in due. I trepidanti genitori e la Ari. Che e`emozionata. Io di piu`. Oltre che emozionata allarmata per tutte quelle cose grandi e piccole che non sono state messe a punto. 
La prima: richiesto l`elenco delle carabattole da infilarle nello zaino - merenda, asciugamano, antiscivolo..., almeno un mese fa, il nostro che si e` occupato della prenotazione ha tergiversato -via, servono le solite cose!- fino a ieri. 
Ora, giusto 10 minuti prima dell`ingresso, mi legge da una stropicciata fotocopia quello che servirebbe 10 minuti dopo...La ragazza comincia a stressarsi: "Non mi avete nemmeno dato la crema da sole? Ce li ho i regenhose?..." 
Rispondo pronta, ma se sei gia`nera come un corvo, cosa te ne fai della crema da sole...Oggi ci saranno 30°, i regenhose te li cerco domani, dalla Anto!
Lo faccio per confortarla, in realta` mi spiace, temo non sia un`esperienza facile per lei. Non conosce nessuno, non sa scrivere propriamente in tedesco, ed e` pure un mese che non parla la lingua.
La seconda: la fotocopia delle vaccinazioni. Il libretto e` da qualche parte ma non l`ho trovato, il trasloco e` tutt`ora in corso. Comunque Ari ha fatto solo il primo richiamo di antitetanica, a due anni, mi pare. E se ce lo richiedono e sorgono problemi?
Intanto arrivano altri pargoli, maschi e femmine, Ari tira un respiro di sollievo che pensava ci fossero solo maschi. Un`altra bella idea del Neandertaliano quella di allarmarla su una presenza esclusivamente maschile.
"In caso di bisogno hai lasciato il tuo numero di cellulare?" Chiedo all`altro genitore. "Si, ma poi le ho dato un cellulare?". Un cellulare? A otto anni? Trasecolo. Ma se salta come una pulce d`acqua e fa cadere praticamente tutto. Quanto durera` il cellulare! Ravano nello zaino di Ari e afferro un involto informe, un composè di fazzoletti di carta. La protezione massima concepita dalla mente del nostro contro cadute e sfregamenti del delicato apparato elettronico...
Via, conteniamo lo sbotto, che adesso siamo invitati ad accompagnare i cuccioli all`ingresso della "porta d`acqua", Ari apparterra` alla squadra dei cavalluccci marini pazzi.
"Non ci sono stati problemi con il fatto che non vive a Duesseldorf?". Chiedo mentre seguo con gli occhi Ari che cerca il suo nome sull`elenco, e quello, fresco come acqua di sorgiva: "Io non ho detto nulla e comunque le ho raccomandato: Ari, ricordati di non dire che fai la scuola in Italia!"
!!!
Ma che cosa rispondera` a domanda diretta?
E questa era la terza cosa...

16 luglio 2013

I verdi anni delle nostre vite. Lasciamoli lì, al fresco.

Che poi anche a voler rinverdire anni dorati...ieri si rientra dalla Liguria sonnolenta alle 12. Di notte. 
Con accelerato Ventimiglia-Bergamo carrozze fatiscenti, luci a intermittenza, finestrini bloccati, che però, assicurano i fedelissimi della tratta, è più affidabile dell'intercity il doppio più costoso e non ti obbliga a prenotazioni antelucane per usufruire di una tariffa “umana” (ps: trenitalia non riconosce la mia carta di credito tedesca e così ogni volta per spostarci by train è tutto un pellegrinaggio alla stazione durante le ore morte, in anticipo e pagando pure il biglietto del parcheggio, non aggiungo altro che si vede che sono due anni che sono rientrata se no scleravo solo a pensarlo, un iter simile per prendere un biglietto...). 
Malgrado raccomandazioni scritte e orali agli operai frequentanti, il portone dal giardino è inapribile. Giro del condominio per raggiungere l'apertura retrostante, e rintracciare le chiavi atte alla bisogna, quelle di cortesia messe a disposizione.
Finalmente entro in casa mia, una puzza di solventi e cemento fresco, apro dall'interno il portone del giardino. Oppone resistenza. Spingo decisa. Sento un “ouch” soffocato. E' la Ari che collassando di sonno si è addormentata sul pianerottolo e ora è rotolata a terra. Recupero il cadaverino, lo assetto a nanna prodigando bacini consolatori. Ma quella è frolla di sonno e non favella. Indi faccio per riporre pesto e salsa di noci -originale eh?!- nel frigo...e il frigo è fresco come salamoia, a temperatura ambiente, 27° ca. Pigio i pulsanti, brigo...nulla. Mannaggia all'aggeggio. Non è nuovissimo, ma manco vetusto...poi mi viene il dubbio.
Forse è un problema di prese. Infatti è un problema di prese. Nell'appartamento “giuntato” funzionano, in questo dove sta attaccato il frigo no. Cerca una prolunga. Niente prolunghe...vado nei garage, provo quella del tagliaerba. Rien à faire. Finalmente trovo una povera cosa, di un metro scarso ma sufficiente, spostando a viva forza il frigorifero, ad avvicinarlo a una presa funzionante. Con il cavo a mezz'aria.
Ecco, frigo riattivato. Il pesto è al sicuro. Il sugo di cozze congelato, invece, va buttato. E il burro. E gli yogurt. E i Philadelphia - ma perché si scrive così con il doppio ph?- e il succo di frutta...e più o meno tutto quello che c'è dentro.
Intanto che seleziono e butto, macino rabbia. Che può essere successo? Coloro i quali si sono recati qui per finire i lavori hanno disinnescato la corrente, poi l'hanno riattivata, ma non in modo completo -troppa fatica tirare su tre levette- così, random. Alle 1.30 invio un sms iroso all'architetto, sperando non sia già spaparanzato in qualche località balneare, lontano dagli strali delle clienti.
Poi vado a letto. E comincio a grattarmi come una rognosa. Ecco. La polvere di cemento. L'ultima delle mie cause allergiche. Ritorna all'attacco. Coi lavori in corso, quegli sbadati hanno lasciato in giro cose e oggetti e passatoie e stracci intrisi..e io mi scortico viva per il prurito. Che è peculiare, intenso, non lascia tregua, e ti sembra di stare in un letto di ortiche. Alle tre sono sveglia. Alle quattro anche. Alle cinque sento i galli, nulla confronto ai conciliaboli dei gabbiani al mare, alle sei, finalmente mi assopisco, non prima di recarmi a chiudere le ante della finestra di Ari, che è sensibile alla luce del sole. Alle 9.6 minuti suona il cellulare. L'elettricista avvisato dall'architetto! Penso, speranzosa e mi precipito a rispondere...no. Un vecchio amico, vecchio ammiratore che si fa vivo (è luglio, le mogli e i pargoli sono in vacanza) e dopo i convenevoli di rito, cosa fai tu, cosa faccio io, i ragazzi, i bei tempi andati, azzarda un invito a due: “Ci sarà un bel posticino dalle parti tue dove mangiare qualcosa insieme?” Rispondo che sembro Gambero Rosso online: alla terza salita dalla città c'è la Trattoria del moro, alla quarta la Trattoria dei sapori, a destra però, in basso alla collina, sempre a destra il Civico 21 specializzato in pesce, menù a mezzogiorno un po' più caro, ma adeguato al locale...e via discorrendo. Tutto con l'entusiasmo di un tacchino vicino a Natale. Tasso di allusività erotica, stesso identico.
Dopo poco mi blocca, va bene, taglia corto, decideremo quando definiremo il giorno. Il giorno? Per le chiusure? Faccio io mentre, andando a controllare il frigo rischio l'osso del collo inciampando nel filo penzolante che lo collega alla nuova presa...
”Il giorno che ci vediamo, intendevo. Ma forse ti ho disturbato, vero? Via, ti lascio che ti sento distratta...”
“No, no, figurati un piacere. Ciao Gian, Gian...- e mi impapino.
“Gianfredo, sono Gianfredo, ti ricordi, tanti anni fa, dalla Gaia a Milano?”
“Sì, sì, scusa...”
Sono tanto rinciuchita che solo la sera, cioè adesso mi sovvengono i passaggi della telefonata. 
Definirli surreali è eufemistico.


11 luglio 2013

Lasciare libero il wendeplatz


Basta voltare la macchina verso i monti, anziché il mare, all'uscita dell'autostrada, e arrampicarsi per pochi chilometri sulle stradicciole strette, tra gli ulivi e i muri a secco e qualche -brutto- condominio moderno. Ad un certo punto, non si incontrano più scooter, apecar, utilitarie, ma macchine grandi e pulite. Van. Una “D”bianca nel quadratino azzurro della targa. E via i piccoli neri liguri, a torso nudo, dallo sguardo truce e la camminata sciolta. Solo alti e dinoccolati dalle membra pallide, cappelli a tese larghe, camice a quadri. Non bastasse l'evidenza: i cartelli, gli avvisi, i messaggi sono bilingue, italiano/tedesco. A volte solo in tedesco. Anche quando riportano lo stemma del Comune o della Provincia.
I tedeschi dell'entroterra di Ponente non sono proprio turisti, auspicata presenza estiva. Nel Ponente i tedeschi ci abitano. E spesso sono gli unici abitanti di frazioni abbandonate, gli unici che trovano attraente vivere su coste impervie e gestire un territorio complicato. Collaborano con i sindaci, e investono soldini...La cosa positiva, personale parere, è che si impegnano a mantenere il paesaggio così com'è. Come gli è piaciuto (mica come noi che comprando i nuovi appartamenti al mare abbiamo contribuito allo smantellamento di quel paesaggio di cui volevamo godere!)

Dolcedo
Bellissimi
La cosa negativa sono loro, cioè la loro apparenza fisica...non che siano brutti, anzi! Esteticamente, nel cambio ci si guadagna. Ma sono riconoscibilmente tedeschi! E da tedeschi, non si amalgamano con il paesaggio, quel paesaggio che gli piace tanto nella sua unicità mediterranea... Come dire, in un terroir dove tutto coopera all'identità peculiare e irripetibile -natura, arte, enogastronomia...il dettaglio sbagliato è la loro stessa presenza. Cercando degli esempi a vanvera, tanto per evitare sospetti di razzismo che non è questo il punto...e' come se in un perfetto scenario invernale gli alberi fossero pieni di succosi frutti estivi o, in uno splendido mare incontaminato al posto dei pesci nuotassero lucenti e colorate scatolette di tonno e acciughe conservate.
Al santuario dell'Assunta
Oggi alle pozze, laghetti di un azzurro intenso, su per i bricchi, c'erano loro. I piedoni pallidi, le spallette ossute e qualche bella panzetta da bevitori di birra. Silenti e fermi, in attenta circospetta visione del mondo circostante - mondo che li vede spesso osservatori e quasi mai soggetti partecipi dello spazio tridimensionale. Oggi c'erano loro. Solo loro. E per fortuna! Se no, il sentiero per il Rio dei Boschi sarebbe già stato ingoiato dalla macchia mediterranea e l'oblio. 
 
L'azzurro delle pozze del Rio dei Boschi

9 luglio 2013

Pirata versus principessa.

Mamma, ma perché tutte vogliono fare le principesse da grandi? Io non voglio. Mai! 
E che cosa ti piacerebbe fare da grande?
Uhmm. La pirata.
La pirata...ma in che senso, tipo quando Pippi Langstrumpf quando va a salvare il papà con gli amici?
No, Proprio la pirata di mestiere.
Eh..perché la pirata? Cosa ti piace dei pirati.
Tante cose! Per esempio cantare insieme, a braccetto, come sanno fare loro...E poi i pirati vestono proprio con il mio look! 

Certo che le ottenni di oggi sono proprio sconcertanti...

6 luglio 2013

Amarcord tra NordReno e fiume Po.

“Lo sai vero che ti ritroverai in mezzo a una strada?”
Il commento del padre tedesco a sua figlia 22enne, che gli annuncia che sposerà quell'italiano conosciuto due anni prima. In Sicilia.
Fine anni '70, che sembra ieri, ma sono millenni fa. Lei Iris, diciannovenne renana, decide di accettare l'invito di un'amica e prendono il treno che da Duesseldorf le porta a Milano, da Milano in Sicilia. In bus e autostop visitano Catania, Palermo, Trapani, le Egadi, infine Agrigento. L'ultima tappa prima del rientro. Ad Agrigento chiedono ad una ragazza, con il loro italiano stentato, dov'è la stazione. “Chiamo mio cugino, parla inglese!” E il cugino arriva. Faccia scura, occhi dolci. Camicia bianca, pantaloni neri. A ricordarlo, Iris ancora si commuove. “Siete sole?”, “ Non è bello. Sto con voi”. E si ferma, tutta la notte in stazione ad Agrigento, ad aspettare con loro il treno per Milano. Si ferma e s'invaghisce di questa ragazza tedesca dai capelli selvaggi, fiammanti d'hennè, i sandali di cuoio sui piedi ben saldi, la lunga gonna indiana, il libro “On the road” nello zaino. Si invaghisce di lei e di quello che rappresenta: è straniera, viaggia, fa l'autostop, vive già da sola, lontano da casa. Lui, di Bergamo, casa sua non la riesce a lasciare anche se ci vive male, lei si sorprende che pur lavorando da anni, non disponga di soldi suoi. Vengono versati alla madre a fine mese. Come tradizione.
Arriva il treno. “Non ci vedremo più!” fa lei. “Chi lo dice?!” fa lui. Un mese dopo, a Duesseldorf, al pensionato dove vive, lei riceve un biglietto aereo per Ustica. E' lui. La invita, ancora, in Sicilia. Le amiche la invidiano, già tanto se i loro boyfriend tedeschi offrono un caffè, ma la preparano: gli italiani sono così, infiammabili ma poco affidabili. Esattamente quello che pensa il padre di Iris, orgoglioso ferroviere renano di origini contadine.
Dopo Ustica, è il ragazzo, orgoglioso infermiere padano di origini contadine, che viene a Duesseldorf, a sorpresa, e a lui Duesseldorf sembra New York. Le ragazze che ricevono i ragazzi al pensionato, sarebbe vietato, ma si fa... i bagni al lago -tutti nudi- le saune...
Poi lei scende da lui. Per qualche mese, giustifica alla famiglia. In attesa che la chiamino all'Università. Non tornerà più, stabilmente in Germania. 
Lui si vergogna a riceverla in casa, prende coraggio e va a convivere con un paio di amici. Dopo cercano un appartamento solo per loro. “Infermiere cerca appartamento arredato per lui e la sua Fidanzata”. Un signora anziana li contatta. Nell'appartamento, che sa d'antico, c'è tutto: anche i pitali nei comodini! Loro non hanno nulla, neppure una federa. Lo stesso giorno da Croff Casa, si comprano scolapasta, piatti, posate e bicchieri. Il sapore di quella prima spaghettata in casa loro è indimenticabile: sapore d'indipendenza, di libertà, di futuro. Due anni insieme. Iris trova lavoro, come baby sitter da una insegnante tedesca. Poi si sposano. In Germania, con rito protestante. A lui va bene, rinuncia volentieri agli ingessati rituali cattolici. La suocera, invece, non le rivolgerà la parola per anni.
Il primo figlio, un anno dopo il secondo. Il terzo. La suocera perdona.
Un'altra casa, sempre in affitto, dal giardino immenso e - purtroppo- un unico bagno!
Trent'anni insieme. Anni densi.
L'anno scorso il padre di Iris si ammala.
E' grave. Iris e suo marito fanno continuamente la spola, Orio Duesseldorf, Duesseldorf Orio. L'unica persona che lascia avvicinare, a curarlo e provvedere alle sue necessità di malato, il vecchio ferroviere tedesco, è il genero italiano, quello che avrebbe lasciato la figlia per strada.
“Per me sei come un figlio. Meglio di un figlio.”

Fa in tempo a dirgli, con gratitudine. In italiano.