Allora, vediamola così.
(Questa riflessione parte da uno sfogo di un'amica sulla falsità degli amici. E dalla risposta di un'altra amica, enunciante la regola aurea del comportamento leale tra esseri umani: "Non fare agli altri quello che non vorresti gli altri facessero a te". Bene. Punto. Osservo che la proposizione è facile. L'applicazione flessibile. In genere, ci si riferisce scrupolosamente alla stessa per quanto riguarda i comportamenti degli altri verso di noi. La prima parte invece...)
Vediamola così. Vediamola alla voce tradimento. Quello che tutti non vorremmo mai, ma che non sempre riusciamo ad evitare. Conosco poche persone che non hanno mai tradito un compagno/una compagna nella loro vita. E io NON sono tra queste, tanto per essere schietti.
Poi: c'è chi l'ha fatto per fatal combinazione. Chi "tanto la relazione era comunque finita." Chi per provocazione, chi per insoddisfazione. Chi per "è solo un'avventura l'amore è un'altra cosa. Chi perché si deve provare tutto, chi perché non sa dire di no, chi per sentirsi uomo/per sentirsi donna. Chi perché gli è scoppiata la cinquantenite, chi vive la seconda adolescenza astrale. Chi perché lei/lui non mi desidera, chi perché "noi ci scegliamo ogni giorno", chi è una coppia aperta...
Non è detto che chi tradisce sia per questo un cattivo compagno, una cattiva compagna. O peggiore di chi non l'ha mai fatto. Anzi, qui sta il bello. Tra coloro che rinfacciano la loro vita proba c'è n'è di certi che ti fan immediatamente pensare: peccato, gli avrebbe fatto pure bene. Che come diceva Tomaso d'Aquino: "c'è chi praticando virtù scende e chi peccando sale".
"Lassù nella Renania, tra anse e ponti d'or, tra l'aspre nubi echeggia un cantico d'amor..." Una montanara DOC racconta la sua Dusseldorf...E il suo rientro nel patrio stivale.
Autunno

E' un tramonto italiano ma a me ricorda Ddorf.
29 agosto 2013
16 agosto 2013
La cucina di Petronilla - Composta di cipolle rosse e senape renana.
Per questa ricetta, sempre di rimasuglio, s'intende, mi sono "appoggiata" a Giallo Zafferano. Una potenza della buona cucina peninsulare, con tutorial anche per gratuggiare il parmigiano...
A mio sindacabilissimo parere la ricetta della composta di cipolle di Tropea di Giallo Zafferano è una chiavica.
Secondo loro, o chi per loro, basta aggiungere aceto balsamico, quello dolciastro che conosciamo tutti, miele e zucchero. Et voilà.
Allora...Già le cipolle sono belle dolcette così. Se poi le caramelliamo con tutto 'sto dolciastro.
La mia ricetta prevede: un buon quarto di Fresia del Piemonte. Una sana cucchiata di senape di Ddorf extra sharf (bene che me ne sia rimasta una tinozzina, e bello che ancora oggi a chi ci si reca al mercato centrale basta allungare la tinozzina vuota all'apposito stand e zac! Rieccotela piena, e a un prezzo calmierato!)
Via, dall'inizio: tagliate a fettine sottili 300gr di cipolle di Tropea. Mettetele in una capiente casseruola dove avrete aggiunto un cucchiaio di olio al peperoncino (correttivo mio) e un bicchiere di acqua con aggiunta di ca. 20cc. di aceto balsamico. Lasciate ben rosolare le cipolle, indi aggiungete il vino (se non Fresia altro "tosto") e dopo una mezz'oretta, la cucchiaiata di senape forte.
Lasciate sul fuoco a sobbollire finchè la pazienza vi accompagna, indi, se non sono collassate, date un colpo di minipimer alla composta. Se gradite una texture più omogenea aggiungete qualche fettina sottile di mela (anche selvatica, fa da addensante naturale e il sapore ben si armonizza).
Se no, lasciatela grumolosa e aggiungete una grattatina di noce moscata, due foglie di alloro, sale qb. Ultima sobbollita e via. Potete travasare nei vasetti, sterilizzati e a chiusura ermetica (i classici 4 stagioni nazionali)
Vedremo come si accompagnerà ai formaggi questo autunno...ma, così a naso, farà la sua bella figura!
A mio sindacabilissimo parere la ricetta della composta di cipolle di Tropea di Giallo Zafferano è una chiavica.
Secondo loro, o chi per loro, basta aggiungere aceto balsamico, quello dolciastro che conosciamo tutti, miele e zucchero. Et voilà.
Allora...Già le cipolle sono belle dolcette così. Se poi le caramelliamo con tutto 'sto dolciastro.
La mia ricetta prevede: un buon quarto di Fresia del Piemonte. Una sana cucchiata di senape di Ddorf extra sharf (bene che me ne sia rimasta una tinozzina, e bello che ancora oggi a chi ci si reca al mercato centrale basta allungare la tinozzina vuota all'apposito stand e zac! Rieccotela piena, e a un prezzo calmierato!)
Via, dall'inizio: tagliate a fettine sottili 300gr di cipolle di Tropea. Mettetele in una capiente casseruola dove avrete aggiunto un cucchiaio di olio al peperoncino (correttivo mio) e un bicchiere di acqua con aggiunta di ca. 20cc. di aceto balsamico. Lasciate ben rosolare le cipolle, indi aggiungete il vino (se non Fresia altro "tosto") e dopo una mezz'oretta, la cucchiaiata di senape forte.
Lasciate sul fuoco a sobbollire finchè la pazienza vi accompagna, indi, se non sono collassate, date un colpo di minipimer alla composta. Se gradite una texture più omogenea aggiungete qualche fettina sottile di mela (anche selvatica, fa da addensante naturale e il sapore ben si armonizza).
Se no, lasciatela grumolosa e aggiungete una grattatina di noce moscata, due foglie di alloro, sale qb. Ultima sobbollita e via. Potete travasare nei vasetti, sterilizzati e a chiusura ermetica (i classici 4 stagioni nazionali)
Vedremo come si accompagnerà ai formaggi questo autunno...ma, così a naso, farà la sua bella figura!
La cucina di Petronilla - il burro chiarificato
Ma chi me l'ha fatto fare...E' il 30 di luglio, giorno più giorno meno e al rientro dalle vacanze, in Liguria, sai che esotismo, mi ritrovo il frigorifero staccato. Faccende di muratori.
Butto via tutto. Quasi tutto. Se il fine olfatto non m'inganna non è molto che l'alimentazione è sospesa. Il burro, per esempio. Piemontese dell'Occelli. Ancora compatto. Emana un buon odore. Il burro non lo butto via (le cozze, invece sì).
Il burro lo chiarifico. Le ricette per chiarificare il burro, per togliere acqua e caseina, sono plurime. La mia è semplice semplice e non necessita di bagnomarie. Si prende una casseruola a fondo spesso, adeguata alla quantità di burro, si pone sul fuoco alla fiamma più parca possibile, magari con retina e distanziatore e...quivi la si lascia a sobbollire lievemente.
Quando si forma sulla superficie del burro fuso una patina bianca la si rimuove. Il processo, per 300gr di burro dura circa 20 minuti. A un certo punto il liquido si fa chiaro, traslucido (non marron che se no non va bene e occorre buttare via tutto)
Ecco, qui spegnete il gas. Poi avete due opzioni. O ci buttate dentro, così "olè!" un rametto di rosmarino e/o salvia e/o uno spicchio di aglio... Oppure lasciate raffreddare quel che basta per mettere in friser dopo il travaso negli appositi contenitori.
Il burro chiarificato non aromatizzato è notevole per tutte le ricette esotiche, e pure per le autoctone a base di pesce, per esempio. Quello aromatizzato fa la sua bella figura su tartine (ma chi le fa più le tartine!) o sul pane la mattina, nelle colazioni salate. In entrambi i casi il vantaggio è che dura mesi e mesi.
7 agosto 2013
Elogio della Pina...
Una così, uno così, tutti
la vorremmo, lo vorremmo. Si sta parlando della Pina, la mitica
moglie di Fantozzi. La Pina incarna la moglie allo stato puro.
Poi, c'è la fusione.
La Pina è mite, la Pina è
asessuata, la Pina è parca nelle pretese, generosa nel dare. Si
accontenta sempre, instancabile nel pulire, accudire, seguire,
accondiscendere, accettare. Si illumina se il marito è felice. Si
spegne se il marito è triste. Si attiva se il marito urla. Piange se
il marito l'accusa. La Pina...L'elogio alla Pina nasce che stasera
rientro a casa e sento dei singhiozzi fin dal giardino. La mia
nipotona piange, pensa cuore di zia!...No. La nipotona sta ridendo
sguaitamente, spaparanzata sul divano davanti a “Fantozzi va in
Pensione”.
Ovvio che salgo in casa di
mia sorella e mi aggrego anche io alla visione, anzi, anche noi.
Nella composizione “famiglia bislacca classica”: io, mia sorella
e la nipote allungata tra le due, coi piedi sulle cosce di una e la
testa sull'altra. A lei va così. Le andava a un anno, le va adesso
che svetta agli 1.75 e ha il 42 di piede.
La Pina è una grande
incassatrice. Sa di non essere granché e davvero ritiene premiante
la sua posizione di Moglie, ai tempi dei Fantozzi il ruolo aveva una
sua valenza giuridica, e di moglie del ragionier Fantozzi. Decoro e
parsimonia sono regole cui si attiene con fervore buddista. Ogni
tanto Fantozzi ha pietà per lei... ed è interessante... quasi lei
si vergogna di sentirlo parlare “umanamente”. Preferisce le
imprecazioni del marito, padrone e orgoglioso, piuttosto che il
parlare lucido di un uomo consapevole della propria pochezza.
Che la speranza è l'ultima
a morire e lei di speranze ci ha intessuto la sua esistenza (figlia
trasparente di un uomo finito).
Tutti, tutte vorremmo avere
una Pina al nostro fianco. Sempre pronta a ri-prenderci, sempre
rassegnata a lasciarci andare, per rincorrere le nostre lucciole.
Purtroppo, di Pine ce ne
sono restate pochissime. Come le farfalle, silenziosamente, si stanno
estinguendo.
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ma chi me l'ha fatto fare...,
perle di saggezza
6 agosto 2013
Via, la sbagliata sono io.
La prima nota stonata è subito, all'inizio.
“Vai, vediamo dove s'incontrano d'estate le sciure di Bergamo!”. Dico io.
”Ma non so dove s'incontrano, mica qui!”.
Ma come. All'alba dei miei 50 anni do' per acclarato che le sciure in questione siamo, sono, gente come noi.
Chi mi risponde però “
manco per 'a capa!”, pur essendo abbondantemente in età
sciuracompatibile.
Via, acclariamo. Accetto
l'invito di un'amica e, dopo la sessione di yoga, ieri salgo in Città
Alta con lei e un'amica di lei. Agli spalti. A Torino hanno i
Murazzi, noi gli spalti delle mura venete dove si sono allestiti
appositi chiringitos estivi. Accetto con entusiasmo la proposta.
Anche se, come reso chiaro nell'incipit, mi sento da subito fuori
luogo.
Uno. L'età media delle
persone del “nostro” Chiringuito è alta. Più alta che alticcia,
che alla linea ci tengono -quasi- tutti.
Il fatto che mi colpisce non
è questo. E' che tutti si comportano come se avessero almeno
vent'anni di meno...(Io no. Ma forse non ce la facevo a comportarmi
adeguatamente nemmeno 20 anni fa, quindi non vale.)
Tutto un “fare finta che”
, che non sei allestito per l'occasione, che non t'interessa di
essere visto, che sei lì ma saresti altrove, che sei fidanzato, ma è
una storia strana...Tutto un nonsoché che mi sembra
faticosissimo...e soprattutto inutile. I binari della vita e della
morte ci hanno inchiavardato più o meno tutti allo stesso modo. Ma
come fai a scimmiottare leggerezze post adolescenziali, senza nemmeno
bere adeguatamente, che per mantenersi sottili e agili come giunchi
un poco di attenzione è necessaria?...beh, sarà abitudine,
allenamento, recita... loro riescono.
In una sera vedo sfilare personaggi e personagge che pensavo esiliate nei libri di Fiztgerald e nella Grande Bellezza di Sorrentino:
“Ci penso ogni tanto a
fare figli, ma sinceramente, nella brutta società in cui
viviamo...”.
La ragazzetta che esprime
questo pensiero denso ha quasi 40 anni. Fare figli, lei forse non lo
sa che sembra pure sincera, alla sua età o è una sfiga o è un
miracolo. Mica tanto un'opzione gestibile...
Poi passa una nonna avvizzita che mi sembra completamente nuda. E' pazza, penso.
Le mie compari: “Oh, hai
visto che fisico spaziale che sfoggia la Mary?” “Sai che ha quasi
60 anni?” “Io l'incontro in palestra e, Dio! Vorrei arrivare alla
sua età così!”.
Io sono certissima, se la
menopausa non mi gioca brutti scherzi, di non voler arrivare a 60
anni a girare per un bar di vecchiardi mezza nuda contando sullo
sguardo avviluppante degli avventori.
Poi è la volta di un'emula di Romina Power da giovane, ora si è inquartata mica male, che è stata 5 anni ad Amsterdam. Quando si avvicina per parlarci mi ricorda la strega di Flingern Nord, a Duesseldorf...
Che un po' è così, ad una
certa età le magre si rinsecchiscono, e sono graziose giusto tenute
a una certa distanza; le grasse sono grasse e non sembrano giovani
nemmeno a una certa distanza (Forse recuperano nude, che Botero ci ha
fatto i soldi sulle ciccione bambine gonfiate...)
Lo Spritz ad ogni modo è impeccabile. Aperol e prosecco di Valdobbiadene. A 4 euro il bicchierozzo. Esulto... dal bancone del bar raggiungo il mio tavolo. Mi interrogano. Parlo. Che non ho bisogno di essere incalzata in questo... I miei argomenti: come sentirsi vecchi e laidi vicino a un corpo molto più giovane...il tenero sentimento della nonnitudine...come insegnare la moralità ai nostri figli.
E' colpa del buon Spritz, e del fatto che anche stasera niente cena...I pensieri testé espressi sono i miei rovelli filosofici del momento. Del tutto personali che qui nessuno rimpalla. L'apettativa di nipoti a breve poi...scatena un vero e proprio balletto scaramantico “vade retro satan!”
Boh, via.
Succede che sì, mi sono divertita ma, ad una certa, me ne vo' volentieri. Misfit caratteriale. Comportamentale.
Ho capito perché anche noi porelle, non giovani, mai state trendy, non più belle, possiamo comunque piacere.
Perché smettiamo di voler essere giovani. E entriamo nella categoria, rassicurante, dei:
“Dio, com'è umana lei...”
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ma chi me l'ha fatto fare...,
vita vera
1 agosto 2013
Dimmi come IKEA e ti dirò chi sei.
Come tutti vado all'Ikea.
Molto meno di quanto dovrei (c'è sempre qualche pezzo di Ribba mancante per casa ), molto più di quanto vorrei.
Acclaro. L'Ikea l'apprezzo. Dai, impossibile non apprezzarla. Ha cominciato con un principio da Magna Charta della democrazia moderna: "Tutti hanno diritto a un buon design a un prezzo compatibile con uno stipendio normale". E bravo Ingvar Kamprad. Ha scopiazzato i Salone del Mobile di Milano per qualche anno ma, presto, ha assoldato buoni designer proponendogli la sfida: facile fare il designer di nicchia. Prova a farlo per le case di tutti in tutto il mondo...
Dell'Ikea ammiro l'innovazione, sempre attualissima basta guardare la palette di colori, e la tradizione nordica di grafica pulita, di comunicazione diretta - mai spocchiosa, mai banale, pop e non popolare nel senso retrivo.
Di Ikea ammiro il sito, veramente completo, pure con i configuratori, il semaforo per la disponibilità della merce in magazzino...e l'attenzione al testo, sempre localizzato. Preferiscono lasciare worldwide le immagini, con signore biondissime ancora piuttosto improbabili alle nostre latitudini, piuttosto che le headline delle campagne.
Poi, che sollucchero! A pagina 90 del catalogo 2013 ecco qui: "Il caos è subdolo...". Subdolo...in un catalogo per le masse un aggettivo cotanto. Solo in Topolino e nella Settimana Enigmistica trovano posto parole così desuete (di solito in bocca a Paperone, che è anziano... ci sta!).
Quindi GRANDE IKEA!
Però. Però poi ogni volta che ci vado, sempre con qualcuno che se no mi demotivo, mi viene uno scoramento...innanzitutto alla presentazione dei settings non ci casco. Come nelle pubblicità, quello che fa belli i mobili sono le location (sempre con i soffitti altissimi, la vista splendida, i pavimenti ed i rivestimenti curati e pregiati) l'accostamento gradevole con altri pezzi e la grande attenzione per i tessili e le palette dei colori.
Poi. Poi c'è il fatto che ad ogni visita sono 200euro. Anche se non hai trovato il pezzo così conveniente che cercavi. Già che "balini" lì, le candele, i tovaglioli, un paio di lenzuola, due vasetti, il piumino, il cuscino, la sedia da esterno, la panchetta e un bel Lack per l'angolo dell'ingresso li compri...e sono 200euro ogni volta, poco più poco meno.
Che in questo periodo di ristrutturazione non rappresentano mica paglia...
Ma poi. Poi, poi c'è la cosa più grave: l'acquisto di qualcosa di seriale e per questo non avente valore intrinseco percepito. E' terribile, ma disfarsi dei mobili Ikea è facilissimo. Non stimolano nessuna affezione particolare, sono come dei replicanti di gradevole aspetto con una data di scadenza incisa nel patrimonio genetico. "Lo cambio quando voglio, tanto è Ikea!"
Nessuno chiede soldi per un mobile Ikea usato, a meno che sia praticamente nuovo.
Per tutto quello sopra si esce, io esco, dalle casse blu e gialle scontenti e paganti. Non si compra un mobile in effetti, ma una soluzione a un problema funzionale afferente all'abitabilità del tuo comparto domestico.
Tutto il contrario del design, se ci si pensa. Tornando a bomba ecco perché ogni volta che lascio le casse Ikea sono molto più triste di quando varco l'ingresso.
Io sono triste. Ma mica vale mica per tutti...Mia sorella, per esempio. Prima di giungere all'Ikea sembrava la Santanchè il giorno in cui le hanno condannato per diffamazione il fidanzatino. Urticante, acida, maldisposta. Ha urlato con tutti gli automobilisti che abbiamo incocciato per strada; guidasse come Thierry Sabine... macchè, giusto per far tracimare un po' di bile cattiva dal fegato, avrebbe detto nonna mia...
Però, dopo l'acquisto di un buon 500euro di carabattole, sembrava la Teresa del Bernini durante l'estasi. E lì ho capito il potere taumaturgico dello shopping, che tanto ha fatto scrivere nella letteratura femminile (e nelle barzellette della Settimana Enigmistica). E mi ha fatto capire che l'Ikea è meglio del prozac, meglio dell'ideologia nazista: promette ordine e pulizia e per chi ha necessità estrema che tutto sia a posto, una seduta di shopping all'Ikea, con tutti i contenitori di cose e cosine, fa più che bene. E' la promessa concretizzata di ordine nella vita.
Ho capito (e tre) che la fugacità dei mobili Ikea per qualcuno non rappresenta un minus, tutt'altro. Consente di rinnovare la casa costantemente. Compro, butto, ricompro, con un effetto stira e ammira del proprio spazio domestico. E di noi stessi per logica conseguenza. Sempre nuovi, sempre belli, sempre giusti.
Ho capito tanto di chi, in fondo, non ho mai capito per nulla, in una giornata all'Ikea.
Molto meno di quanto dovrei (c'è sempre qualche pezzo di Ribba mancante per casa ), molto più di quanto vorrei.
Acclaro. L'Ikea l'apprezzo. Dai, impossibile non apprezzarla. Ha cominciato con un principio da Magna Charta della democrazia moderna: "Tutti hanno diritto a un buon design a un prezzo compatibile con uno stipendio normale". E bravo Ingvar Kamprad. Ha scopiazzato i Salone del Mobile di Milano per qualche anno ma, presto, ha assoldato buoni designer proponendogli la sfida: facile fare il designer di nicchia. Prova a farlo per le case di tutti in tutto il mondo...
Dell'Ikea ammiro l'innovazione, sempre attualissima basta guardare la palette di colori, e la tradizione nordica di grafica pulita, di comunicazione diretta - mai spocchiosa, mai banale, pop e non popolare nel senso retrivo.
Di Ikea ammiro il sito, veramente completo, pure con i configuratori, il semaforo per la disponibilità della merce in magazzino...e l'attenzione al testo, sempre localizzato. Preferiscono lasciare worldwide le immagini, con signore biondissime ancora piuttosto improbabili alle nostre latitudini, piuttosto che le headline delle campagne.
Poi, che sollucchero! A pagina 90 del catalogo 2013 ecco qui: "Il caos è subdolo...". Subdolo...in un catalogo per le masse un aggettivo cotanto. Solo in Topolino e nella Settimana Enigmistica trovano posto parole così desuete (di solito in bocca a Paperone, che è anziano... ci sta!).
Quindi GRANDE IKEA!
Però. Però poi ogni volta che ci vado, sempre con qualcuno che se no mi demotivo, mi viene uno scoramento...innanzitutto alla presentazione dei settings non ci casco. Come nelle pubblicità, quello che fa belli i mobili sono le location (sempre con i soffitti altissimi, la vista splendida, i pavimenti ed i rivestimenti curati e pregiati) l'accostamento gradevole con altri pezzi e la grande attenzione per i tessili e le palette dei colori.
Poi. Poi c'è il fatto che ad ogni visita sono 200euro. Anche se non hai trovato il pezzo così conveniente che cercavi. Già che "balini" lì, le candele, i tovaglioli, un paio di lenzuola, due vasetti, il piumino, il cuscino, la sedia da esterno, la panchetta e un bel Lack per l'angolo dell'ingresso li compri...e sono 200euro ogni volta, poco più poco meno.
Che in questo periodo di ristrutturazione non rappresentano mica paglia...
Ma poi. Poi, poi c'è la cosa più grave: l'acquisto di qualcosa di seriale e per questo non avente valore intrinseco percepito. E' terribile, ma disfarsi dei mobili Ikea è facilissimo. Non stimolano nessuna affezione particolare, sono come dei replicanti di gradevole aspetto con una data di scadenza incisa nel patrimonio genetico. "Lo cambio quando voglio, tanto è Ikea!"
Nessuno chiede soldi per un mobile Ikea usato, a meno che sia praticamente nuovo.
Per tutto quello sopra si esce, io esco, dalle casse blu e gialle scontenti e paganti. Non si compra un mobile in effetti, ma una soluzione a un problema funzionale afferente all'abitabilità del tuo comparto domestico.
Tutto il contrario del design, se ci si pensa. Tornando a bomba ecco perché ogni volta che lascio le casse Ikea sono molto più triste di quando varco l'ingresso.
Io sono triste. Ma mica vale mica per tutti...Mia sorella, per esempio. Prima di giungere all'Ikea sembrava la Santanchè il giorno in cui le hanno condannato per diffamazione il fidanzatino. Urticante, acida, maldisposta. Ha urlato con tutti gli automobilisti che abbiamo incocciato per strada; guidasse come Thierry Sabine... macchè, giusto per far tracimare un po' di bile cattiva dal fegato, avrebbe detto nonna mia...
Però, dopo l'acquisto di un buon 500euro di carabattole, sembrava la Teresa del Bernini durante l'estasi. E lì ho capito il potere taumaturgico dello shopping, che tanto ha fatto scrivere nella letteratura femminile (e nelle barzellette della Settimana Enigmistica). E mi ha fatto capire che l'Ikea è meglio del prozac, meglio dell'ideologia nazista: promette ordine e pulizia e per chi ha necessità estrema che tutto sia a posto, una seduta di shopping all'Ikea, con tutti i contenitori di cose e cosine, fa più che bene. E' la promessa concretizzata di ordine nella vita.
Ho capito (e tre) che la fugacità dei mobili Ikea per qualcuno non rappresenta un minus, tutt'altro. Consente di rinnovare la casa costantemente. Compro, butto, ricompro, con un effetto stira e ammira del proprio spazio domestico. E di noi stessi per logica conseguenza. Sempre nuovi, sempre belli, sempre giusti.
Ho capito tanto di chi, in fondo, non ho mai capito per nulla, in una giornata all'Ikea.
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29 luglio 2013
Giusto orgoglio e buon giudizio.
"La felicità nel matrimonio è unicamente una questione di fortuna. Per quanto due si conoscano bene e per quanto simili possano essere, questo non favorisce minimamente la loro felicità. Continueranno dopo a scoprirsi sempre più diversi, tanto da avere la loro parte di seccature ed è meglio conoscere il meno possibile i difetti della persona con la quale si deve trascorrere tutta la vita."
Da "Orgoglio e Pregiudizio" ecco in sintesi cosa si pensava nel secolo scorso nelle faccende di cuore. La ricetta per un buon matrimonio, al contrario della nostra, non prevedeva affatto un lungo corteggiamento e compromissioni graduali della coppia (il bacio, la cena, il sesso, le vacanze, gli amici, l'acquisto della casa...) prima di arrivare al grande passo. Era chiaro, tanto, che era il percorso che faceva la coppia. Mica il contrario!
Le famiglie tentavano di mettere le toppe a quanto c'era di rattoppabile, favorendo unioni tra simili anche nella speranza che un territorio comune rendesse più comodo l'atterraggio una volta finito l'amore...dettava regole chiare di comportamento, i ruoli, definiva gli spazi "privati" nelle case in comune, stanze nelle quali un coniuge non poteva mettere il naso; un poco di repressione sessuale ringalluzziva i corpi e coadiuvava le unioni chimicamente non combacianti. Il desiderio prematrimoniale dava la miccia e via... Poi tanto era un terno al lotto.
Come ora del resto. Ma forse la ricetta della nonna era meglio. Certe cose venivano messe a fuoco e si cercavano prima gli interventi correttivi.
Oggi invece si naviga nell'incoscienza più romantica.
Da "Orgoglio e Pregiudizio" ecco in sintesi cosa si pensava nel secolo scorso nelle faccende di cuore. La ricetta per un buon matrimonio, al contrario della nostra, non prevedeva affatto un lungo corteggiamento e compromissioni graduali della coppia (il bacio, la cena, il sesso, le vacanze, gli amici, l'acquisto della casa...) prima di arrivare al grande passo. Era chiaro, tanto, che era il percorso che faceva la coppia. Mica il contrario!
Le famiglie tentavano di mettere le toppe a quanto c'era di rattoppabile, favorendo unioni tra simili anche nella speranza che un territorio comune rendesse più comodo l'atterraggio una volta finito l'amore...dettava regole chiare di comportamento, i ruoli, definiva gli spazi "privati" nelle case in comune, stanze nelle quali un coniuge non poteva mettere il naso; un poco di repressione sessuale ringalluzziva i corpi e coadiuvava le unioni chimicamente non combacianti. Il desiderio prematrimoniale dava la miccia e via... Poi tanto era un terno al lotto.
Come ora del resto. Ma forse la ricetta della nonna era meglio. Certe cose venivano messe a fuoco e si cercavano prima gli interventi correttivi.
Oggi invece si naviga nell'incoscienza più romantica.
23 luglio 2013
"Tu non dire che fai la scuola in Italia"
Speriamo di farcela. A non trasformare il post nell`ennesima, inutile lamentatio materna per le manchevolezze paterne.
Ieri primo giorno di Camp estivo di Ari. A Duesseldorf. Dopo concilaboli con l`insegnante di tedesco che insisteva per la condivisione collettiva e ludica dell`apprendimento, una programmazione certosina con il Neandertaliano, corse per prenotare un posto in tempo, finalmente siamo riusciti ad iscriverla.
Vai tu, vado io, ad accompagnarla al kiga siamo qui in due. I trepidanti genitori e la Ari. Che e`emozionata. Io di piu`. Oltre che emozionata allarmata per tutte quelle cose grandi e piccole che non sono state messe a punto.
La prima: richiesto l`elenco delle carabattole da infilarle nello zaino - merenda, asciugamano, antiscivolo..., almeno un mese fa, il nostro che si e` occupato della prenotazione ha tergiversato -via, servono le solite cose!- fino a ieri.
Ora, giusto 10 minuti prima dell`ingresso, mi legge da una stropicciata fotocopia quello che servirebbe 10 minuti dopo...La ragazza comincia a stressarsi: "Non mi avete nemmeno dato la crema da sole? Ce li ho i regenhose?..."
Rispondo pronta, ma se sei gia`nera come un corvo, cosa te ne fai della crema da sole...Oggi ci saranno 30°, i regenhose te li cerco domani, dalla Anto!
Lo faccio per confortarla, in realta` mi spiace, temo non sia un`esperienza facile per lei. Non conosce nessuno, non sa scrivere propriamente in tedesco, ed e` pure un mese che non parla la lingua.
La seconda: la fotocopia delle vaccinazioni. Il libretto e` da qualche parte ma non l`ho trovato, il trasloco e` tutt`ora in corso. Comunque Ari ha fatto solo il primo richiamo di antitetanica, a due anni, mi pare. E se ce lo richiedono e sorgono problemi?
Intanto arrivano altri pargoli, maschi e femmine, Ari tira un respiro di sollievo che pensava ci fossero solo maschi. Un`altra bella idea del Neandertaliano quella di allarmarla su una presenza esclusivamente maschile.
"In caso di bisogno hai lasciato il tuo numero di cellulare?" Chiedo all`altro genitore. "Si, ma poi le ho dato un cellulare?". Un cellulare? A otto anni? Trasecolo. Ma se salta come una pulce d`acqua e fa cadere praticamente tutto. Quanto durera` il cellulare! Ravano nello zaino di Ari e afferro un involto informe, un composè di fazzoletti di carta. La protezione massima concepita dalla mente del nostro contro cadute e sfregamenti del delicato apparato elettronico...
Via, conteniamo lo sbotto, che adesso siamo invitati ad accompagnare i cuccioli all`ingresso della "porta d`acqua", Ari apparterra` alla squadra dei cavalluccci marini pazzi.
"Non ci sono stati problemi con il fatto che non vive a Duesseldorf?". Chiedo mentre seguo con gli occhi Ari che cerca il suo nome sull`elenco, e quello, fresco come acqua di sorgiva: "Io non ho detto nulla e comunque le ho raccomandato: Ari, ricordati di non dire che fai la scuola in Italia!"
!!!
Ma che cosa rispondera` a domanda diretta?
E questa era la terza cosa...
Ieri primo giorno di Camp estivo di Ari. A Duesseldorf. Dopo concilaboli con l`insegnante di tedesco che insisteva per la condivisione collettiva e ludica dell`apprendimento, una programmazione certosina con il Neandertaliano, corse per prenotare un posto in tempo, finalmente siamo riusciti ad iscriverla.
Vai tu, vado io, ad accompagnarla al kiga siamo qui in due. I trepidanti genitori e la Ari. Che e`emozionata. Io di piu`. Oltre che emozionata allarmata per tutte quelle cose grandi e piccole che non sono state messe a punto.
La prima: richiesto l`elenco delle carabattole da infilarle nello zaino - merenda, asciugamano, antiscivolo..., almeno un mese fa, il nostro che si e` occupato della prenotazione ha tergiversato -via, servono le solite cose!- fino a ieri.
Ora, giusto 10 minuti prima dell`ingresso, mi legge da una stropicciata fotocopia quello che servirebbe 10 minuti dopo...La ragazza comincia a stressarsi: "Non mi avete nemmeno dato la crema da sole? Ce li ho i regenhose?..."
Rispondo pronta, ma se sei gia`nera come un corvo, cosa te ne fai della crema da sole...Oggi ci saranno 30°, i regenhose te li cerco domani, dalla Anto!
Lo faccio per confortarla, in realta` mi spiace, temo non sia un`esperienza facile per lei. Non conosce nessuno, non sa scrivere propriamente in tedesco, ed e` pure un mese che non parla la lingua.
La seconda: la fotocopia delle vaccinazioni. Il libretto e` da qualche parte ma non l`ho trovato, il trasloco e` tutt`ora in corso. Comunque Ari ha fatto solo il primo richiamo di antitetanica, a due anni, mi pare. E se ce lo richiedono e sorgono problemi?
Intanto arrivano altri pargoli, maschi e femmine, Ari tira un respiro di sollievo che pensava ci fossero solo maschi. Un`altra bella idea del Neandertaliano quella di allarmarla su una presenza esclusivamente maschile.
"In caso di bisogno hai lasciato il tuo numero di cellulare?" Chiedo all`altro genitore. "Si, ma poi le ho dato un cellulare?". Un cellulare? A otto anni? Trasecolo. Ma se salta come una pulce d`acqua e fa cadere praticamente tutto. Quanto durera` il cellulare! Ravano nello zaino di Ari e afferro un involto informe, un composè di fazzoletti di carta. La protezione massima concepita dalla mente del nostro contro cadute e sfregamenti del delicato apparato elettronico...
Via, conteniamo lo sbotto, che adesso siamo invitati ad accompagnare i cuccioli all`ingresso della "porta d`acqua", Ari apparterra` alla squadra dei cavalluccci marini pazzi.
"Non ci sono stati problemi con il fatto che non vive a Duesseldorf?". Chiedo mentre seguo con gli occhi Ari che cerca il suo nome sull`elenco, e quello, fresco come acqua di sorgiva: "Io non ho detto nulla e comunque le ho raccomandato: Ari, ricordati di non dire che fai la scuola in Italia!"
!!!
Ma che cosa rispondera` a domanda diretta?
E questa era la terza cosa...
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16 luglio 2013
I verdi anni delle nostre vite. Lasciamoli lì, al fresco.
Che poi anche a voler rinverdire anni
dorati...ieri si rientra dalla Liguria sonnolenta alle 12. Di notte.
Con accelerato Ventimiglia-Bergamo carrozze fatiscenti, luci a
intermittenza, finestrini bloccati, che però, assicurano i
fedelissimi della tratta, è più affidabile dell'intercity il doppio
più costoso e non ti obbliga a prenotazioni antelucane per usufruire
di una tariffa “umana” (ps: trenitalia non riconosce la mia carta
di credito tedesca e così ogni volta per spostarci by train è tutto
un pellegrinaggio alla stazione durante le ore morte, in anticipo e
pagando pure il biglietto del parcheggio, non aggiungo altro che si
vede che sono due anni che sono rientrata se no scleravo solo a
pensarlo, un iter simile per prendere un biglietto...).
Malgrado raccomandazioni scritte e orali agli operai frequentanti, il portone dal giardino è inapribile. Giro del condominio per
raggiungere l'apertura retrostante, e rintracciare le chiavi atte
alla bisogna, quelle di cortesia messe a disposizione.
Finalmente entro in casa mia, una puzza
di solventi e cemento fresco, apro dall'interno il portone del
giardino. Oppone resistenza. Spingo decisa. Sento un “ouch”
soffocato. E' la Ari che collassando di sonno si è addormentata sul
pianerottolo e ora è rotolata a terra. Recupero il cadaverino, lo
assetto a nanna prodigando bacini consolatori. Ma quella è frolla di
sonno e non favella. Indi faccio per riporre pesto e salsa di noci
-originale eh?!- nel frigo...e il frigo è fresco come salamoia, a
temperatura ambiente, 27° ca. Pigio i pulsanti, brigo...nulla.
Mannaggia all'aggeggio. Non è nuovissimo, ma manco vetusto...poi mi
viene il dubbio.
Forse è un problema di prese. Infatti
è un problema di prese. Nell'appartamento “giuntato” funzionano,
in questo dove sta attaccato il frigo no. Cerca una prolunga. Niente prolunghe...vado nei garage,
provo quella del tagliaerba. Rien à faire. Finalmente trovo una
povera cosa, di un metro scarso ma sufficiente, spostando a viva forza
il frigorifero, ad avvicinarlo a una presa funzionante. Con il cavo a
mezz'aria.
Ecco, frigo riattivato. Il pesto è al
sicuro. Il sugo di cozze congelato, invece, va buttato. E il burro. E
gli yogurt. E i Philadelphia - ma perché si scrive così con il doppio ph?- e il succo di frutta...e più o meno
tutto quello che c'è dentro.
Intanto che seleziono e butto, macino
rabbia. Che può essere successo? Coloro i quali si sono recati qui
per finire i lavori hanno disinnescato la corrente, poi l'hanno
riattivata, ma non in modo completo -troppa fatica tirare su tre
levette- così, random. Alle 1.30 invio un sms iroso
all'architetto, sperando non sia già spaparanzato in qualche
località balneare, lontano dagli strali delle clienti.
Poi vado a letto. E comincio a
grattarmi come una rognosa. Ecco. La polvere di cemento. L'ultima
delle mie cause allergiche. Ritorna all'attacco. Coi lavori in corso, quegli
sbadati hanno lasciato in giro cose e oggetti e
passatoie e stracci intrisi..e io mi scortico viva per il prurito.
Che è peculiare, intenso, non lascia tregua, e ti sembra di stare in
un letto di ortiche. Alle tre sono sveglia. Alle quattro anche. Alle
cinque sento i galli, nulla confronto ai conciliaboli dei gabbiani al
mare, alle sei, finalmente mi assopisco, non prima di recarmi a
chiudere le ante della finestra di Ari, che è sensibile alla luce
del sole. Alle 9.6 minuti suona il cellulare. L'elettricista avvisato
dall'architetto! Penso, speranzosa e mi precipito a rispondere...no.
Un vecchio amico, vecchio ammiratore che si fa vivo (è luglio, le
mogli e i pargoli sono in vacanza) e dopo i convenevoli di rito, cosa
fai tu, cosa faccio io, i ragazzi, i bei tempi andati, azzarda un
invito a due: “Ci sarà un bel posticino dalle parti tue dove
mangiare qualcosa insieme?” Rispondo che sembro Gambero Rosso
online: alla terza salita dalla città c'è la Trattoria del moro,
alla quarta la Trattoria dei sapori, a destra però, in basso alla
collina, sempre a destra il Civico 21 specializzato in pesce, menù a
mezzogiorno un po' più caro, ma adeguato al locale...e via
discorrendo. Tutto con l'entusiasmo di un tacchino vicino a Natale.
Tasso di allusività erotica, stesso identico.
Dopo poco mi blocca, va bene, taglia
corto, decideremo quando definiremo il giorno. Il giorno? Per le
chiusure? Faccio io mentre, andando a controllare il frigo rischio
l'osso del collo inciampando nel filo penzolante che lo collega alla
nuova presa...
”Il giorno che ci vediamo, intendevo.
Ma forse ti ho disturbato, vero? Via, ti lascio che ti sento
distratta...”
“No, no, figurati un piacere.
Ciao Gian, Gian...- e mi
impapino.
“Gianfredo, sono
Gianfredo, ti ricordi, tanti anni fa, dalla Gaia a Milano?”
“Sì, sì, scusa...”
Sono tanto rinciuchita che solo la
sera, cioè adesso mi sovvengono i passaggi della telefonata.
Definirli surreali è eufemistico.
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vita vera
11 luglio 2013
Lasciare libero il wendeplatz
Basta voltare la macchina
verso i monti, anziché il mare, all'uscita dell'autostrada, e
arrampicarsi per pochi chilometri sulle stradicciole strette, tra gli
ulivi e i muri a secco e qualche -brutto- condominio moderno. Ad un
certo punto, non si incontrano più scooter, apecar, utilitarie, ma
macchine grandi e pulite. Van. Una “D”bianca nel quadratino
azzurro della targa. E via i piccoli neri liguri, a torso nudo, dallo sguardo truce e la camminata sciolta. Solo alti e dinoccolati dalle membra
pallide, cappelli a tese larghe, camice a quadri. Non bastasse
l'evidenza: i cartelli, gli avvisi, i messaggi sono bilingue,
italiano/tedesco. A volte solo in tedesco. Anche quando riportano lo
stemma del Comune o della Provincia.
I tedeschi
dell'entroterra di Ponente non sono proprio turisti, auspicata
presenza estiva. Nel Ponente i tedeschi ci abitano. E spesso sono gli
unici abitanti di frazioni abbandonate, gli unici che trovano
attraente vivere su coste impervie e gestire un territorio
complicato. Collaborano con i sindaci, e investono soldini...La cosa
positiva, personale parere, è che si impegnano a mantenere il
paesaggio così com'è. Come gli è piaciuto (mica come noi che
comprando i nuovi appartamenti al mare abbiamo contribuito allo
smantellamento di quel paesaggio di cui volevamo godere!)
![]() |
Dolcedo |
![]() |
Bellissimi |
La cosa negativa sono
loro, cioè la loro apparenza fisica...non che siano brutti, anzi! Esteticamente, nel cambio ci si guadagna. Ma
sono riconoscibilmente tedeschi! E da tedeschi, non si amalgamano con
il paesaggio, quel paesaggio che gli piace tanto nella sua
unicità mediterranea... Come dire, in un terroir dove tutto coopera all'identità
peculiare e irripetibile -natura, arte, enogastronomia...il dettaglio
sbagliato è la loro stessa presenza. Cercando degli esempi a
vanvera, tanto per evitare sospetti di razzismo che non è questo il punto...e' come se in un perfetto scenario invernale gli alberi
fossero pieni di succosi frutti estivi o, in uno splendido mare incontaminato
al posto dei pesci nuotassero lucenti e colorate scatolette di tonno
e acciughe conservate.
![]() |
Al santuario dell'Assunta |
Oggi alle pozze, laghetti di un azzurro intenso, su per i bricchi, c'erano
loro. I piedoni pallidi, le spallette ossute e qualche bella panzetta da
bevitori di birra. Silenti e fermi, in attenta circospetta visione
del mondo circostante - mondo che li vede spesso osservatori e quasi
mai soggetti partecipi dello spazio tridimensionale. Oggi c'erano
loro. Solo loro. E per fortuna! Se no, il sentiero per il Rio dei
Boschi sarebbe già stato ingoiato dalla macchia mediterranea e
l'oblio.
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9 luglio 2013
Pirata versus principessa.
Mamma, ma perché tutte vogliono fare le principesse da grandi? Io non voglio. Mai!
E che cosa ti piacerebbe fare da grande?
Uhmm. La pirata.
La pirata...ma in che senso, tipo quando Pippi Langstrumpf quando va a salvare il papà con gli amici?
No, Proprio la pirata di mestiere.
Eh..perché la pirata? Cosa ti piace dei pirati.
Tante cose! Per esempio cantare insieme, a braccetto, come sanno fare loro...E poi i pirati vestono proprio con il mio look!
Certo che le ottenni di oggi sono proprio sconcertanti...
E che cosa ti piacerebbe fare da grande?
Uhmm. La pirata.
La pirata...ma in che senso, tipo quando Pippi Langstrumpf quando va a salvare il papà con gli amici?
No, Proprio la pirata di mestiere.
Eh..perché la pirata? Cosa ti piace dei pirati.
Tante cose! Per esempio cantare insieme, a braccetto, come sanno fare loro...E poi i pirati vestono proprio con il mio look!
Certo che le ottenni di oggi sono proprio sconcertanti...
6 luglio 2013
Amarcord tra NordReno e fiume Po.
“Lo sai vero che ti ritroverai in
mezzo a una strada?”
Il commento del padre tedesco a sua figlia
22enne, che gli annuncia che sposerà quell'italiano conosciuto due
anni prima. In Sicilia.
Fine anni '70, che sembra ieri, ma sono
millenni fa. Lei Iris, diciannovenne renana, decide di accettare l'invito di
un'amica e prendono il treno che da Duesseldorf le porta a Milano, da
Milano in Sicilia. In bus e autostop visitano Catania, Palermo,
Trapani, le Egadi, infine Agrigento. L'ultima tappa prima del
rientro. Ad Agrigento chiedono ad una ragazza, con il loro italiano
stentato, dov'è la stazione. “Chiamo mio cugino, parla inglese!”
E il cugino arriva. Faccia scura, occhi dolci. Camicia bianca,
pantaloni neri. A ricordarlo, Iris ancora si commuove. “Siete
sole?”, “ Non è bello. Sto con voi”. E si ferma, tutta la
notte in stazione ad Agrigento, ad aspettare con loro il treno per
Milano. Si ferma e s'invaghisce di questa ragazza tedesca dai capelli
selvaggi, fiammanti d'hennè, i sandali di cuoio sui piedi ben
saldi, la lunga gonna indiana, il libro “On the road” nello zaino.
Si invaghisce di lei e di quello che rappresenta: è straniera, viaggia, fa l'autostop, vive già da sola, lontano da casa. Lui, di
Bergamo, casa sua non la riesce a lasciare anche se ci vive male, lei
si sorprende che pur lavorando da anni, non disponga
di soldi suoi. Vengono versati alla madre a fine mese. Come tradizione.
Arriva il treno. “Non ci vedremo
più!” fa lei. “Chi lo dice?!” fa lui. Un mese dopo, a
Duesseldorf, al pensionato dove vive, lei riceve un biglietto aereo per Ustica.
E' lui. La invita, ancora, in Sicilia. Le amiche la invidiano, già
tanto se i loro boyfriend tedeschi offrono un caffè, ma la
preparano: gli italiani sono così, infiammabili ma poco affidabili.
Esattamente quello che pensa il padre di Iris, orgoglioso ferroviere renano di origini
contadine.
Dopo Ustica, è il ragazzo, orgoglioso
infermiere padano di origini contadine, che viene a Duesseldorf, a
sorpresa, e a lui Duesseldorf sembra New York. Le ragazze che
ricevono i ragazzi al pensionato, sarebbe vietato, ma si fa... i bagni al lago -tutti nudi- le saune...
Poi lei scende da lui. Per qualche
mese, giustifica alla famiglia. In attesa che la chiamino all'Università. Non tornerà più, stabilmente in Germania.
Lui si vergogna a riceverla in casa,
prende coraggio e va a convivere con un paio di amici. Dopo cercano
un appartamento solo per loro. “Infermiere cerca appartamento arredato
per lui e la sua Fidanzata”. Un signora anziana li contatta.
Nell'appartamento, che sa d'antico, c'è tutto: anche i pitali nei
comodini! Loro non hanno nulla, neppure una federa. Lo stesso giorno
da Croff Casa, si comprano scolapasta, piatti, posate e bicchieri. Il
sapore di quella prima spaghettata in casa loro è indimenticabile: sapore
d'indipendenza, di libertà, di futuro. Due anni insieme. Iris trova lavoro,
come baby sitter da una insegnante tedesca. Poi si sposano. In
Germania, con rito protestante. A lui va bene, rinuncia volentieri
agli ingessati rituali cattolici. La suocera, invece, non le rivolgerà la parola
per anni.
Il primo figlio, un anno dopo il
secondo. Il terzo. La suocera perdona.
Un'altra casa, sempre in affitto, dal
giardino immenso e - purtroppo- un unico bagno!
Trent'anni insieme. Anni densi.
L'anno scorso il padre di Iris si
ammala.
E' grave. Iris e suo marito fanno
continuamente la spola, Orio Duesseldorf, Duesseldorf Orio. L'unica
persona che lascia avvicinare, a curarlo e provvedere alle sue
necessità di malato, il vecchio ferroviere tedesco, è il genero
italiano, quello che avrebbe lasciato la figlia per strada.
“Per me sei come un figlio. Meglio di
un figlio.”
Fa in tempo a dirgli, con gratitudine.
In italiano.
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1 luglio 2013
La signora.
Io nella vita vorrei fare la signora.
L'età l'ho raggiunta, la stazza anche.
La signora, ma mica come quelle stolide vecchie ragazze di adesso. La signora come una di quelle che incontravo da bambina, al Forte, d'estate.
La signora aveva tutto un suo modo di incedere, di comportarsi, di muoversi, di parlare, di alludere. Arrivava in spiaggia con occhialoni e prendisole sgargiante. Gioielli a profusione. La fede al dito. Il brillante del fidanzamento. Ogni gioia rappresentava una tappa della vita, prima che Pomellato inventasse una linea apposta. Ogni gioia aveva un senso. Gli orecchini della madre, il cameo appartenuto alla sorella morta di leucemia, il pendente regalo dello zio Claudio prima di partire per l'Africa, il rubino il primo figlio, la spilla della vecchia zia assistita durante la lunga degenza. Erano gioielli belli, usati e sensati. La signora nel raccontare la loro storia a volte si commuoveva, giusto un po'. Ma manteneva sempre desto il senso del qui e ora. E del comportamento acconcio. Mica facile scomporre una signora. Mica reattiva come quella pescivendola della Santanché. Sangue freddo. Tempra d'acciaio. Cicatrici di gravidanze plurime e a volte, peritoniti, testimoniavano il valore acquisito sul campo.
Cicatrici evidenti su pance non trattate, molli, abbronzate e tirate a lucido. La signora arrivata in spiaggia e assettata sul lettino, infatti, per prima cosa s'impomatava. E la cosa durava almeno una mezz'oretta. Con dita lunghe ed esperte cominciava dagli stinchi, poi le cosce lisce, s'addentrava sull'addome largo, s'infilava nel reggipetto, rinforzato, per poi indulgere sulle spalle e le braccia. Sempre toniche. Che tra figli piccoli e nipoti e tappeti da volgere e riavvolgere, le tende, sempre pesanti, di velluto, e i mobili da movimentare con la fida cameriera...I bicipidi restavano la parte soda del corpo.
Si lustravano, le signore, con oli profumati, intensi e persistenti tratti da flaconi pesanti, dai nomi improbabili, quasi sempre francesi. Alla fine la pelle riluceva come l'impiallaccitura dei mobili delle loro case. Brunite e levigate, finalmente, si allungavano al sole.
Gli occhialoni. Il turbante. I gioielli. Vestite anche se nude, come dee greche. Il reggipetto era rispettosamente tenuto in loco. Ma si sganciavano tutti i laccetti. Brutti i segni sulle spalle! Un tramestio infinito, per evitare i ponti pallidi sulle spallucce.
La signora era sempre truccata. Almeno sulle labbra. E, rigorosamente, unghie smaltate. Pedicure perfette. Smalti spessi come resine epossidiche. Brillanti rossi, rosa corallo, ammalianti.
La signora parlava, eccome. Melliflua s'informava dei fatti di famiglia, come un boss mafioso. Si ricordava tutto. Non tralasciava nulla. Del resto, essere il nume familiare era il senso primo ed ultimo della signora.
Tradimenti, nascite, morti...Quello che non si poteva accettare era il divorzio. Il divorzio mai.
La signora sapeva come blandire il proprio uomo. Mantenendo una sua identità e dignità. Accettava a testa alta le corna, plurime, del marito. Se tradiva, o aveva tradito, lo faceva discretamente. Mai pubblicamente. Che il modo si trovava.
Parlando dei fatti della vita, di tutto il resto se ne impippava bellamente, passava da un tono scaltro a uno allusivo, e sempre attenta alla presenza dei bambini. Mai commozioni troppo evidenti... si prediligevano gli aspetti istruttivi, i consigli per curare le varici, depilare le ascelle, nascondere una scollatura troppo evidente, i rimedi contro l'alitosi, la fuga del marito, la presenza di zanzare, i tarli nel sideboard, le crisi adolescenziali...non c'era nulla che la signora non sapesse affrontare. Niente che la potesse scalfire. Rassicurante e certa come le Apuane, sullo sfondo dietro al mare, dietro alla spiaggia. L'eterna nube bianca incastrata sulla cima.
La signora, alla fine offriva sempre una nuvoletta di gelato a noi bambini.
E ancora ricordo l'asprigno del limone, il mio gusto prediletto, sulla lingua.
Pretendeva in cambio un bacio, sulla guancia, ma per finta.
Mica si rovinava la cipria, in cambio di un gelato, la signora.
L'età l'ho raggiunta, la stazza anche.
La signora, ma mica come quelle stolide vecchie ragazze di adesso. La signora come una di quelle che incontravo da bambina, al Forte, d'estate.
La signora aveva tutto un suo modo di incedere, di comportarsi, di muoversi, di parlare, di alludere. Arrivava in spiaggia con occhialoni e prendisole sgargiante. Gioielli a profusione. La fede al dito. Il brillante del fidanzamento. Ogni gioia rappresentava una tappa della vita, prima che Pomellato inventasse una linea apposta. Ogni gioia aveva un senso. Gli orecchini della madre, il cameo appartenuto alla sorella morta di leucemia, il pendente regalo dello zio Claudio prima di partire per l'Africa, il rubino il primo figlio, la spilla della vecchia zia assistita durante la lunga degenza. Erano gioielli belli, usati e sensati. La signora nel raccontare la loro storia a volte si commuoveva, giusto un po'. Ma manteneva sempre desto il senso del qui e ora. E del comportamento acconcio. Mica facile scomporre una signora. Mica reattiva come quella pescivendola della Santanché. Sangue freddo. Tempra d'acciaio. Cicatrici di gravidanze plurime e a volte, peritoniti, testimoniavano il valore acquisito sul campo.
Cicatrici evidenti su pance non trattate, molli, abbronzate e tirate a lucido. La signora arrivata in spiaggia e assettata sul lettino, infatti, per prima cosa s'impomatava. E la cosa durava almeno una mezz'oretta. Con dita lunghe ed esperte cominciava dagli stinchi, poi le cosce lisce, s'addentrava sull'addome largo, s'infilava nel reggipetto, rinforzato, per poi indulgere sulle spalle e le braccia. Sempre toniche. Che tra figli piccoli e nipoti e tappeti da volgere e riavvolgere, le tende, sempre pesanti, di velluto, e i mobili da movimentare con la fida cameriera...I bicipidi restavano la parte soda del corpo.
Si lustravano, le signore, con oli profumati, intensi e persistenti tratti da flaconi pesanti, dai nomi improbabili, quasi sempre francesi. Alla fine la pelle riluceva come l'impiallaccitura dei mobili delle loro case. Brunite e levigate, finalmente, si allungavano al sole.
Gli occhialoni. Il turbante. I gioielli. Vestite anche se nude, come dee greche. Il reggipetto era rispettosamente tenuto in loco. Ma si sganciavano tutti i laccetti. Brutti i segni sulle spalle! Un tramestio infinito, per evitare i ponti pallidi sulle spallucce.
La signora era sempre truccata. Almeno sulle labbra. E, rigorosamente, unghie smaltate. Pedicure perfette. Smalti spessi come resine epossidiche. Brillanti rossi, rosa corallo, ammalianti.
La signora parlava, eccome. Melliflua s'informava dei fatti di famiglia, come un boss mafioso. Si ricordava tutto. Non tralasciava nulla. Del resto, essere il nume familiare era il senso primo ed ultimo della signora.
Tradimenti, nascite, morti...Quello che non si poteva accettare era il divorzio. Il divorzio mai.
La signora sapeva come blandire il proprio uomo. Mantenendo una sua identità e dignità. Accettava a testa alta le corna, plurime, del marito. Se tradiva, o aveva tradito, lo faceva discretamente. Mai pubblicamente. Che il modo si trovava.
Parlando dei fatti della vita, di tutto il resto se ne impippava bellamente, passava da un tono scaltro a uno allusivo, e sempre attenta alla presenza dei bambini. Mai commozioni troppo evidenti... si prediligevano gli aspetti istruttivi, i consigli per curare le varici, depilare le ascelle, nascondere una scollatura troppo evidente, i rimedi contro l'alitosi, la fuga del marito, la presenza di zanzare, i tarli nel sideboard, le crisi adolescenziali...non c'era nulla che la signora non sapesse affrontare. Niente che la potesse scalfire. Rassicurante e certa come le Apuane, sullo sfondo dietro al mare, dietro alla spiaggia. L'eterna nube bianca incastrata sulla cima.
La signora, alla fine offriva sempre una nuvoletta di gelato a noi bambini.
E ancora ricordo l'asprigno del limone, il mio gusto prediletto, sulla lingua.
Pretendeva in cambio un bacio, sulla guancia, ma per finta.
Mica si rovinava la cipria, in cambio di un gelato, la signora.
27 giugno 2013
Straniamento. Ancora.
" ...sennò lo straniamento non ti passa più."
E' notte, sto ridiscendendo da un monte qua vicino. Ripenso al post dell'amica inviato ieri. Mi sa che c'ha ragione. C'ha preso, come spesso. Straniamento. Sto vivendo ancora in quel tunnel che è lo straniamento da expat.
Quando ci sei dentro, per proseguire con le metafore mondane, mica te ne dai conto. Però in troppe situazioni normali mi sento ancora lontana, sfasata. Non può essere sempre colpa del pre-mestruo, il caldo, il freddo, il trasloco, lo stress...
Oggi, per esempio. A una riunione di lavoro. Come tante altre prima. Sempre le stesse dinamiche da PMI italiana (ci si incontra agenzia e cliente con due obiettivi diversi; gli interlocutori, da una parte e dall'altra, non si sono nemmeno coordinati tra loro; si parlucchia del più e del meno; poi si va a pranzo e qui via libera alla conversazione frivola; si rientra per finire l'incontro e definire gli avanzamenti e ci si rende conto che il problema vero è un altro, ed è stato completamente inesploso, e allora è già tardi, ma ci vorrebbe il responsabile Veneto, la signorina Carla o almeno la Luigia - le donne si chiamano tutte per nome che valgono di meno, a livello gerarchico, ma sono indispensabili a livello operativo - ci vorrebbe qualcuno che però non è mai lì; si tergiversa una mezzora e poi si tutti a casa, "ci siamo intesi comunque!?" seguono sguardi d'intesa, cenni rassicuranti... No, non ci siamo intesi affatto, ma in qualche modo si farà, come sempre...)
Beh. Le dinamiche erano note, voglio dire, un contesto normale e, potenzialmente almeno, "normalizzante". Invece alla riunione ero altrove. Come assistessi una recita. Anche se lo scenario, una volta rientrata dal bagno dove mi sono sciacquata il viso, fosse cambiato, e avessi ritrovato dei taglialegna intorno a un tronco d'albero invece che aziendali intorno a un tavolo levigato, credo non c'avrei visto nulla di strano.
Sarebbe andato bene comunque...
"Attenta, qui ci sono i sassi, vuoi una mano?". Già, qua c'è il punto delicato della discesa dal monte. Quello che mi avvisa e mi precede con la torcia, è il compagno d'avventure di questa strana estate. L'insegnante di yoga.
Non so bene come sia iniziata, forse con qualche meditazione random in pausa pranzo.
Da qualche tempo, e adesso che è scoppiata l'estate piuttosto spesso, si va in notturna. A vedere la luna, a passeggiare sul monte o a fare il bagno nelle pozze. Mi arriva un sms, con le indicazioni operative: orari, luogo d'incontro, meta, durata dell'escursione, eventuale attrezzatura. "Ok" e via.
E in questi momenti così "altri", anomali gli orari, le condizioni di luce, la durata, anomala la compagnia - in fondo mica lo conosco l'insegnante, con quello sguardo folle e ascetico da santo di El greco poi...- in questi momenti così strani, ecco: qui, anche solo per pochi minuti, mi sento perfettamente centrata.
E' notte, sto ridiscendendo da un monte qua vicino. Ripenso al post dell'amica inviato ieri. Mi sa che c'ha ragione. C'ha preso, come spesso. Straniamento. Sto vivendo ancora in quel tunnel che è lo straniamento da expat.
Quando ci sei dentro, per proseguire con le metafore mondane, mica te ne dai conto. Però in troppe situazioni normali mi sento ancora lontana, sfasata. Non può essere sempre colpa del pre-mestruo, il caldo, il freddo, il trasloco, lo stress...
Oggi, per esempio. A una riunione di lavoro. Come tante altre prima. Sempre le stesse dinamiche da PMI italiana (ci si incontra agenzia e cliente con due obiettivi diversi; gli interlocutori, da una parte e dall'altra, non si sono nemmeno coordinati tra loro; si parlucchia del più e del meno; poi si va a pranzo e qui via libera alla conversazione frivola; si rientra per finire l'incontro e definire gli avanzamenti e ci si rende conto che il problema vero è un altro, ed è stato completamente inesploso, e allora è già tardi, ma ci vorrebbe il responsabile Veneto, la signorina Carla o almeno la Luigia - le donne si chiamano tutte per nome che valgono di meno, a livello gerarchico, ma sono indispensabili a livello operativo - ci vorrebbe qualcuno che però non è mai lì; si tergiversa una mezzora e poi si tutti a casa, "ci siamo intesi comunque!?" seguono sguardi d'intesa, cenni rassicuranti... No, non ci siamo intesi affatto, ma in qualche modo si farà, come sempre...)
Beh. Le dinamiche erano note, voglio dire, un contesto normale e, potenzialmente almeno, "normalizzante". Invece alla riunione ero altrove. Come assistessi una recita. Anche se lo scenario, una volta rientrata dal bagno dove mi sono sciacquata il viso, fosse cambiato, e avessi ritrovato dei taglialegna intorno a un tronco d'albero invece che aziendali intorno a un tavolo levigato, credo non c'avrei visto nulla di strano.
Sarebbe andato bene comunque...
"Attenta, qui ci sono i sassi, vuoi una mano?". Già, qua c'è il punto delicato della discesa dal monte. Quello che mi avvisa e mi precede con la torcia, è il compagno d'avventure di questa strana estate. L'insegnante di yoga.
Non so bene come sia iniziata, forse con qualche meditazione random in pausa pranzo.
Da qualche tempo, e adesso che è scoppiata l'estate piuttosto spesso, si va in notturna. A vedere la luna, a passeggiare sul monte o a fare il bagno nelle pozze. Mi arriva un sms, con le indicazioni operative: orari, luogo d'incontro, meta, durata dell'escursione, eventuale attrezzatura. "Ok" e via.
E in questi momenti così "altri", anomali gli orari, le condizioni di luce, la durata, anomala la compagnia - in fondo mica lo conosco l'insegnante, con quello sguardo folle e ascetico da santo di El greco poi...- in questi momenti così strani, ecco: qui, anche solo per pochi minuti, mi sento perfettamente centrata.
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vita vera
25 giugno 2013
Poi ci sono le belle coppie.
"Ne conosci di belle?". Coppie, Si parla di coppie. Sono anni che non ci si vede. Io e Ale. Ma dopo pochi minuti mi sembra che ci stiamo dicendo le stesse cose di anni e anni fa. E trattengo uno sbadiglio.
Lui, Ale è un lui, è sconfortato. Punta alla qualità della relazione che latita
- ma va?, dopo un po' di tempo insieme; le ragazze -ragazze...qua si parla di 40enni, via, donne ormai frolle! - sono noiose, diventano noiose, poco interessanti. E lui si stufa - eccerto!..
Poi "nessuno deve sacrificarsi per un altro", no che no. Non è giusto. Le scelte sono individuali e parapa, parapa, parapa.
Tutte stupidate. Penso. Per non dire peggio. Tutte stronzate. E diciamolo!
La qualità della relazione la raggiungi se la vuoi raggiungere, dipende da te come dall'altro. E ha bisogno di tempo e fiducia nel progetto di coppia. Se no è solo un eufemismo per definire quel momento attrattivo e iperbolico dell'innamoramento. Che sta all'inizio. Poi chiuso, chiuso per tutti.
Se ci si circonda di ragazze poco interessanti è perché si ha bisogno di attenzione, ed evidentemente piacciono persone cui si piace. Non necessariamente interessanti.
Infine il sacrificio, di uno, di due, è conditio sine qua non per il formarsi di una coppia e di una famiglia. Punto e basta.
Quello che ho testé scritto mica glielo dico, all'Ale. Che c'arrivi da solo. Se mai c'arriverà. Ma sì, che c'arriva. Quando parla della nipotina è lì che gli si dilatano le pupille...dopo un altro paio di atrocità sentimentali su vittime più o meno consenzienti, alla prima bortola interessante come un tralcio d'edera, capitolerà e ci farà un figlio. Due.
Che non è tutto lì nella vita, ma quasi...Almen per la maggior parte di noi.
Però di belle coppie, tornando alla domanda iniziale, ne conosco. E neppure poche, ad onor del vero. Le differenze tra una bella coppia e una coppia sono tre: complicità, sesso, socialità.
La coppia "normodotata" condivide i progetti comuni, ma diffonde allegria come la tromba all'adunata le note del silenzio. Scopa poco, quasi niente. Poi, di fronte agli altri tende a chiudersi. Lui, lei, rigidi e sussiegosi.
Certo, quisquilie di fronte alla "coppia nevrotica" che è sempre sul punto di rottura. Da 20 anni. Amici, parenti, figli...tutti lì a sorbirsi lo spettacolo dei loro psicodrammi. Più o meno gli stessi, lo stesso pathos. La separazione? Impossibile. Se ne dicono di ogni, i figli vivono tra scatti d'ira e parolacce, però lasciarsi questo mai.
Succede la coppia nevrotica. Spesso. Fortuna non a tutti. Penso ai figli, che sono innocenti spettatori. Innocenti almen finché son piccoli.
Non so invece quali siano gli ingredienti concreti di una bella coppia. La complementarietà? Aiuta, certo. La conoscenza profonda e di lunga data? Questa la riconosci quasi sempre: tra i due si sente una accettazione totale, come solo tra "famigli". Ma non basta, la conoscenza. Anzi. Per mantenere accesa la fiaccola dell'attrazione, per esempio, è pure controproducente.
Forse ci vuole un poco di pazzia...oppure il contrario, l'accettazione dell'abitudine come parte "normale" della vita.
Quello che so è che con le belle coppie si sta bene.
Lui, Ale è un lui, è sconfortato. Punta alla qualità della relazione che latita
- ma va?, dopo un po' di tempo insieme; le ragazze -ragazze...qua si parla di 40enni, via, donne ormai frolle! - sono noiose, diventano noiose, poco interessanti. E lui si stufa - eccerto!..
Poi "nessuno deve sacrificarsi per un altro", no che no. Non è giusto. Le scelte sono individuali e parapa, parapa, parapa.
Tutte stupidate. Penso. Per non dire peggio. Tutte stronzate. E diciamolo!
La qualità della relazione la raggiungi se la vuoi raggiungere, dipende da te come dall'altro. E ha bisogno di tempo e fiducia nel progetto di coppia. Se no è solo un eufemismo per definire quel momento attrattivo e iperbolico dell'innamoramento. Che sta all'inizio. Poi chiuso, chiuso per tutti.
Se ci si circonda di ragazze poco interessanti è perché si ha bisogno di attenzione, ed evidentemente piacciono persone cui si piace. Non necessariamente interessanti.
Infine il sacrificio, di uno, di due, è conditio sine qua non per il formarsi di una coppia e di una famiglia. Punto e basta.
Quello che ho testé scritto mica glielo dico, all'Ale. Che c'arrivi da solo. Se mai c'arriverà. Ma sì, che c'arriva. Quando parla della nipotina è lì che gli si dilatano le pupille...dopo un altro paio di atrocità sentimentali su vittime più o meno consenzienti, alla prima bortola interessante come un tralcio d'edera, capitolerà e ci farà un figlio. Due.
Che non è tutto lì nella vita, ma quasi...Almen per la maggior parte di noi.
Però di belle coppie, tornando alla domanda iniziale, ne conosco. E neppure poche, ad onor del vero. Le differenze tra una bella coppia e una coppia sono tre: complicità, sesso, socialità.
La coppia "normodotata" condivide i progetti comuni, ma diffonde allegria come la tromba all'adunata le note del silenzio. Scopa poco, quasi niente. Poi, di fronte agli altri tende a chiudersi. Lui, lei, rigidi e sussiegosi.
Certo, quisquilie di fronte alla "coppia nevrotica" che è sempre sul punto di rottura. Da 20 anni. Amici, parenti, figli...tutti lì a sorbirsi lo spettacolo dei loro psicodrammi. Più o meno gli stessi, lo stesso pathos. La separazione? Impossibile. Se ne dicono di ogni, i figli vivono tra scatti d'ira e parolacce, però lasciarsi questo mai.
Succede la coppia nevrotica. Spesso. Fortuna non a tutti. Penso ai figli, che sono innocenti spettatori. Innocenti almen finché son piccoli.
Non so invece quali siano gli ingredienti concreti di una bella coppia. La complementarietà? Aiuta, certo. La conoscenza profonda e di lunga data? Questa la riconosci quasi sempre: tra i due si sente una accettazione totale, come solo tra "famigli". Ma non basta, la conoscenza. Anzi. Per mantenere accesa la fiaccola dell'attrazione, per esempio, è pure controproducente.
Forse ci vuole un poco di pazzia...oppure il contrario, l'accettazione dell'abitudine come parte "normale" della vita.
Quello che so è che con le belle coppie si sta bene.
18 giugno 2013
Trasloco. Rientro a Itaca.
Now, sweeping up babies!
Eh, l'ebrezza di dormire sul parquet fresco di rilamatura...
Le immondizie si accumulano. Vuoi mettere la soddisfazione alla discarica?
Cena cinese. Idea copiata da "Manhattan" di Woody, quando era ancora il nostro Woody
e non il girolimoni di NY
...
Happy girl!
Happy girls...
Primo tramonto del primo giorno in casa nuova.
Ah, poveri piedi...sempre in piedi!
Stanlio e Olio in salsa moldava.
..."ti ricordo che i fabbri sono operai modello".
Sms dell'architetto, 11 giugno.
Con un avviso così ...Via, il 12 giugno alle 8 sono quasi elettrizzata all'idea di ricevere degli operai modello in casa mia. I due però si palesano solo alle 8.49. Un'ora dopo la media, valutando le entrèe degli altri addetti alla ristrutturazione. Scendono dal potente mezzo, il camioncino, parcheggiato sbagliato, nel posto del vicino che poi sbraita come Bossi a Pontida (pure il cartello con il disegno del cortile, ho affisso in casa per evitare motivi di frizioni condominiali). Scendono e dalla camminata mi ricordano qualcuno... Ma certo! Ecco chi: Olio e Stanlio. Solo che lo scuro tra i due è Stanlio, Olio invece chiaro. Alto e grosso, biondo e moldavo...
Si avvicinano lentamente alla porta d'ingresso, e lentamente entrano in casa. Però, penso: come sono attenti e scrupolosi. Con manovre degne di un equilibrista posano i pezzi sulla passatoia che ho allestito io la sera prima per proteggere il parquet, rilamato e oliato che sembra un gioiello di ebanisteria. Pure i trapani, ci appoggiano sulla passatoia. E tutta l'utensileria. Son lì che li guardo mentre mi sorbisco il caffè, i due top model.
Dopo l'operazione a. fanno per riandare al camion e, acc...incespicano nel trapano lasciato sulla passatoia in mezzo ai maroni. Ebbeh, capita...Sistemano di nuovo il trapano, esattamente dov'era prima e,
dopo l'operazione b. tornando al camion, ci incespicano di nuovo. All'operazione c. non ci arrivano che provvedo io a spostare le loro carabattole, trapano compreso, su una stuoia accanto alla passatoia. Mi guardano riconoscenti.
Procedono sempre con una lentezza bradipesca per un paio d'ore, intervallate da continui: "Signora non ha una scala? Un cacciavite? - no, me ne hanno fottuti due gli imbianchini- Una scopa? Un aspirapolvere con il tubo? Un bicchier d'acqua?" tanto che decido di stare a casa e non andare in agenzia. E faccio solo bene. Stanlio, il capo, che quando è di umore leggiadro si rivolge a Olio "tu brutta bestia", urtato dal ciccio sparacchia il silicone in giro. Che si spiaccicchia sul parquet. I risultati saranno evidenti un paio di giorni dopo. Bestemmiando come Barabba, tanto che chiudo le orecchiette alla creatura, la Ari, che ha finito la scuola ed è qui presente, procede con il montaggio delle porte mentre Olio si dilegua per un buon dieci minuti. Tira una brutta aria e Stanlio è molto arrabbiato.
11.33. I due si attivano, sembrano proprio i personaggi delle comiche. Corrono al camion come velociraptor alla preda. Olio, al mio sguardo interrogativo risponde battendo ripetutamente il ditone sul polso, al posto del quadrante dell'orologio, che non indossa: "mangiare, è ora del mangiare!".
Miii, penso. Gli operai modello. Braccia molli, cervello spento e stomaco forte.
Gli chiedo se possono aspettare pochi minuti per aiutare il cementista a trasportare il piatto doccia nel bagno. Mi guardano come se gli avessi commissionato un omicidio.
38 secondi dura il supporto di Olio al cementista, cronometro per tema di future rivendicazione, ma poi è sudato come una foca del Bajkal.
Quando lasciano il cortile mi sento, finalmente sollevata.
Ah! gli operai modello.
Arrivano tardi, finiscono presto e neppure puliscono il parquet.
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ma chi me l'ha fatto fare...,
vita vera
9 giugno 2013
Scuola "su", scuola "giù".
Giovedì sera vado all'aeroporto a prendere un'amica di Dusseldorf, in scalo per Roma. Capita ancora così, l'amica arriva, i saluti e si comincia a parlare come se io ancora fossi "su", a condividere delusioni e iniziative gioie e dolori. Come sempre poi, quando l'amica se ne va, avverto come un senso di abbandono, un'ingiustizia, uno strappo allo stato delle cose. E resto "gnecca" per un tratto. Gnecca, cioè pensierosa e meditabonda. Chissà quando la mia psiche si riaggiornerà con la vita che sto vivendo ora e non mi farà più sentire expat in rientro?
Scuola. Si parla di figli e di scuola. Dalla sua, lei insegna nell'unica realtà in città dove si pratica l'italiano, hanno espulso un bambino, meglio la mamma. Aveva atteggiamenti aggressivi con il corpo docente. Non mi stupisco. Anche all'asilo di Ari era capitato un caso simile.
Una mamma aveva attaccato fisicamente una Frau e di conseguenza le era stato impedito di entrare nell'istituto. Mamma tedesca. Asilo blasonato. Anche quella di cui mi riferisce l'amica è tedesca.
Ripenso all'episodio ieri mattina, quando armata di rastrello e vanga scendo alla scuola di Ari per la sistemazione di un'aiuola. Penso confortata che la Ari frequenta le elementari in Italia, qui dove tutti si conoscono, le maestre si amano e i bambini collaborano (situazione confermata anche l'ultimo giorno di scuola. O le docenti si dopano o occorre dare loro credito). Rasserenata, capita così raramente di essere contenti delle decisioni prese, mi reco all'aiuola. E mi cadono letteralmente i maroni... tra gradoni di cemento sbrecciato, lordi di immondizia varia, si apre uno spazio di terra smossa, argillosa, fradicia. Con il contributo di un papà ricopriremo lo spazio di ghiaia. Ci sono già tre papà al lavoro, belli tonici. Mi spiegano, rastrello facendo, che le bidelle non puliscono l'esterno della scuola, non è nel loro mandato. Per contrastare l'evidente degrado architettonico c'è in progetto la riqualificazione dell'edificio, fermo da tre anni. Nel frattempo occorre lottare con l'amministrazione comunale per POTER intervenire da volontari e mettere qualche pezza. Un fatto di proprietà. Noi genitori non potremmo modificare un immobile che non ci appartiene.
Ecco. Quando si dice "toccare con mano" la gravità della situazione. "Su" e "giù".
Scuola. Si parla di figli e di scuola. Dalla sua, lei insegna nell'unica realtà in città dove si pratica l'italiano, hanno espulso un bambino, meglio la mamma. Aveva atteggiamenti aggressivi con il corpo docente. Non mi stupisco. Anche all'asilo di Ari era capitato un caso simile.
Una mamma aveva attaccato fisicamente una Frau e di conseguenza le era stato impedito di entrare nell'istituto. Mamma tedesca. Asilo blasonato. Anche quella di cui mi riferisce l'amica è tedesca.
Ripenso all'episodio ieri mattina, quando armata di rastrello e vanga scendo alla scuola di Ari per la sistemazione di un'aiuola. Penso confortata che la Ari frequenta le elementari in Italia, qui dove tutti si conoscono, le maestre si amano e i bambini collaborano (situazione confermata anche l'ultimo giorno di scuola. O le docenti si dopano o occorre dare loro credito). Rasserenata, capita così raramente di essere contenti delle decisioni prese, mi reco all'aiuola. E mi cadono letteralmente i maroni... tra gradoni di cemento sbrecciato, lordi di immondizia varia, si apre uno spazio di terra smossa, argillosa, fradicia. Con il contributo di un papà ricopriremo lo spazio di ghiaia. Ci sono già tre papà al lavoro, belli tonici. Mi spiegano, rastrello facendo, che le bidelle non puliscono l'esterno della scuola, non è nel loro mandato. Per contrastare l'evidente degrado architettonico c'è in progetto la riqualificazione dell'edificio, fermo da tre anni. Nel frattempo occorre lottare con l'amministrazione comunale per POTER intervenire da volontari e mettere qualche pezza. Un fatto di proprietà. Noi genitori non potremmo modificare un immobile che non ci appartiene.
Ecco. Quando si dice "toccare con mano" la gravità della situazione. "Su" e "giù".
3 giugno 2013
Battesimo all'italiana. Stile classico.
![]() |
La mitica 500, e i bimbi non ne uscivano più. |
Tutti coi vestiti belli.
Che per le donne vuole dire soprattutto attuali. E se l'attualità reclama scollature abissali, trasparenze da lingerie e spacchi altissimi, fa uguale. Che ormai in Chiesa ci entra anche lady Gaga. Per gli uomini giacca e cravatta o maglioncino e camicia inamidata. Capelli irrigiditi dalla piega, bambini in tenute paralizzanti. Le bambine si muovono nelle scarpette rigide come le cinesine sugli zoccoli. Quelle con i piedi fasciati.
Tanto non si cammina. In Chiesa si arriva in macchina. E in Chiesa si sta. 1 ora e 48 minuti. Contato bene.
Il prete ce l'ha con la massa dei credenti eventuali, legati cioè ad un evento meramente celebrativo. Quindi ce l'ha con noi, o una buona parte di noi, deduco. Deduco correttamente. La sua vendetta si palesa messa facendo: farci soffrire per meritarci una qualche forma di grazia. Gli strumenti a sua disposizione: il buio, il freddo, gli inni cantati come ragli, la bruttezza vistosa delle assistenti, dei chierichetti e, soprattutto, prolungare la liturgia oltre ogni limite, ogni fase della liturgia. Il singolo rito viene evidenziato e raccontato, come in un post su Facebook. "Ecco adesso è il momento dell'ektenia, che vuole dire apertura, delle orecchie e della bocca...". "Slacciate bene le vestine che l'olio va dato sul torso e non sul gozzo, come fanno certi per non sporcare i preziosi corredini...".
Poi, come alabarda spaziale si abbatte su di noi la tortura delle torture: la predica. Infinita e truce. Predica sul Corpus Domini, quindi morte e sacrificio e dolore ed espiazione (se ne batte il belino dei due neonati, della vita in rigoglio e di cose leggiadre e piene di speranza...)
Il corpo è sofferenza. Che a fermarsi alle sete e ai lustrini del gregge accorso non sembra, ma a scrutare bene i visi...i tacchi stritolano i piedi, le cravatte serrano i colli, le cinture asfissiano, la navata è gelida, i bambini piangono e reclamano un pascolo per scorrazzare, le mamme negano poi cedono.
I padri cedono se sono le mamme ad accompagnarli, se no negano.
Ogni volta che c'è una accelerata di ritmo, o una parvenza di, il carnefice officiante se ne incorre e rampogna. " Scambiatevi TUTTI un segno di pace, mica solo i soliti noti. Sporgetevi, sporgetevi pure ai banchi retrostanti, che è dal gesto che si vede il buon cristiano..."
La messa finisce, nessuno osa lasciare il proprio banco. Siamo più che rassegnati, asserviti. E' lui, infatti, che autorizza a riaprire il portone della navata centrale. Bontà sua. E' un aguzzino, ma ha carisma.
Finalmente fuori, finalmente aria, finalmente sole.
Prossima meta, l'aperitivo a casa dei genitori. L'abitazione è a 300 metri dal piazzale della Chiesa, ma non si compromettono le toilettes delle signore prima dell'entrée al ristorante...
Quindi tutti in macchina, nel caos di richiami e sgommate rischiano la vita un vecchio zio e un paio di pargoli. A casa degli invitanti si stappa il primo prosecchino e si beve il terzo caffè della giornata. Per tonicizzare i bimbetti niente di meglio della Coca Cola original; poi scalciano come i cavalli del Palio.
Fine della sgranchita, si rimonta in macchina, le signore hanno provveduto a rinnovare trucco, cambiare calze smagliate, aggiustarsi le chiome. Gli uomini a sganciare il primo buco della cintura.
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...E siamo solo ai primi. |
Camminare come i trampolieri, anche se per pochi metri, affatica quel che serve a stimolare un certo languorino. Un bicchiere di bianco, dalla bottiglia immersa nel ghiaccio, e via con gli antipasti. I primi tre si ricordano bene, che sono quelli che spengono la fame. Gli altri ti fioccano nel piatto come le granate in trincea. Basta che ti distrai un attimo e fiong!, ecco l'orzotto coi gamberetti, vai in bagno, torni e sul tuo piatto si è creato un ecomondo, i commensali - gli altri- ti guardano beffardi. Tra loro c'è chi sapeva, chi qui c'era già stato, chi ha cronometrato il round del cameriere per calcolare esattamente la gittata e rifiutare al momento opportuno, allontanando il target, il piatto cioè...
Al nono antipasto concedo un quarto d'ora d'aria alla Ari, è spenta come la Carfagna dopo l'insediamento del governo Monti. Nei portici, comode poltrone in vimini ospitano i caracollanti convenuti, solo qualche ragazzotta ben in carne si ostina a fotografare e farsi fotografare negli angoli idilliaci dell'agriturismo. Che è idilliaco. Ulivi, viti e bianco, bianco dappertutto. Bianchi i fiori, le tovaglie, i cuscini, le candele e le lanterne, appese agli ulivi e ai vasi di agrumi con nastri di raso. Bianchi.
Non so perché tutto 'sto candore mi irrita. L'erba rasa, coi filetti che sembrano piantati uno ad uno, sui quali spuntano le famigliole con gli abiti lustri, le macchine lustre, i bambini, immobili per non sporcarsi, incastonati sulle poltrone a guardare gli ipad...
Penso, per un attimo a un corrispettivo tedesco. Uhm..il decor sarebbe più ricco, con un taglio kitsch, quasi certamente. Il bianco puro, no, non l'avrebbero retto. Minimo una spruzzata di grigio argento e verde salvia. Ad essere sobri. Una statuetta di qualche animale agreste, qua e là, per bene che vada almeno una mucca, in scala 1/1 e uno stormo di papere. Due oche. Gli immancabili vecchietti, in coppia, sulle panchine.
Però nel giardino senz'altro sarebbero sorte le sandkasten. E magari un paio di tappeti elastici. Altalene e corde per arrampicare, presenze certe da loro come gli aumenti delle tasse a settembre da noi. Probabile una teleferica. Nel porticato poi, gabbie di conigli in visione, e pure le scuderie coi mansueti equini dentro. I bambini si sarebbero svagati,di più e meglio. Gli adulti però avrebbero mangiato e bevuto peggio.
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Stanca solo a leggerlo, il menù. |
Il cameriere ci richiama al tavolo, con lo stesso tono perentorio del prete di stamane e una cofana fumante in mano. Lasciamo malvolentieri i cuscinotti sui quali giacevamo come dugonghi spiaggiati. Risotto al prosecco - peccato la panna, tagliolini ai funghi, notevoli, ravioli alla bresciana, che sarà mai il distinguo con quelli d'altrove. Dopo i primi, riposino lungo. Il pomeriggio si accorcia, le luci s'indorano, osiamo un vai e torna alla macchina. Ma il cameriere richiama, l'alzata dai cuscini stavolta è da veri duri, come da un campo di battaglia dopo la sconfitta, i sopravvissuti si guardano e si contano tra i lamenti e le urla soffocate dei caduti addormentati.
Polenta, patate al forno e arrosto agli agrumi e rosmarino. Salto il turno, mi sto impratichendo, per dedicarmi alla tagliata. Perfetta come raramente. Segue il riposone, è quasi l'imbrunire e al nostro rientro in sala, parmigiano e noci. Finalmente, librandosi come l'angelo liberatore, arriva il carrello del dessert. Caffè. Sambuca. Ammazzacaffè. E' finita, questa sporca guerra è proprio finita. Lasciamo il tavolo, con la stessa repulsione affettuosa del soldato che saluta la branda della caserma dove ha passato la naia. Ci stiracchiamo. Il giorno è stato risucchiato. Ci accoglie una sera fresca di poche lucciole. Resta giusto il tempo di rientrare in autostrada, beccare le ultime code dai laghi, preparare la cartella alla bimba e via, a nanna.
Ah, benvenuto tra noi,Tommaso.
.
2 giugno 2013
La grande bellezza.
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Fuori le tette! |
Visto la Grande Bellezza di Sorrentino.
A parte qualche dubbio elementare, nel senso di elementi basici ... Tipo, uno: come fa un 65enne come il Jep Gambardella impersonato da Servillo a reggere un ritmo da movida madrilena senza fare un plissè.
Due: come fa un pubblicista, ex scrittore come, appunto, il Jep Gambardella a permettersi quello stile di vita, con appartamento fronte Colosseo. Forse spaccia droga? che con articoli e post a Roma neanche un garage in periferia ti mantieni. Lo so che uno potrebbe dire, ma via è' un film. Ma se in quel film il protagonista fosse, mettiamo, un metalmeccanico della Breda, o un libraio di provincia, tanto per pescare in ambiti equireddito, il contrasto tra stipendio presunto e tenore di vita sarebbe tanto marchiano da rendere la storia completamente in-credibile. Molti ancora non lo sanno o non l'hanno capito che ormai da anni pubblicisti, giornalisti, pubblicitari, fotografi non portano a casa neanche la michetta. Altro che feste carnascialesche e abiti costosi alle amichette sculettanti.
Tre, ed è il dubbio dei dubbi: mica è tanto chiara la decadenza morale di cui tutti parlano a sproposito della pellicola, ad esempio La Stampa:
"Dame dell’alta società, parvenu, politici, criminali d’alto bordo, giornalisti, attori, nobili decaduti, alti prelati, artisti e intellettuali veri o presunti tessono trame di rapporti inconsistenti, fagocitati in una babilonia disperata che si agita nei palazzi antichi, le ville sterminate, le terrazze più belle della città. Ci sono dentro tutti. E non ci fanno una bella figura. Jep Gambardella, 65 anni, scrittore e giornalista, dolente e disincantato, gli occhi perennemente annacquati di gin tonic, assiste a questa sfilata di un’umanità vacua e disfatta, potente e deprimente. Tutta la fatica della vita, travestita da capzioso, distratto divertimento.
Un’atonia morale da far venire le vertigini. E lì dietro, Roma, in estate. Bellissima e indifferente. Come una diva morta"
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Bagasce e papere |
Ma quale "atonia morale"!
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Pupe e papponi. |
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Anche oggi ho raggiunto il fondo. |
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Dopo. |
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